Che buffo però. Che strano, provare a gestire una risorsa che rimanga, nel mondo poliedrico e in rapido movimento di Internet. Dove è tutto centrato nel presente, ma così nel presente che – in realtà – non ci sei mai. Perché non ti puoi fermare, non puoi respirarlo questo presente. Muta troppo in fretta.
Tutto funzionale ad attirare l’attenzione, contenderti l’attenzione di un momento, magari due. Una gara per catturarti, dentro questo o quel social, in un sito, in un sistema di consultazione e di acquisto.
Anche questa idea che ora è in questo sito, idea che prese forma nel lontano 1997 come breve bollettino di notizie astronomiche, ospitato nello spazio web dell’Osservatorio di Roma (va detto, in un panorama di risorse divulgative enormemente più povero di adesso), ha cambiato varie forme, indirizzi. Ma sostanzialmente è rimasto. E ho cercato di preservare tutto quello che è stato scritto – da me e da altri – senza abbandonare mai nulla.
Nel frattempo, ho cambiato stato di vita, modalità di vivere e lavorare, ho mutato opinioni, lavorato sui miei limiti (dove era possibile), ho fatto esperienze, ho visto la mia famiglia e i rapporti, personali e professionali, evolversi e mutare. Per qualche motivo, però, non ho mai abbandonato per tanto questo spazio. Per alcuni tempi, sì. Ma poi sentivo sempre il bisogno di tornare.
Non è notizia recente, d’altra parte qui non rincorro le notizie fresche fresche, ci sono siti ben più agguerriti che lo fanno benissimo. A me piace prendere tempo e riflettere, ruminare su alcune cose che hanno un risvolto tecnologico (mai soltanto tecnologico, beninteso).
E una cosa interessante – per chi ha vissuto il tempo delle lotte furibonde tra sistemi operativi, ovvero (soprattutto) tra fanatici di Linux e seguaci ortodossissimi di Windows – è questa alleanza relativamente nuova tra Microsoft e il mondo Open Source. Da tempo ormai, Windows permette di istallare Linux nativamente, con il Windows Subistem for Linux, in modo da creare un ambiente in cui usare applicazioni Windows (anche grafiche) e Linux al medesimo tempo e anche scambiarsi dati tra i due ambienti, con pochissimi problemi.
il sottosistema Windows per Linux (WSL) è una funzionalità di Windows che consente di eseguire un ambiente Linux nel computer Windows, senza la necessità di una macchina virtuale separata o di un doppio avvio. WSL è progettato per offrire un’esperienza facile e produttiva per gli sviluppatori che vogliono usare sia Windows che Linux contemporaneamente
Che le cose prima non stessero affatto così, beh è nella memoria di molti di noi. Ma per i più giovani possiamo notare come alcuni segnali rimangano a testimonianza di un’epoca ormai (felicemente) tramontata, quella cioè delle opposte e sfegatate tifoserie. Quelle dove – tanto per cambiare – al posto della coesistenza pacifica c’era l’idea di guerra intrapresa per liberare il mondo da questo o quel sistema operativo. L’altro era il male, in pratica. Vi ricorda qualcosa questo atteggiamento? Purtroppo, temo di sì.
Meno male che le cose cambiano. A volte, piano piano, cambiano anche in meglio. Ora c’è addirittura una pagina di Microsoft dove si spiega come istallare Linux. Vero, si sconsiglia di sostituire del tutto Windows con Linux con una bare metal installation, ma questo ci può stare: strumenti come la virtualizzazione o appunto il già citato sottosistema Linux permettono di evitare partizionamenti del disco rigido che possono sempre rivelarsi distruttivi, sopratutto se non si prendono le adeguate misure di precauzione.
Questo è il punto. Ormai non ci meravigliamo più. Siamo capaci di trascorrere le giornate, infatti, considerando “normale” quello che solo fino a pochi anni fa avrebbe destato la più grande meraviglia. Come appare normale, ormai, l’idea di essere sempre connessi.
Dovunque andiamo ormai ci aspettiamo di poter avere l’accesso ad Internet. Eh sì, perché ormai l’accesso ad Internet è diventato sempre più portatile, quasi ormai indossabile, e dunque non siamo troppo disposti a farne a meno. Anche perché, sempre più attività si svolgono sul web.
