Il cosmo e la poesia (II)

Come abbiamo iniziato a comprendere la volta scorsa, la poesia ha costantemente guardato al cielo con quel senso di meraviglia che a volte l’impresa scientifica (possiamo pur dirlo) ha perso di vista, incalzata dall’inesorabile progredire della tecnica e dalle nuove possibilità che si aprono continuamente – in particolare – per l’esplorazione dello spazio. La poesia è allora ciò che aiuta l’astronomo a rientrare in sé, a recuperare la sua umanità e quindi lo aiuta e a tornare amico delle parole e perciò stesso, a raccontare e raccontarsi. Se l’intero è più della somma delle sue parti, il cosmo è ben più della mera collezione delle informazioni riguardanti gli oggetti che lo compongono. Il poeta non si cura di studiare la struttura degli interni stellari, compito senz’altro dell’astrofisico: egli intende piuttosto di riportarci a quella comprensione globale del cosmo che pur ci appare necessaria. Può esserci ancora spazio, in questo mutuo soccorrersi, per interrogativi oziosi su quale delle due attività sia da considerare privilegiata?

Busto di Saffo conservato nei Musei Capitolini a Roma

In fondo, la poesia è la divulgazione del mistero del cosmo e dell’uomo, in modalità fascinosamente sintetica e secondo la difformità di visioni che garantisce, per cui la scienza che torna amica della poesia è una scienza che si fa divulgare con maggior facilità e con più deciso riscontro. La poesia insomma fa bene alla scienza (ma vale anche il viceversa).

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Sguardi di luce

Ormai ci siamo. Il giorno 22 marzo sarò a Grosseto nell’ambito di una bella iniziativa, la rassegna “Sguardi di luce”, organizzata dall’instancabile amico Pasqualino Casaburi, che con la sua creatività intelligente ha dato forma a queste possibilità di incontro.

Questa la locandina dell’iniziativa. Quello che mi fa più piacere è partecipare a qualcosa che non è soltanto mio, non è una cosa che organizzo io, ma è un’opera collettiva. Una piccola opera che si innesta in una più grande opera comune.

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Le faccio un misto? Grazie, no.

Crescendo, cambio. Credo capiti a tutti. A me capita per certo. Anche nelle scelte che potremmo dire più spicciole, registro un cambiamento di attitudini. Non solo davanti ai grandi temi della vita, mi sento un po’ diverso rispetto a prima. Ad esempio, se considero il mio rapporto con la tecnologia, noto alcune differenze sensibili, rispetto anche a poco tempo fa.

Credo che se uno cambia, cambia un po’ in tutto. Vuole fare tutto in modo nuovo, esplora diverse possibilità, si fa domande che prima non si faceva, sulle cose che utilizza, sul modo in cui lo fa. Questo, è il modo migliore per me, adesso? Forse sono stanco delle mie modalità ormai supercollaudate di fare le cose, e desidero forse provare altro?

Io lavoro da diverso tempo in ambiente misto, ovvero uso un iMac (uno a casa e uno al lavoro), ho un portatile Windows, ho un Chromebook. Come sistema operativo mobile (smartphone e tablet) uso dispositivi Android. Questa varietà è stata una scelta deliberata, del mio me stesso di qualche tempo fa.

Da curioso della tecnologia, l’idea era di mettere il naso in tanti framework diversi, per imparare qualcosa da ognuno. Perché mai togliersi il piacere di studiare Windows 11, come pure investigare in profondità macOS Sonoma? Basta utilizzare strumenti con Windows assieme a dispositivi Apple, ecco lì che il gioco è fatto. Si prende il meglio di tutti e due gli ambienti. A questo poi associamo quanto sarebbe divertente esplorare ChromeOS, il sistema operativo di Google, perché no? Sempre tutto intrigante. Eppure.

Eppure? C’è questo, che niente viene gratis (no, alla fine non è vero, ma la frase ci stava bene). Perché uno scopre che tutta questa esposizione alla varietà viene necessariamente a scapito della profondità. E questo è un problema, tanto più quanto i sistemi operativi si fanno articolati e complessi.

