Apri il cuore, sto tornando

Immagina adesso, di rientrare a casa dopo un lungo viaggio fuori dalla Galassia. Sì, questa volta ti sei voluto prendere davvero una bella vacanza, una vacanza come si deve. Ma ci sta, ti capisco benissimo. Andare veramente lontano, centinaia di migliaia di anni luce (letteralmente), distante da tutti i luoghi già visti. Spingersi perfino fuori dalla Via Lattea, alla fine lo devi fare se ti vuoi vantare di essere un vero viaggiatore cosmico. Scorrazzare per Laniakea, surfare leggero lungo le increspature delle distese stellari in questo immenso paradiso, è troppo divertente, per non provarci, almeno una volta nella vita.

L’universo, d’altra parte, è un posto veramente enorme. Ricordi? Sembrano già passati millenni da quando si dubitava sull’esistenza di altre galassie, oltre la nostra. Sembra, perché, lo sai bene, era appena il febbraio del 1920, quando si tenne quel Grande Dibattito, quello tra i due dotti scienziati, che sostenevano tesi opposte (e lì per lì non hanno concluso niente). Beh, ma ora è chiaro, il cosmo è pieno di galassie. Gli amici astronomi ti assicurano, più di 100 miliardi. Decisamente troppe, per visitarle tutte. Non basta una vita.

Proprio così, stanno le cose. Puoi viaggiare per anni con la tua astronave a propulsione subliminale e, capisci, ancora non arrivi a vedere tutto quel che c’è da vedere. Sul tuo navigatore stellare aggiornato sono riportati, ormai, quasi tutti i ponti di Einstein-Rosen conosciuti (li aggiornano direttamente gli utenti, quando li trovano, i più diligenti li inseriscono volontariamente nell’applicazione), in modo che puoi sfruttarli per sbucare con poco sforzo in posti esageratamente lontani. E con tutto ciò, ancora ti manca tanto da vedere. Ma tanto.

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L’inizio della storia

Come è forte l’evidenza, ormai, che tutto è in evoluzione. Come si allontana sul nostro orizzonte concettuale, l’idea di un universo statico, sempre uguale a sé stesso. Di un universo indifferente, placidamente autoevidente, senza una storia.

Sappiamo bene che non è (più) così, l’universo ha una sua storia, l’universo è in continua mutazione: niente di quello che era ieri è nella stessa posizione, oggi. Il cielo stellato, anche se non ce ne accorgiamo ad occhio nudo, è ogni notte differente. Sappiamo anche che siamo figli delle stelle, siamo davvero materia stellare.

Ciò ha una portata culturale immensa, che ancora fatichiamo a comprendere appieno. Quello a cui ci spinge la moderna cosmologia, l’astrofisica contemporanea, è ad un salto di pensiero che non ha precedenti nella storia umana. In qualche modo, è come se l’universo ci stia spingendo verso una nuova consapevolezza.

Tale nuova consapevolezza poi è proprio segno dei tempi, procede facendosi strada comunque, nonostante tutte le nostre resistenze. Più resistiamo, più ci tiriamo fuori dal mondo, per come lo possiamo e dobbiamo percepire oggi: in breve, più resistiamo, più soffriamo. Per questo è importante accogliere, per quanto possibile, la trasformazione cosmica che oggi ci investe.

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Una meraviglia col botto (doppio)

Veramente una immagine festosa quella che ci mostra una gran varietà di giochi di luce che interessano i residui spumeggianti non di una, bensì di (almeno) due stelle esplose. La regione è nota agli astronomi come 30 Doradus B ed è in realtà parte di una zona di cielo ben più ampia, nella Grande Nube di Magellano (lontana da noi circa centosessantamila anni luce) dove nuove stelle si stanno formando continuamente, da circa dieci milioni di anni.

La regione di formazione stellare 30 Doradus
Crediti: X-ray: NASA/CXC/Penn State Univ./L. Townsley et al.; Optical: NASA/STScI/HST; Infrared: NASA/JPL/CalTech/SST; Image Processing: NASA/CXC/SAO/J. Schmidt, N. Wolk, K. Arcand

Questa particolare immagine è stata realizzata combinando i dati in banda X provenienti dall’osservatorio spaziale Chandra, il telescopio ottico di quattro metri di ampiezza Blanco (in Cile) e i dati infrarossi provenienti dal telescopio spaziale Spitzer. Per impreziosire poi questa già sapida preparazione, sono stati aggiunti dati provenienti da Hubble, sempre in banda ottica.