Pare strano, adesso, pensare a quando Internet non c’era. Ma appare ancora più strano pensare all’epoca in cui Internet, pur esistendo, non era diffuso così capillarmente come adesso, non era percolato nelle più varie attività umane. Pare strano, per chi ha vissuto l’epoca di transizione dal non connessi al sempre connessi, con tutte le gradazioni che si sono prodotte, nel tempo.
Non sempre ce ne rendiamo conto, ma siamo sulla soglia di una rivoluzione epocale. Soprattutto, penso, non se ne rendono conto i nativi digitali, le persone nate e cresciute con Internet, con l’idea di averlo sempre a disposizione, con la sensazione sottopelle che sia una cosa eterna ed immutabile.
A volte penso che questi nativi si siano persi una cosa formidabile. La sensazione frizzante di una cosa nuova e bella che stava arrivando. Non capita tutti i giorni, una rivoluzione così. Ricordo la meraviglia di caricare una pagina web, anche semplice semplice, solo testo e una figura piccolina. Niente interattività, niente javascript, AJAX, applet, cose che si modificano da sole, niente. Pagina totalmente statica.
Ma già realizzare di poter seguire una serie di collegamenti, che ogni pagina può essere collegata ad una miriade di altre, in un gigantesco e potenzialmente illimitato ipertesto, già il presentimento timido di iniziare dunque un’esplorazione che virtualmente può non avere mai fine. Già questo, già questo rimarrà per sempre una cosa straordinaria. Che solo una piccola parte di umanità potrà mai aver provato (sì, posso dire, per quel che vale, io c’ero).
Ancora di più, la scoperta di poter creare dei contenuti ed esporli in questa rete. Che siano potenzialmente fruibili in Giappone, in Asia, in Antartide. Dovunque. Ma come poterlo pensare, prima di Internet?
A ripensarci, è avvilente che usiamo tutto questo, che sfruttiamo questa rete di meraviglia, a volte, semplice-mente per questionare su Facebook. Ma ci sta, anche questo ci sta. E’ umano, totalmente umano. L’importante è rendersi conto, rendersi conto di che strumento formidabile abbiamo a disposizione. Sottrarlo un momento dal velo opaco dell’abitudine – sotto il quale l’abbiamo sepolto – per meravigliarci, di nuovo.
Dopotutto Internet, senza la meraviglia, è morto, è una cosa morta. Con la meraviglia e lo stupore, veicolati in rete, possiamo fare grandi cose.
Vorrei spendere qualche parole per ripensare un po’ a quanto sta cambiando l’approccio di lettura di un articolo (un articolo scientifico, per la precisione). Fedele al motto scrivi di ciò che conosci, farò riferimento, ovviamente, alla mia esperienza di ricercatore astronomo. E’ pur sempre un osservatorio molto interessante sul mondo della tecnologia, tra le altre cose.
Per un bel periodo di tempo, se ci penso, ho continuato a riferirmi alla pagina per elaborare le informazioni Ecco, dopo un po’ che leggevo l’articolo sullo schermo del computer, dovevo per forza premere il tasto stampa. Ai miei occhi il vero articolo, per molti anni, è stato esclusivamente quello stampato.
Già il passaggio dalla rivista scientifica cartacea a quella digitale è stata una piccola rivoluzione. Ricordo ancora bene le peripezie che si innescavano quando volevo (o dovevo) andarmi a leggere un articolo, magari desunto da una referenza posta in calce ad un altro articolo. Ora lo farei stando al computer, senza altro movimento che quello delle dita. Due click (o poco più) e avrei il PDF aperto sullo schermo.
Allora, no.
