E’ come una meraviglia che ci viene silenziosamente sottratta, così che quasi non ce ne accorgiamo. Ma anche noi. Ne facciamo a meno, alla fine rinunciamo. Sì, poi chi ha tempo, chi ne ha anche voglia, in fondo? La sera c’è la televisione, le partite, le varie piattaforme, c’è quella serie da vedere, quella che ha consigliato il collega in ufficio…
Non che tutto questo non si possa fare, chiaro. Anzi è bello spesso ritrovarsi in famiglia, o con gli amici. Ragionare e sentire che si sta vivendo, che stiamo andando avanti, ognuno come può, come riesce, ma sempre in cordata, senza essere mai soli.
Bellissimo, certo.
Accanto a tutto questo c’è questa meraviglia, però. Una quieta meraviglia. Che non fa rumore, che non protesta, che nemmeno si arrabbia se nessuno la guarda (e in tutto il cosmo, potremmo essere gli unici a guardarla, chissà, potrebbe esistere soltanto per noi). E’ lì, paziente. Ma perché non ammirarla, perché non gustarla, questa meraviglia?
Questione imbarazzante, in molti sensi. Questione scomoda, per noi che ci accontentiamo spesso di piccoli risultati, piccoli progetti, piccoli aggiustamenti nell’assetto complessivo dell’esistenza. Sembra davvero non essere questo, il tempo di grandi imprese, di grandi progetti, di grandi domande. Sembra in effetti, che non lo sia mai.
Eppure è sempre necessario ripartire, scuotersi di dosso la polvere sedimentata a forza di accumulare scelte volte al piccolo cabotaggio, all’aggiustamento della barca (ma sempre) in porto, a vele arrotolante in modo che non prenda vento, al piccolo respiro contratto, che insomma non si sa mai.
Bene. Lo dico innanzitutto a me stesso, in questa chiusura di anno. Davvero, è ora di ripartire, di prendere il largo, di sentire l’aria sulla faccia, respirare l’infinito di nuovo. Le questioni scomode – di ogni tipo – vanno dunque accolte, vanno accolte a braccia aperte, perché infrangono un assetto di universo statico, che si è venuto a (ri)formare nelle nostre vite, un assetto vecchio ma che fa fatica a liquefarsi definitivamente.
Un identico assetto spesso blocca tanto la nostra curiosità del mondo fisico quanto la nostra fame di senso del vivere (che possiamo chiamare il sacro), ferma la ricerca appassionata, facendoci rientrare, per paura, in schemi ormai vecchi, che non portano più nutrimento. Ebbene, questo assetto va scosso, perché nuovi equilibri, nuove visioni, si facciano spazio.
La domanda che ci siamo fatti venerdì sera, dove vanno il cielo e la terra? è una domanda che fino a qualche decennio fa, semplicemente non aveva senso. Almeno per quanto riguarda il cielo. Il cielo, in effetti, non andava da nessuna parte: era lì da sempre e sarebbe sempre rimasto così (al massimo, era stato creato così ad un certo punto). E questo lo pensava perfino un tipo di nome Einstein, fino a che le sue stesse equazioni, facendo esplodere il nuovo paradigma sotto il suo stesso naso, non l’hanno costretto a cedere, ad arrendersi ad un cosmo in evoluzione. Chiudendo con l’eterna stazionarietà ma aprendo le porte ad una storia meravigliosa e umanissima. Da riprendere ogni giorno, ogni momento.
In che senso possiamo sostenere che l’universo è elegante? Ed ancora, come possiamo accorgerci di questa eleganza, e che conseguenze può avere? Che conseguenze concrete – intendo – per la nostra esistenza su questo pianetino che ruota intorno ad una piccola stella situata nelle periferie di una enorme galassia a spirale?
Ottima conversazione nella serata, lo scorso lunedì, per la serie Io divulgo forte di Radio Incredibile con Andrea Cittadini Bellini e Valeria Tassotti. Siamo partiti dal rapporto tra scienza e fede ma presto il dialogo si è allargato ad altri temi e altre provocazioni. Alla fine, saremmo andati avanti per ore: l’affiatamento era perfetto e il dialogo scorreva senza intoppi.
Spesso ce lo chiediamo, come andrà a finire? Domanda legittima in diverse circostanze: quando magari non intravediamo lo sviluppo di qualcosa che ci sta a cuore, quando vorremmo soltanto correre in avanti, quasi scavallando il tempo, nell’ansia incontenibile di sapere. Che poi le cose hanno un loro svolgimento, spesso si definiscono proprio nel tempo, così che non sempre è realmente produttiva questa fuga dal presente.
Tutto questo è – se possibile – ancora più vero anche quando intendiamo la domanda nel più ampio senso possibile, cioè riferendola al cosmo. Come andrà a finire il tutto? Che ne sarà, nel tempo, di questo nostro universo fisico? La ragione calcolante vuole risposte precise, pretende dati quantitativi, a volte ignorando che le risposte vengono solo passando attraverso delle fasi, impregnandosi con ciò di cui si sta trattando. Insomma, non è detto che la domanda sia sempre e comunque ben posta, anche se la curiosità è comprensibile e legittima.