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Euclid, galassie nascoste e nuovi universi

Si chiama IC 342 ed è stata scelta come soggetto per una delle cinque immagini dimostrative rilasciate da Euclid pochi giorni fa. Il telescopio spaziale Euclid è previsto che inizi la sua regolare attività scientifica all’inizio del prossimo anno; tuttavia, la curiosità era tanta che un piccolo anticipo era lecito aspettarselo. Anche insomma, per vedere che andasse tutto bene.

E che le cose per Euclid vanno proprio bene, ce lo dimostra anche ciò che ammiriamo qui sotto.

La galassia IC 342 vista da Euclid.
Crediti: ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO

Per apprezzare tutta l’importanza di questa immagine, dobbiamo ricordare che questa splendida galassia a spirale si trova proprio dietro l’affollatissimo piano galattico, dove gas e polveri rendono praticamente impossibile l’osservazione con strumenti ottici. Di converso, la vista all’infrarosso di Euclid riesce ad arrivare ad IC 342 in modo egregio. Meglio ancora, ricordiamo, di come aveva fatto WISE, più di dieci anni fa.

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Arp 87, una storia di incontri

Una danza cosmica di stelle gas e polvere. Una danza che si estende per ben 75.000 anni luce, a formare un ponte veramente enorme. Altro che ponte sullo stretto, di incerta e futura realizzazione ma (permettetemi) di sicura ed immediata speculazione!

Il sistema di galassie interagenti Arp 87, visto da Hubble
Crediti: NASAESAHubble; Processing: Harshwardhan Pathak

Il ponte medesimo (questo, intendo) è una chiara evidenza di come questi due immensi sistemi stellari siano passati vicinissimi tanto da sperimentare violenti moti di marea, indotti dalla mutua attrazione gravitazionale.

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Una galassia tranquilla

Una tranquilla galassia a spirale, che abbiamo anche la fortuna di vedere praticamente di fronte, per poterla ammirare in tutta la sua maestà.

La tranquilla UGC 12295 vista dal Telescopio Spaziale Hubble
Crediti: ESA/Hubble & NASA, A. Filippenko, J. Lyman

UGC 12295 si trova a circa 192 milioni di anni luce dalla Terra (vuol dire, in altri termini, che la luce che vediamo adesso si è originata quando la specie umana era ancora ben di là da venire) e mostra una barra centrale ben sviluppata oltre a braccia di spirale strettamente avvolte.

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L’occhio nero di M64

La cosiddetta “galassia occhio nero” (per le cronache, rubricata con il nome di Messier 64) è assai conosciuta tra gli astronomi perché per vederla – nella costellazione della Chioma di Berenice – basta un piccolo telescopio. Il soprannome deriva da una banda scura di polvere che passa davanti al centro galattico.

La galassia M64 vista dal Telescopio Spaziale Hubble Crediti: NASAESAHubbleHLAProcessing: Jonathan Lodge

Qui la vediamo in una immagine riprocessata del Telescopio Spaziale Hubble. Per quanto ben visibile, M64 si trova alla bellezza di 17 milioni di anni luce da noi. L’enorme nuvola che oscura parzialmente la regione centrale è un addensamento imponente di stelle giovani blu, con il bagliore rossiccio dell’idrogeno associato a queste regioni di formazione.

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Quarantacinquemila galassie

Sembra impossibile, ma qui sotto ci sono circa quarantacinquemila galassie. L’immagine è stata acquisita con il Telescopio Spaziale James Webb e mostra una regione nota come GOODS-South, già ampiamente investigata da Hubble.

Il campo profondo GOODS-South.
Crediti: NASA, ESA, CSA, Brant Robertson (UC Santa Cruz), Ben Johnson (CfA), Sandro Tacchella (Cambridge), Marcia Rieke (University of Arizona), Daniel Eisenstein (CfA). Image processing: Alyssa Pagan (STScI)

Ed è assai importante per gli astronomi. Perché tra le questioni più spinose c’è ne è sempre una in particolare: come si sono formate le prime stelle e le prime galassie? Uno dei programmi più ambiziosi del James Webb, chiamato JADES dedica ben 32 giorni di tempo telescopio ad individuare e caratterizzare le galassie deboli e lontane. Proprio per riuscire a capirci qualcosa (di più).

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