Si trattava “in quel tempo” – tecnologicamente assai remoto – innanzitutto, di muoversi. Intanto, di recarsi nella libreria dell’istituto. Cercare tra i veri libri. Lì poteva allora dispiegarsi una elaborata caccia, condotta tramite degli appositi indici posti in fondo ai volumi delle riviste, rilegate. Attraverso un complesso sistema di rimandi e di codici si poteva riuscire a risalire alla pagina e al fascicolo dell’articolo che si cercava. Ed era un risultato. Indi, si procedeva alla consultazione in sito, o all’eventuale fotocopia. Non era però infrequente il caso in cui si scopriva – solitamente con un vivo disappunto – che no, purtroppo l’articolo non era disponibile nella libreria locale. Allora il passo successivo era quello di coinvolgere un altro essere umano… segnatamente il bibliotecario, il quale – grazie alla sua disponibilità e attraverso la sua rete di contatti – avrebbe (a) verificato la reperibilità del volume ricercato, e (b) provveduto a far recapitare le fotocopie all’utente interessato. Nell’arco, ovviamente, di qualche giorno o forse più, a seconda della difficoltà del reperimento dell’articolo stesso.
Tutto piuttosto diverso da quanto avviene adesso.
Cosa succede ora, infatti? Se mi serve un articolo, lo cerco su NASA Astrophysical Data System (ADS) e in un attimo trovo quello che mi serve. Se mi ricordo la referenza in maniera incompleta metto i dati che conosco, magari un intervallo di anni, il nome di uno degli autori e il sistema mi fornisce istantaneamente la lista di tutti gli articoli che soddisfano la mia richiesta (la maschera di ricerca è veramente elaborata). Se voglio leggere l’articolo in forma completa quasi sempre posso farlo, seguendo l’opportuno link. Se voglio scaricarlo sul mio computer, idem.
Insomma. Tutto semplice, tutto immediato.
E’ scomparsa completamente la parte della caccia: in altre parole,non è più necessaria alcuna abilità (se non quella di riempire opportunamente i campi di ricerca dell’interfaccia di ADS). Insomma, potremmo dire che l’efficienza e la praticità hanno vinto anche su quella residua parte di mistero, che poteva ancora essere presente in una procedura complicata e in qualche modo artigianale, che comunque che richiedeva una sua opportuna dose di apprendimento.
Ovviamente non è solo la perdita del romanticismo, il punto. Se abbiamo perso qualcosa con questa moderna immediatezza, abbiamo enormemente guadagnato in altri ambiti. Solo per restare ad ADS, è impressionante riflettere sul fatto che praticamente mette a nostra disposizione (con qualche limitazione per il materiale sotto copyright) circa dieci milioni di articoli, provenienti da tutte le maggiori riviste internazionali di astronomia (e non solo). Nessuna libreria fisica potrebbe sperare tanto.
Indulgendo in una facile generalizzazione, possiamo dire che ormai lo strumento di elezione per trovare e leggere gli articoli è il web. Sono finiti gli anni degli stanzini pieni di collezioni delle riviste, dove ti potevi aggirare sperdendoti tra le annate di Astrophysical Journal di cinquant’anni fa. Toccando, in pratica, la storia dell’astronomia.
Ora è tutto virtuale, è tutto digitalizzato. I vantaggi sono molti, certamente. Ma un po’ di poesia, ecco, forse è svanita…
Mi azzardo a dire che al momento attuale, le novità più interessanti legate al mondo del web e dei servizi che vi girano intorno, vengono da un paio di aziende appena: Apple e Google. Due aziende – lo sappiamo – quanto mai distanti per filosofie di sviluppo, strategie commerciali, licenze e quant’altro. Due modi di intendere la comunicazione e la fruizione di contenuti sulla rete.
Non credo vi siano molte cose in comune nella visione di Apple e di Google. Una è puntata sulle dispositivi mobili e vede la rete principalmente come una utile possibilità di interconnetterli, l’altra scommette sul web come una sorta di piattaforma unica universale, ove far “vivere” il suo mondo di servizi. Al proposito, c’è da dire che il mondo di servizi e di offerte di Google sta diventando sempre più organico e completo, e il divario con quello di Apple (un tempo decisamente più coerente ed omogeneo) si sta sempre più assottigliando.
Insomma… Ma perché non mi hanno invitato? (Crediti: Google)
Google IO 2013 si è appena svolto, e dalla serie di novità illustrate, abbiamo ben capito che nell’azienda di Mountain View non amano certo stare con le mani in mano. Mi astengo dal listare tutte le varie cose annunciate, e mi limito a focalizzarmi – coerentemente con le impostazioni di questo blog che dà ampio spazio alla lettura su supporti digitali – su un aggiornamento di Play Books, tutt’altro che trascurabile: la possibilità finora inedita di caricare files in formato epub e pdf.
