Quando ero studente, si analizzavano immagini su lastre fotografiche, di centinaia, magari migliaia di stelle. Sembrava già moltissimo. Crescendo, ho incrociato il mio percorso con la novità roboante di Hubble, familiarizzandomi su numeri ancora superiori. Era ancora poco, capisco adesso.
Oggi è una giornata molto bella per l’astronomia, è stato detto poco fa dal presidente dell‘Agenzia Spaziale ItalianaGiorgio Saccoccia. Una festa per l’astronomia rincara Marco Tavani, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Sento queste parole mentre scrivo e capisco che accendono qualcosa, dentro. Tutte le nostre stelline nascoste, possono venir fuori, con più entusiasmo del solito. Enorme avanzamento dell’astronomia stellare galattica, e non solo dice Tavani. Non esagera.
Il team della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea apre oggi al pubblico la terza versione del catalogo (la early, per precisione). Quasi due miliardi di stelle. Posizioni, luminosità, parallassi. Anche velocità, anche fotometria a diverse bande. Una mole di dati impressionante, quasi cinquecento persone (me compreso) al lavoro per ottenerli. Esempio di straordinaria collaborazione europea, rimarca giustamente Mario Lattanzi (INAF).
La nuova distribuzione nel cielo dei puntini di Gaia (Crediti: Esa/Gaia/DPAC)
Questa piccola sonda a un milione e mezzo di chilometri, è l’espressione di qualcosa che è in tutti noi, nei nostri cuori. Quel desiderio di riveder le stelle è da custodire, coccolare, nutrire. Perché è quello che ci fa donne, ci fa uomini, ci fa stare in piedi. E ci fa ringraziare, per quanta bellezza c’è intorno.
Una favola vera, che ci rende più amici e più vicini. Se solo ci permettiamo di sognarla.
La prima lezione, è quella lezione poi da imparare e reimparare sempre, quando si tratta di osservare il cielo (e non solo). L’unico rischio (da scongiurare sempre e di nuovo) è quello di pensare di sapere già. Perché allora le sorprese non arrivano: e se arrivano, in pratica tu non ti accorgi, passi avanti e non vedi, non vedi che quel che credi di sapere. E ti sembra allora che non ci sia niente di nuovo (quando invece, in un certo senso, è sempre tutto nuovo).
Anche in ambienti che pensavi ormai ben conosciuti, ben consolidati. Proprio lì, buttare uno sguardo con occhio attento, è una garanzia piuttosto solida di ricevere una sorpresa.
Crediti: NASA, ESA and L. Bedin (Astronomical Observatory of Padua, Italy)
Succede, appunto. Ed è appena successo, ancora. E’ successo a degli astronomi intenti a guardare l’ammasso globulare chiamato NGC 6752, con gli occhi potenti del Telescopio Spaziale Hubble. L’ammasso si trova ad appena 13000 anni luce da noi: non tanto, su scala cosmica. Poi sappiamo che di questi ammassi stellari la nostra Galassia è piena (centocinquanta, o già di lì): sono ambienti decisamente interessanti per studiare come nascono, evolvono e muoiono le stelle, e dunque spesso ci si va a guardare. Si impara sempre qualcosa, ve lo assicuro. Gli astrofisici stellari vanno ghiotti di questi ammassi, sempre ne sono stati affascinati.
Ma stavolta siamo andati oltre. La visione cristallina di Hubble – un vegliardo che ci vede ancora bene – ha messo in evidenza ciò che c’èera, ma era passato finora inosseravato: una “nuova” galassia, che si trova proprio dietro l’ammasso di stelle. Ben dietro, dovremmo dire: parliamo di distanze di circa 30 milioni di anni luce, più di duemila volte la distanza che c’è tra noi e questo agglomerato di stelle.
La galassia – dai primi dati – misura appena un trentesimo della Via Lattea, e di luce ne produce circa un decimillesimo. Ma è una galassia a tutti gli effetti (gli astronomi la classificano come nana). Per la sua veneranda età – circa tredici miliardi di anni – si pone come un fossile che ci parla dei primissimi momenti di vita del cosmo.
