Blog di Marco Castellani

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Un’ora (intensa) con Venera 9

Sono passati esattamente 48 anni (e un giorno). Era infatti il ventidue ottobre del 1975, quando la sonda sovietica Venera 9 atterrava sulla caldissima superficie di Venere e riusciva ad acquisire un panorama a 180 gradi (l’immagine in apertura di questo articolo). La sonda era progettata per resistere alle tremende condizioni di pressione e temperatura della superficie del pianeta: in effetti, riuscì a funzionare per ben 53 minuti, prima di darsi per vinta.

Quell’oretta scarsa fu decisiva, per la conoscenza del pianeta. Si comprese che c’è uno strato di nubi spesso oltre 30 km, si ottennero informazioni sulla chimica dell’atmosfera (decisamente irrespirabile, essendo ricca di acido cloridrico, acido fluoridrico, bromo e iodio), si confermò un elevatissimo valore di pressione atmosferica e temperature che sfiorano i 500 gradi Celsius.

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Marte, com’è

Nel giorno 872 dall’inizio missione (data sulla terra, 3 agosto) l’elicotterino Ingenuity acquisisce questa limpidissima immagine della superficie di Marte.

Cinque metri sopra Marte…
Crediti: NASAJPL-CaltechIngenuity

Durante il volo, Ingenuity si è alzata di circa cinque metri sopra la superficie del cratere Jezero. Questo è il cinquantaquattresimo volo per Ingenuity, ormai abituato ai piccoli sorvoli di Marte.

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Attività vulcanica su Venere

Per la prima volta, si sono osservati chiari segni di attività vulcanica sul pianeta Venere. La scoperta è stata fatta esaminando pazientemente le immagini radio di archivio acquisite dalla missione Magellano più di trenta anni fa, negli anni Novanta.

Una ricostruzione della zona intorno a Maat Moons, un vulcano “attivo” di Venere
Crediti: NASA/JPL-Caltech

Queste immagini hanno infatti rivelato uno sfiato vulcanico che si modifica nella forma e aumenta significativamente in dimensioni, in meno di un anno.

Quel che mi colpisce in questa scoperta – in un epoca in cui si parla moltissimo di intelligenza artificiale – è che è stata ottenuta tramite un confronto ad occhio di una immensa mole di immagini (più di duecento ore di lavoro).

C’è ancora qualcosa che rimane prerogativa degli umani (e magari, di qualche lontana civiltà extraterrestre, chi lo sa). Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, dice che un semplice paramecio ha più intelligenza creativa di tutta l’intelligenza artificiale che possiamo mettere in campo. E forse è quel mix unico di capacità di osservazione ed impulso creativo, a fare la differenza, tra uomo e macchina.

Sia ora, che nei millenni a venire.

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Far pace, su Venere

Vorrei partire da questa fotografia, per un tragitto che da Venere ci riporti rapidamente alla Terra: risale al 1996 e ci mostra Dickinson, un cratere da impatto nella parte nordest della regione Atlanta. L’ampiezza dell’immagine, tanto per dare un’idea, è di 185 chilometri di ampiezza e 69 di altezza.

Il cratere Dickinson su Venere.
Crediti: NASA/JPL-Caltech

Il cratere appare davvero complesso, caratterizzato da un anello centrale e una pavimentazione costituita da materiale diversamente opaco al radar (alternanze di zone chiare e zone scure). Si vede chiaramente che non è simmetrico, la mancanza di materiale da impatto ad ovest potrebbe proprio indicare che è esattamente quella la direzione dalla quale è arrivato il corpo che ha impattato il pianeta.

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Tracce di eleganza cosmica

Girare tra gli anelli di Saturno è decisamente un privilegio concesso a pochi. Uno dei più attenti osservatori è stata la sonda Cassini, che ha preso questa bellissima immagine poco più di un decennio fa.

Lune ed anelli di Saturno, in una visione di quieta bellezza.  
Crediti: NASAESAJPLCassini Imaging Team

Si vede la luna Rea parzialmente coperta dagli anelli e, più in lontananza, la piccola luna Giano. Mentre Rea fa certo la sua figura con un diametro superiore ai 700 chilometri, Giano è una delle lune di Saturno più piccole: misura infatti appena 180 chilometri di diametro. In automobile si farebbe agevolmente tutto il giro nell’arco di una giornata (compresa sosta all’autogrill, se ve ne fossero). Colpisce riuscire a vedere un corpo celeste così piccolo a tanta distanza da Terra (più di un miliardo di chilometri). Cassini ha fatto davvero un ottimo lavoro.

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Almeno un piccolo aiuto

Alle volte, è tutto qui. Farsi aiutare. Permettere agli altri, al mondo esterno, a tutti i mondi che iniziano dopo la nostra pelle, di intervenire. Lasciare lo spazio aperto perché avvenga. Senza pretesa, ma con pazienza. Usare quello che c’è, anche, a proprio vantaggio.