In altre parole, lascia stare il fatto che tutti sanno usare Windows nella maniera “basica”. Lanciare un programma, perfino istallarlo, è piuttosto facile (averlo reso facile e disponibile alle masse è un grande merito del sistema operativo di Microsoft). Lo stesso anche per il Mac (e ormai anche per Linux, anche se lì rimangono ampie possibilità, volendo, di complicarsi la vita oppure, diciamo, di rendersela più interessante). Lascia stare questo, questo infatti è assodato. Ma se vuoi usare il sistema al meglio, ti tocca imparare una serie di scorciatoie, combinazione di tasti per arrivare rapidamente ad un risultato, automazioni, e via di questo passo. Per gestire bene molte applicazioni allo stesso tempo, devi padroneggiare il sistema a finestre che ti trovi davanti. E non sono mica tutti uguali, i sistemi a finestre. Certe combinazioni per massimizzare la finestra, minimizzarla, affiancarla alle altre in quel determinato desktop virtuale, sono uniche del tal sistema operativo. Se vuoi essere veloce ed efficiente nel tuo lavoro, devi impararle.

Poi le applicazioni. Non tutte le applicazioni esistono per tutti i sistemi operativi, dunque magari succede che ti abitui ad un certo flusso di lavoro (tipo cosa uso per portare a termine cosa) e poi ti sposti nell’altro ambiente – passando magari dal fisso al portatile e scopri che una delle applicazioni che usavi dove sei partito, qui non c’è. Certo la suite Office esiste su Windows e su Mac, siamo d’accordo. Ma se voglio usare (anche) altro? Metto tutti i miei testi (che vanno solitamente su Stardust e EduINAF) su Ulysses? Ma su Windows non c’è. E nemmeno su Android. Uso Paint per elaborare rapidamente una immagine, magari con l’aiuto della famosa Intelligenza Artificiale (certo, per quel che vale)? Va bene, ma considera pure che sul Mac non c’è.

Edito un video con iMovie? E se voglio finire il lavoro sul portatile? Ah no, lì non c’è iMovie, lì trovo Climpchamp.

Oppure (e non è detto affatto che sia meglio), l’applicazione esiste, ma è diversa. Cioè, è lei ma non è lei. Un caso eclatante è iA Writer, l’applicazione con la quale scrivo praticamente tutti i post (e anche altro, come poesie e racconti, o come un romanzo). Esiste sul Mac e c’è per Windows, ma le applicazioni sono significativamente differenti. Puoi fare cose da una parte, che dall’altra non puoi fare. Del tipo, vuoi cercare del testo tra tutti i tuoi files dell’archivio? Lo puoi fare dal Mac, non dal PC Windows. Vuoi un indice autogenerato che si possa fruire già dall’anteprima del file, visibile nella libreria? Su Windows c’è, sul Mac invece no.

Già tutto questo mi porta a pensare che, abbandonate le passate velleità di conoscenza enciclopedica, in futuro puntare su una certa omogeneità di ambiente potrebbe essere una gran buona idea.

Ma la faccenda si fa decisamente più pregnante quando si prendono in considerazione anche i sistemi mobili. Quando è iniziato questo blog, la cosa tutto sommato non era così importante. Adesso, con il moltiplicarsi di applicazioni mobili per cui diverso lavoro si può svolgere da smartphone, è diventato importante che computer e smartphone si parlino efficacemente. Ma questo (state tranquilli) sarà oggetto di una mia prossima ruminazione.

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Ripartire dalla Luna

A volte è semplicemente così, si ha appena bisogno di una ripartenza. Il rapporto tra noi e la Luna ha raggiunto il culmine, come sappiamo, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, quando siamo arrivati al contatto umano. Dall’Apollo 11 all’Apollo 17 (fatta eccezione per l’Apollo 13 che è dovuta rientrare assai fortunosamente alla base), dodici astronauti hanno camminato su di un altro mondo, lo hanno toccato, esplorato. Hanno portato a casa delle rocce, portando così a contatto quel mondo con il nostro mondo.

Odysseus è sulla Luna
(Crediti: Intuitive Machines)

Si pensa ora a tornare, si ragiona su come riallacciare un rapporto. In più di mezzo secolo tante cose sono cambiate, incluse le motivazioni stesse del nostro rapporto con la Luna. Nei secoli scorsi si immaginava che sulla Luna ci fosse vita, che fosse addirittura un pianeta abitato. Le prime missioni spaziali fecero capire che quello che essenzialmente ci si poteva trovare erano sassi e roccia: un po’ si perse l’interesse, di fatto tre missioni Apollo (il programma doveva arrivare originariamente fino ad Apollo 20) furono cancellate.

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