Una cosa che non avremmo mai trovato, se non avessimo provato a guardare veramente, un ambiente che pensavamo di conoscere già.
Cosa altro siamo pronti a scoprire, ora? Cosa ci vuole raccontareadesso, questo universo?
E’ qualcosa che fino ad ora non si poteva vedere, non si riusciva a vedere. E’ la dimostrazione quasi palpabile che la Grande Nube di Magellano sta ruotando. Per la precisione, la rotazione della Nube (che è una delle galassie satelliti della nostra Via Lattea) è messa in chiarissima evidenza dai nuovi dati del secondo catalogo della sonda Gaia, appena rilasciato al pubblico.
Crediti: ESA, Gaia, DPAC
Come sappiamo, Gaia sta orbitando attorno al Sole (ad una distanza da Terra pari a circa un milione e mezzo di chilometri) e sta pazientemente misurando le posizioni e velocità di un largo campione di stelle intorno a lei. La maggior parte di esse, appartenenti alla Via Lattea, certamente. Ma non solo, come vediamo in questa immagine, che – mettendo insieme acquisizioni a tempi diversi – cattura parte della traiettoria di milioni di stelle appartenenti non alla nostra galassia ma alla Grande Nube di Magellano.
E’ davvero istruttivo rivolgere lo verso il centro del nostro “mondo”, ovvero idagare cosa accade nel centro di una galassia smisuratamente grande come la nostra, che è la “casa” per centinaia di miliardi di stelle. Abitiamo parecchio in periferia, lo sappiamo, ma ormai riusciamo a dare uno sguardo piuttosto accurato anche nei quartieri centrali, con l’uso degli strumenti moderni.
Crediti: NASA/CXC / Columbia Univ./ C. Hailey et al.
Ci aiuta Chandra, in questo compito: un telescopio spaziale che è riuscito ad identificare un “grappolo” di buchi neri (con masse di alcune decine di volte il Sole), probabilmente membri di sistemi stellari binari. Sono gli oggetti identificati dai circoletti rossi nell’immagine qui sotto, precisamente. Tutto questo accade in un intorno di appena tre anni luce dall’esatto centro della Galassia, dove “abita” il buco nero supermassivo identificato come Sagittarius A*.
Duecentodiciannove milioni di stelle. Non meno di queste, sono le stelle che formano il nuovo catalogo della parte nord visibile della nostra galassia. Ci sono voluti ben dieci anni perché venisse assemblato il catalogo, utilizzando l’Isac Neewton Telescope (INT) localizzato a La Palma presso le Isole Canarie. Il lavorone appare oggi sulle pagine della rivista specialistica Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Una banda chiara che attraversa il cielo: così si può ammirare la Via Lattea da posti abbastanza bui. Personalmente, è una delle cose che ammiro con più emozione quando sono in montagna in Abruzzo. Poco fuori da Rocca di Cambio: lì sì che la notte è veramente buia. E lì che il disco della Via Lattea sbalza vivido e gagliardo contro il nero pulito del cielo, in tutto il suo fulgore. Ma certo, molti di voi avranno il loro posto preferito – e lontano dalle luci – dove poter godere della meraviglia del cielo notturno. E se non l’avete, vi consiglio di trovarlo, e alzare il naso in sù: vale la pena, davvero.
La mappa di densità del disco della Via Lattea, costruita dai dati IPHAS. La scala mostra la latitude e la longitudine, relative alla posizione del centro della galassia. E’ appena una piccola sezione della mappa totale, ma già da un senso della portata di questa squisita cartografia galattica, costruita con certosina pazienza (Crediti: Barensten e collaboratori)
Tornando al catalogo, diciamo subito che non scherziamo, come dimensioni: stiamo parlando di una estensione di centomila anni luce. Certo il disco galattico è la parte più luminosa ed esuberante della nostra Via Lattea, perché contiene la gran parte delle stelle della galassia (incluso il nostro Sole), e certamente la più densa concentrazione di polvere e di stelle.
