Ad appena 40 anni luce di distanza, ci sono sette nuovi mondi che orbitano attorno alla stella nana TRAPPIST-1: questa è stata la notizia che da ieri sera, appena uscita dall’embargo, ha girato il web creando una esaltazione che ha trovato debita sponda – come avrete visto –  anche nei telegiornali della sera. Che non è niente male, per una notizia di carattere astronomico. E che è stata subito onorata da Google che ha rapidissimamente predisposto una sua versione dei fatti, davvero notevole per il tratto di dolcezza e simpatia che lo caratterizza.

Quello che trovate su Google oggi… 😉

La cosa indubbiamente eccitante, della scoperta divulgata ieri, è che i pianeti sembrano tutti compatibili con la presenza di acqua allo stato liquido sulla superficie.  E sono proprio di tipo terrestre, a quanto pare.

Ma andiamo con ordine.

In realtà, già nel maggio dello scorso anno, gli astronomi al lavoro con il Transiting Planets and Planetesimals Small Telescope (TRAPPIST, per gli amici) avevano annunciato la scoperta di ben tre pianeti attorno al sistema TRAPPIST-1. Da qui, tramite una attenta sinergia di indagine, sono stati il Telescopio Spaziale Spitzer insieme con altri telescopi dell’ESO con base a Terra, a portare il numero dei pianeti del sistema fino al rispettabilissimo numero di sette.

Ricostruzione artistica dei sette “nuovi” mondi, orbitanti intorno a TRAPPIST-1. Crediti: NASA, JPL-Caltech, Spitzer Space Telescope, Robert Hurt (Spitzer, Caltech)

Qual è il vero punto per cui siamo ad una scoperta di grande impatto? In fondo di esopianeti se ne conoscono abbastanza, ormai. Per la precisione, abbiamo cataloghi di qualche migliaio di pianeti extrasolari in una grande varietà di sistemi planetari differenti, scovati con le tecniche più diverse.  Potremmo pensare, niente di nuovo. Solo altri sette che si aggiungono alla lista.

E invece sbaglieremmo drammaticamente.

Sì, perché questi pianeti – a differenza della grande maggioranza di quelli conosciuti – sono probabilmente tutti rocciosi ed anzi simili alle dimensioni della nostra Terra. Stiamo parlando senz’altro del più grande numero di pianeti di tipo terrestri rilevato attorno ad una sola stella.

Stella che, rispetto al nostro Sole, appare piuttosto debole, essendo una stella nana rossa, di suo piuttosto freddina. Ma è anche vero che questi pianeti orbitano sorprendentemente vicino al loro astro, per cui – altra caratteristica decisamente straordinaria – dovrebbero comunque (guarda un po’) presentare temperature superficiali nell’intervallo adeguato per la presenza di acqua liquida sulla superficie.

E soprattutto, non sono così lontani da essere fuori dalla nostra portata conoscitiva.  Anzi. Diventano di fatto i primi candidati per future esplorazioni mirate, che dovranno a questo punto caratterizzare l’atmosfera stessa di questi pianeti potenzialmente abitabili. 

Dovremo arrivare a capire se c’è acqua – o perfino qualche traccia indiretta della presenza di vita – attraverso lo studio dell’atmosfera. E’ un obiettivo eccitante, e per di piu comincia ad essere alla nostra portata: aspettiamo per questo delicato compito la ormai prossima entrata in funzione del successore di Hubble, il James Webb Space Telescope, e l’E-ELT dell’ente spaziale europeo (ESO).

Insomma, l’Universo ci sta regalando continuamente nuove sorprese, sia riguardo la sua natura più intima, profondamente innestata nella struttura dello spazio-tempo (onde gravitazionali) sia riguardo la sua estrema varietà di ambienti e di sistemi planetari (da Proxima b al sistema TRAPPIST-1). Sono evidenze che sempre di più esorbitano dalla sfera degli addetti ai lavori e – grazie alla Grande Rete – innervano velocemente il patrimonio del sapere comune, modificando irreversibilmente il nostro modo di guardare e pensare il mondo, di cercare anche il senso, in esso (a proposito di cercare non è un caso che Google abbia reagito così prontamente, è un segnale di questa rinnovata attenzione per questo prezioso senso di scoperta e di avventura, che ci viene dallo studio del cielo).

Come sempre, alzare lo sguardo implica la possibilità, dolcemente ripetuta e rinnovata, in ogni epoca, di rimanere semplicemente stupiti. E di imparare, parafrasando Shakespeare, che certamente ci sono più cose in cielo e in Terra di quante ne sogni la nostra filosofia. 

Che poi, dite pure quel che volete, ma rimarrà sempre il motivo più stringente e decisivo, per studiare il cosmo.

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