Di tutto questo discorro con Gabriele Broglia, sempre sotto la attenta ed affettuosa guida tecnica e regista di Emanuele Giampà, nella sesta puntata della serie di Darsi Spazio, puntata che rappresenta anche la chiusura di stagione (e mai titolo potrebbe dunque essere più appropriato) per questo primo ciclo di conversazioni.
L’episodio si apre con una citazione di Federico Faggin (un post dal suo account X) ed una di Marco Guzzi (dal suo volume Dalla fine all’inizio) che ci aiutano ad imboccare (credo) il giusto sentiero, per arrivare poi a discutere delle varie (interessantissime) teorie della fine del cosmo, per come le possiamo delirare alla luce delle conoscenze attuali.
C’è qualcosa che spesso non convince negli spot di Apple, almeno secondo me. Voglio dire, tecnicamente sono fatti molto bene, sono fatti da gente che li sa realizzare. Su questo, nulla da dire.
Ma se ragiono sul messaggio che mi vogliono mandare, spesso trovo un disallineamento dalla realtà, uno sfasamento sottile, mi imbatto in qualcosa che insomma non mi torna. Oggi, come nel recente passato.
Prendiamo quello che sta girando abbastanza in televisione, in questi caldi giorni estivi (quello che trovo in rete, per la verità, è una versione un po’ diversa da quello che ho visto più volte in televisione, ma il concetto è lo stesso).
Riprendo le parole del sito iphoneitalia, nell’articolo che descrive lo spot
Nel video, telecamere di sicurezza sono rappresentate come fastidiosi uccelli e pipistrelli che sorvolano gli utenti mentre navigano sul web, simboleggiando i tracker dei siti. La maggior parte dello spot si concentra su utenti non iPhone, ma verso la fine, un utente iPhone apre Safari e tutte le inquietanti telecamere esplodono in aria, sottolineando la sicurezza del browser Apple.
Famosa la domanda che fece Enrico Fermi mentre lavorava ai laboratori di Los Alamos nel 1950. Si parlava di un avvistamento UFO riportato dalla stampa, la conversazione si spostò poi su argomenti correlati, fino a che Fermi sbottò, Dove sono tutti?
È il celebre paradosso di Fermi: se l’universo è pieno di pianeti adatti alla vita, appunto, dove sono tutti?
In questa conversazione tra me e Gabriele Broglia– la quinta della prima serie di Darsi Spazio, sempre sotto la attenta guida di Emanuele Giampà – parliamo proprio di questo. E di dove cercare la vita, semmai si possa trovare.
Il giorno 15 del mese di maggio ho tenuto, presso il Fondo Ferroni di Frascati, un intervento dal titolo Il Cosmo e la Poesia. Di fronte ad un nuovo universo?
In questa occasione ho voluto riprendere il discorso a tappe che sto conducendo nella rubrica Il cosmo e la poesia sul magazine dell’associazione Frascati Poesia, volto proprio ad esplorare quella fittissima trama di relazioni che sussiste tra la ricerca astronomica e cosmologica e l’espressione poetica, di ogni tempo. Un discorso che finalmente, dalla parola scritta si è riversato nella conversazione orale, con tanti stimoli, domande cui poter rispondere, persone con le quali poter interagire.
Un’occasione anche, per fare il punto sullo stato attuale della nostra comprensione del cosmo, come pure su tutte le occasioni di meraviglia che ci regala la ricerca attuale, dalle immagini spettacolari della superficie di Marte, all’epopea delle Voyager, fino a chiederci di cosa è fatto l’universo e ad arrenderci, docilmente, alla nostra immensa e feconda ignoranza.
Grazie di cuore a Rita Seccareccia di Frascati Poesia per avermi invitato, ma grazie di cuore anche ad Angelo Chiolle per aver realizzato con attenzione e passione il montaggio delle immagini in sincrono, con l’audio registrato durante il mio intervento.
Ecco, il viaggio tra cosmo e poesia continua, perché in fondo (almeno per me, ormai l’ho capito) è il viaggio della vita.
Per quanto il titolo possa apparire roboante, bisogna dire che non è troppo lontano dal vero, in questo caso. Ed è tutto merito loro, se ci spingiamo fin quasi ai confini del cosmo: merito senz’altro di questi grandi telescopi spaziali dei quali ragiono in questa recentissima chiacchierata svolta in compagnia di Alberto Negri, di SpazioTesla.
Certo di telescopi nello spazio ormai ce ne sono tantissimi, la lista è davvero lunga. Solo per questioni di esempio e per la loro indubbia rilevanza nella storia e nella attualità astronomica, che sono stati scelti questi tre: Hubble, James Webb ed Euclid, tutti e tre già ben presenti tra gli articoli di questo blog (se cliccate sui link sotto il nome dei singoli telescopi potrete verificarlo).