L’occhio umano si perde, in questo mare di stelle. Assai meglio se la cava lo specchio da 2.5 metri di INT. Con quello gli scienziati hanno intrapreso la cartografia di 219 milioni di stelle: un compito da far tremare i polsi, non c’è dubbio. INT ci vede lungo, del resto: arriva a stelle della ventesima magnitudine, mentre l’occhio umano arriva sì e no alla sesta (ricordiamo che le magnitudini vanno al contrario della luminosità – o meglio del suo logaritmo: insomma più il numero è grande meno la stella è luminosa).
Attraverso questo catalogo, gli scienziati hanno messo insieme una mappa straordinariamente dettagliata del disco della nostra Galassia, che mostra bene come varia la densità di stelle nelle varie zone. E’ una immagine vivida e completamente nuova di quello che ci circonda.
La produzione del catalogo di stelle, che prende il nome di IPHAS DR2 – solo dal punto di vista informatico una bella impresa – è un lucido esempio dell’approccio moderno dell’astronomia verso i “big data”. Le informazioni riguardano 219 milioni di oggetti, appunto. E ognuno di questi è rappresentato da ben 99 parametri.
Niente male, davvero.
E tutto questo è per la comunità, for free, come si dice. Infatti il team offre al mondo scientifico libero accesso alle misure acquisite attraverso due filtri a larga banda, che hanno catturato la luce all’estremo rosso dello spettro visibile, più una banda stretta centrata sulla linea di emissione dell’idrogeno, quella più luminosa, ovvero H-alpha (ottima scelta per produrre stupende immagini di nebulose, che si trovano in gran numero nella Via Lattea).
Guardarsi intorno fa bene, e lo facciamo spesso, anche da queste colonne. Ogni tanto però è anche bello ed istruttivo dare uno sguardo direttamente al centro. E il centro per noi più… “centro” di tutto è senz’altro quello della nostra Galassia. E’ ormai praticamente certo che nella zona centrale della Via Lattea si trovi un buco nero supermassivo (come del resto accade per gran parte delle galassie). l suo nome è Sagittarius A* ed è il vero protagonista di questa immagine acquisita con il telescopio spaziale Chandra, che lavora in banda X.
Per la precisione, il riquadro centrale è largo appena mezzo anno luce, e ritaglia la zona esatta del centro della nostra Galassia, lontano circa 26000 anni luce da noi. L’immagine combina dati in infrarosso (colori rossicci) e in banda X (colori blu). La cosa interessante è che dall’analisi dei dati risulta che il buco nero “di casa nostra” mostra un comportamento insolitamente “tranquillo”.
In effetti pare che molta parte del gas caldo – prodotto dalle stelle di grande massa – riesca a scappare all’attrazione del buco nero stesso, per cui l’attività energetica di Sagittarius A* è relativamente ridotta. Detta in termini semplici anche se un po’ imprecisi, ha poca benzina e preferisce gestirla oculatamente… 😉
Sorgente: APOD 6.09.2013, crediti immagine: X-ray – NASA / CXC / Q. Daniel Wang (UMASS) et al., IR – NASA/STScI
Il centro della nostra Galassia, la Via Lattea, è di nuovo oggetto di attenzione da parte dei telescopi dell’ESO. Stavolta è il turno di ISAAC, lo spettrometro e la camera che operano in banda infrarossa.
Dal deserto di Atachama in Cile, sede degli osservatorii ESO, la Via Lattea offre una vista davvero magnifica. In particolare è stupenda la visione del cielo dell’emisfero del sud nel periodo invernale, quando la regione centrale della Galassia è in gran parte visibile.
Tuttavia, il centro galattico, localizzato a 27.000 anni luce nella direzione del Sagittario, rimane ordinariamente nascosto dietro spesse nubi di gas e polveri interstellari. Come sappiamo, queste sono opache alla radiazione luminosa “normale”, ma si rivelano molto più trasparenti alle bande della regione infrarossa dello spettro. Nell’immagine qui riportata, le osservazioni in infrarosso mostrano chiaramente il denso affollarsi di stelle intorno al centro galattico.