Non è una cosa da poco. Instantaneamente si apre un mondo. Finalmente i files epub infatti possono essere letti dappertutto, finalmente hanno una circolazione potenzialmente universale. Basta infatti caricare i propri libri digitali(ovviamente, quelli non protetti dagli infausti DRM: solo il social DRM può andar bene) dal computer nella propria area di Play Books, e subito potremo accedere ai libri caricati praticamente da qualsiasi dispositivo: Play Books ha software per tutte le piattaforme.
E’ la soluzione più facile e diretta per leggere gli epub, a mio avviso. Quali erano le possibilità, finora? Certo, si poteva usare il proprio account Amazon, caricare il file epub come documento. Possibile, certo. A patto prima di convertire il file da epub ad un formato “gradito” ad Amazon, come il moby. Dunque rendendo necessario un passaggio in più.
Oppure – da utenti Apple – si poteva naturalmente caricare il file sull’iPad o sull’iPhone e leggerlo con (l’ottimo) software iBooks. Splendido, certamente. Con l’unica noia di dover ripetere l’operazione per ogni dispositivo su cui si intende leggere il dato libro, e di non poter comunque fruire della lettura da computer o notebook, nemmeno se a marca Apple (l’azienda di Cupertino non ha mai rilasciato un software di lettura per sistemi).
Ora i nostri libri in epub possiamo caricarli dentro Google Books e li leggiamo istantaneamente dappertutto: basta un browser, in effetti. “Ovviamente” abbiamo la sincronia assicurata in caso di lettura da vari dispositivi, e la utile possibilità di evidenziare dei passaggi. Per gli amanti del libri, una possibilità decisamente interessante.
Mi sto accorgendo che, pian piano, sta riuscendo a Facebook (forte della sua amplissima diffusione, che la rende praticamente uno standard “de facto”) quello che non è riuscito praticamente mai a nessuno (intendo sul serio). Avete presente quei tastini blu con “mi piace” che compaiono sempre più spesso nei diversi siti? Quelli che segnalano su Facebook il gradimento di una qualsivoglia pagina web, per capirci. La cosa simpatica è che oltre al numero di persone a cui piace una data pagina, vengono elencati espressamente i tuoi amici che hanno dato il gradimento. Siccome gli amici vengono scelti anche in base agli interessi, non è raro trovarne nelle pagine che visitiamo personalmente.
Per esempio, a me che per lavoro e per passione scorro diverse pagine e siti di argomento astronomico (e sempre di più trovo implementate i widget di Facebook), non è raro imbattermi in un sito che trovo già “apprezzato” da alcuni miei contatti. Questo innegabilmente rende la navigazione meno impersonale e aggiunge in alcuni casi un gradevole senso di comunità.
In questo modo si ottiene una sorta di “gradimento” della pagina, per di più “personalizzato”, che tanti indici e rank secondo me non sono mai riusciti a rendere interessante.
Questa sera ho ricevuto un mail decisamente interessante, tanto che mi pare utile riportarvelo quasi per intero…
“Vi andrebbe di aiutare a classificare un’area della estensione del Mar Morto questo fine settimana? I prograssi possono essere apprezzati collegandosi alla pagina http://www.moonzoo.org/moonometer, ma leggete pure aventi per scoprire di più.
La notte tra il 18 e il 19 settembre sarà quella dell’evento (che speriamo si ripeta annualmente) dell’Osservazione Internazionale della Luna (http://observethemoonnight.org/). Come parte di questo evento veniamo a chiedervi due cose. La prima, di uscire, guardare in alto, e godere dello spettacolo della luce lunare. Guardatela bene, la luna, poiché state prendendo parte ad una esperienza condivisa, pensiamo, da migliaia di persone intorno al mondo.