L’esplorazione spaziale è come siamo noi, alla fine. Per la qual cosa, deve molto all’aiuto esterno. Anzi, farsi aiutare è diventato da tempo un must nell’impresa dell’esplorazione del Sistema Solare. Quella che vedete qui sotto è la sonda Mariner 10, che fu lanciata ormai quasi mezzo secolo fa (era il 3 novembre del 1972, per la precisione). La sonda fece ottimo uso del campo gravitazionale di Venere, per modificare il suo cammino e farsi rilanciare verso Mercurio, il suo vero obiettivo.

Una immagine artistica della Mariner 10. Crediti: NASA

Mariner 10 effettuò ben tre sorvoli di Mercurio (ne erano previsti due ma l’accorta strategia di missione rese possibile il terzo), tra gli anni 1974 e 1975. Non sarebbe arrivata facilmente a questo incontro con il pianeta più interno del Sistema Solare, senza l’aiuto del campo gravitazionale di Venere. La sonda si avvicinò fino a qualche centinaio di chilometri dalla superficie rovente del pianeta. Trasmise a Terra circa seimila fotografie mappando qualcosa come il 40% della superficie.

Grandi risultati, senza alcun dubbio. Ma non è più un segreto, il Mariner non fece tutto da solo. Tutto il contrario: si fece aiutare. E noi qui a Terra, cosa mai vogliamo combinare, senza almeno un piccolo aiuto?

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La superficie di Venere

Ma se tu potessi stare su Venere, cosa vedresti? Bene, questo è ciò che vide Venera 14, un lander sovietico che (a distanza di pochi giorni dal gemello Venera 13) fu paracadutato entro l’atmosfera venusiana nel marzo del 1982.

Quel che vide, Venera 14. Crediti: Soviet Planetary Exploration ProgramVenera 14;
Processing & CopyrightDonald Mitchell & Michael Carroll (riprodotta con il permesso)

Il panorama risulta piuttosto desolato: mostra diverse grandi rocce piatte, vasto terreno vuoto e un cielo grigio, sopra la regione Phoebe, nei pressi dell’equatore del pianeta. Nondimeno è interessantissimo a mio avviso, ed è anche chiaramente differente da quello marziano, a cui ormai siamo più abituati.

In basso a sinistra si vede la sonda di perforazione della navicella, utilizzata per effettuare misurazioni scientifiche, più a destra una macchiolina chiara è semplicemente un copriobiettivo espulso.

Venera 14 è stata eroica. Per un’ora ha resistito a temperatura superiori ai 450 gradi Celsius, e pressioni 75 volte quelle terrestri. La durata progettata era di 32 minuti, ma è stata quasi raddoppiata. Per quanto i suoi dati siano stati trasmessi a Terra quasi quarant’anni fa, l’elaborazione digitale continua ancora oggi, avvalendosi delle nuove tecnologie, per estrarre ogni minimo scampolo di informazione acchiappato da questa preziosissima sonda.

Non c’è solo Marte, dopotutto. Questo è il bello, c’è una varietà incredibile che ci aspetta, là fuori. Serve dedizione e pazienza per arrivare a vedere questi panorami. Ci vuole capacità di sognare prima di tutto, e poi dare forza e valore al sogno, costruendoci sopra giorno per giorno. Ci vuole ardimento e fatica, per far fiorire un sogno. Ma ne vale la pena.

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Immagina un vulcano su Venere

Non possiamo sapere con precisione come sembrerebbe un vulcano attivo su Venere, potessimo veramente osservarlo. Certo, abbiamo evidenza che ce ne siano. Tuttavia, per quanto si disponga di immagini a larga scala del pianeta, prese con dei radar, le nubi assai spesse di acido solforico ci impediscono di vedere nelle bande dell’ottico. Ossia, di guardare nel senso classico del termine.

Un vulcano su Venere, come potrebbe essere. Crediti: NASAJPL-CaltechPeter Rubin

Questo non ci ferma, perché la capacità di immaginare è sempre stata di grande aiuto nella scienza esatta. Questa qui sopra è una immagina artistica che ci aiuta a capire come potrebbe sembrare un vulcano sulla superficie del pianeta.

La faccenda dei vulcani di Venere, si ricorderà, potrebbe essere più che un semplice particolare per chi studia la geologia di altri pianeti, perché è strettamente connessa ad una storia che è esplosa a settembre dell’anno scorso, riguardante possibili segnali di vita nell’atmosfera superiore del pianeta. Nello scenario infatti sarebbero i vulcani a spingere in atmosfera alta i composti chimici destinati a diventare cibo per quei batteri affamati che sembrano dover fluttuare in quelle regioni.

La faccenda dei batteri galleggianti è certamente eccitante, ma al momento appare ancora controversa. L’iniziale certezza si è molto stemperata, sotto i colpi di indagini parallele, che hanno avuto buona cura di smontare la affidabilità di risultati proclamati con forse eccessiva convinzione. Ma è la scienza, bellezza! Va così.

Quello che è certo, è che – pur mancando al momento di una sola prova certa – le possibilità di vita extraterrestre appaiono di giorno in giorno più concrete, man mano che andiamo avanti esplorando il cosmo. Forse già questo, ci sta dicendo qualcosa.

Mi viene quasi da pensare, che ci stiamo preparando.

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