Questa suggestiva immagine del centro galattico è ottenuta da ISAAC, e copre un campo di vista di 2,5 minuti d’arco (Crediti: ESO/R. Schoedel)
Ormai sono più di diciotto anni che i telescopi ESO scrutano il centro della nostra Galassia. Oltre ad ottenere una serie di immagini ad alta risoluzione di questa importantissima zona di cielo, hanno anche prodotto le prove definitive dell’esistenza del gigantesco buco nero al centro della Via Lattea (sono stati loro a rilevare – sempre nell’infrarosso – la caduta di materiale all’interno del buco nero supermassivo, confermandone la sua presenza al di là di ogni congettura)
Gli astronomi hanno appena scoperto quello che si può definire come un “fossile”, proveniente dalle profondità del tempo: un segno di quando l’Universo era ancora molto molto giovane. Il peculiare oggetto è una stella, che potrebbe essere stata di seconda geenrazione, formatasi dunque non molto più avanti dello stesso Big Bang, la “grande esplosione” che ha dato origine all’Universo e a tutto ciò che esso contiene.
Posizionata nella galassia nana Sculptor (appartentente al Gruppo Locale), a quasi trecentomila anni luce di distanza da noi, la stella presenta dei rapporti di abbondanze chimiche soprendentemente simili a quelle riscontrate nelle stelle più anziane della nostra stessa Galassia. La sua presenza e le sue peculiari caratteristiche, suggeriscono come la Via Lattea abbia attraversato nella sua storia una fase di acuto “cannibalismo”, crescendo ed allargandosi a spese (possiamo ben dirlo) di una miriade di piccole galassiette, che sono state pian piano inglobate nella struttura in formazione, esattamente come dei “mattoni da costruzione” per la Galassia.
“Questa stella con ogni probabilità è quasi antica quanto l’Universo stesso” ha detto Anna Frebel dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, prima firmataria dell’articolo sulla prestigiosa rivista Nature, dove si descrive la scoperta.
Le galassie nane sono piccole galassie con “appena” pochi milioni di stelle – davvero poco se confrontate con le centinaia di miliardi presenti nella Via Lattea! Nello scenario cosmologico noto come “bottom-up” (dal piccolo al grande, potremmo tradurre) le galassie più grandi si formano infatti lungo un arco temporale di milardi di anni, “assorbendo” ed inglobando un buon numero di queste piccole ma diffusissime galassie (le galassie nane sono di gran lunga le più diffuse nell’intero Universo).
E’ interessante notare che, se le galassie nane sono davvero i mattoni con i quali si construiscono le galassie più grandi, allora lo stesso tipo di stelle si dovrebbe poter trovare in entrambi i tipi di galassie. Questo dovrebbe essere ancor più vero nel caso di stelle antiche, povere di “metalli”: proprio quelle che meno avrebbero avuto modo di risentire dell’ambiente circostante, proprio quelle che potrebbero ben “tradire” la loro comune origine.
Le stelle più vecchie nella nostra Galassia possono essere veramente “povere di metalli”, con abbondanze di elementi pesanti – appunto chiamati impropriamente “metalli” in astronomia – anche centomila volte più basse che nel Sole (che è una tipica stella più giovane, e ricca di metalli). Finora anche le più attente indagini non erano però state in grado di individuare stelle dello stesso tipo nelle galassie nane. Mancava dunque un riscontro osservativo chiaro per la stessa teoria della formazione della nostra Via Lattea.
Una piccola stellina, ma così importante…! Crediti: David A. Aguilar (CfA)
La ricerca attuale dunque è importante perché finalmente rimuove anche l’ultimo ostacolo per la conferma dello scenario teorico. La stella trovata in Sculptor, chiamata S10220549 (certo non molto facile da ricordare, come nome…) risulta da misure spettroscopiche davvero povera di metalli: per la precisione, ben seimila volte più povera del nostro Sole! Una così bassa abbondanza di elementi pesanti, risulta cinque volte inferiore alla stella più “povera” finora trovata nelle galassie nane.
Dunque la semplice scoperta di questa stellina, ci rende assai più confidenti che lo scenario di formazione delle galassie che conosciamo, sia quello giusto: la Via Lattea con ogni probabilità, è nata esattamente così: inglobando pian piano una miriade di piccole galassie che le giravano intorno (e ancora continua a farlo, ad esempio con Sagittario. Il lupo, si sa, perde il pelo ma non il vizio! Ma questa è un’altra storia…)