Poi tornate dentro e collegatevi al sito http://www.moonzoo.org ! Grazie al contributo di persone come voi, Moon Zoo ha già fornito alla comunità scientifica una serie di informazioni riguardo la posizione di creteri, sonde spaziali e caratteristiche geologiche per più di 24.000 miglia quadrate di suolo lunare. Questa area che è stata accuratamente scrutata è grande tre volte l’ampiezza del Galles. Per l’occasione della “notte internazionale dell’osservazione della luna” vogliamo classificare 20.000 immagini tra adesso e il 19 settembre. In questi quattro giorni, col vostro aiuto, aggiungeremo all’era classificata 275 miglia quadrate di nuove indagini. L’ampiezza del Mar Morto, o due volte la grandezza della città di Chicago.
Ok, non sappiamo cosa si potrà trovare nelle immagini, ma sappiamo già che la luna ha un sacco di scoperte in attesa di essere compiute, come dimostra anche il volume di informazioni che ci è arrivato dalla Lunar Reconnassaince Orbiter. Potreste essere voi a scoprire qualcosa di particolare capace di aprire nuovi orizzonti alla comprensione della geologia lunare!
Potete tener traccia di quello che voi ed altri “Zooites” stanno facendo per aiutarci ad arrivare all’obiettivo al sito http://www.moonzoo.org/moonometer. (la parte davvero “impressionante” però la raggiungete collegandovi a http://www.moonzoo.org/live ove potete vedere istante per istante cosa stanno “investigando” le varie persone in diverse parti del mondo, ndt)
Vi va di invitare i vostri amici a giocare? Potete anche trarre vantaggio dall’applicazione Facebook (http://apps.facebook.com/moonzoo), che vi permette di condividere con gli amici le scoperte geologiche fatte sul suolo lunare….
In breve, guardate la luna, poi andate online e contribuite alla scienza. Grazie per il vostro aiuto.”
Adattato da una comunicazione del sito Moon Zoo agli iscritti (il processo di iscrizione è semplice e gratuito). Il mail originale in inglese è a visibile a questo link.
Alcuni astronomi dell’Università di Manchester e di Cardiff hanno appena reso disponibile un nuovo affascinante modo di esplorare la galassia. Il nuovo strumento è raggiungibile online, è stato chiamato Cromoscopio (Chromoscope, in inglese) e permette a chiunque di esplorare la Via Lattea o le zone più remote dell’Universo, in maniera più facile e divertente di quanto fosse possibile finora.
Il sito può mostrare il cielo in un ampio intervallo di lunghezze d’onda, dai raggi gamma di alta energia fino alle lunghezze d’onda più lunghe tipiche delle onde radio.
Una visione a varie lunghezze d’onda della Nebulosa di Orione Crediti: University of Manchester website
Il principale sviluppatore del progetto, Stuart Lowe (Università di Manchester) ribadisce che Cromoscopio è un progetto di natura collaborativa.
“Cromoscopio usa dati da un insieme di osservatori, che includono il radio telescopio gigante a Jodrell Bank” ha detto “questo permette alle persone di esplorare le connessioni tra il cielo notturno che vediamo con i nostri occhi e il cielo che gli astronomi esplorano a diverse lunghezze d’onda, come il radio e l’infrarosso”.
Robert Simpson, membro del progetto (da Cardiff) aggiunge:
“Cromoscopio getta nuova luce sugli oggetti a noi familiari, come la Nebulosa di Orione, la più vicina zona ove nascono nuove stelle. Questa visione dell’Universo è stata familiare agli astronomi professionisti per lungo tempo, ma Cromoscopio la rende accessibile a chiunque”.
Il sito di Cromoscopio è stato presentato alla dotAstronomy Conference a Leiden, in Olanda. dotAstronomy è la più grande conferenza annuale al mondo dedicata ai lavori che combinano la ricerca astronomica di punta con le ultime tendenze nelle tecnologie web.
Senza dubbio uno strumento interessante (consiglio anche la presentazione su YouTube), che si va ad aggiungere ai diversi modi in cui – grazie alle tecnologie più recenti – è diventato davvero possibile farsi una idea abbastanza precisa del lavoro degli astronomi “di professione”, mediante soltanto un computer connesso a Internet, e (soprattutto) tanta curiosità e desiderio di conoscenza…!