Subito e sempre, all’opera

Lo scriveva già Luigi Giussani negli anni Ottanta, nel celebre testo Il senso religioso (forse uno dei suoi testi più moderni, ancora leggibilissimo adesso):

L’atteggiamento scientifico – nel senso proprio del termine – già sappiamo che non potrà esaurire l’attenzione all’esperienza. Proprio per “esperienza” viviamo moduli e fenomeni che non si riducono all’ambito fisico-chimico.

C’è infatti un’idea di scienza, quel senso proprio appunto, che ormai avvertiamo subito come parziale. Perché appunto, non esaurisce l’attenzione all’esperienza. Da questa attenzione, credo, bisogna ripartire per recuperare l’umano, che è l’unica cosa che ancora – in questo clima pazzesco di distruzione e devastazione, in questo teatro di guerra planetaria – davvero l’unica cosa che ci può ancora interessare.

Ma attenzione. Qui l’unione di Terra e Cielo deve subito entrare in gioco, per non ricadere in ennesime parzialità. Qui la cosmologia interiore e quella esteriore devono unirsi, anzi si rende necessario intraprendere un percorso, dalla prima alla seconda (e ritorno). Attivare, riattivare, questo salutare ricircolo.

Perché tutta questa crudeltà planetaria che i telegiornali ci portano in casa ogni sera (nociva anche a subirla, tanto che sarebbe meglio spegnere e fare meditazione), si nutre del vecchio modello riduzionistico, e cresce sulla dimenticanza di Sè, della propria regalità.

Dice la pagina del convegno Scienza e Spiritualità – dalla quale già sto attingendo alcuni spunti – che si è appena tenuto a Prato, nella bella cornice del Monastero San Leonardo al Palco

Chiacchere e approfondimenti, nella pausa caffè…

L’essere umano, con i piedi ben piantati a terra, ha sempre alzato gli occhi verso il cielo, sia alla ricerca dei confini fisici dell’universo, sia alla ricerca di dimensioni altre. Ma qual è l’attuale visione scientifica del cosmo, dell’uomo e delle relazioni, anche simboliche, tra questi due universi? E quanto ci stiamo dimenticando di essere ponte tra Terra e Cielo, tra infinitamente piccolo e infinitamente grande?

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La missione (quasi) impossibile

Domenica pomeriggio ho visto Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno. Mi sono divertito, ho ammirato la costruzione di un’opera complicatissima, ho goduto in particolare delle scene girate in Italia (Roma e Venezia, con una fotografia splendida). E in due ore e tre quarti circa in un susseguirsi mozzafiato di scene di azione (mirabolanti), ho anche riflettuto.

Sì, perché questo film è spettacolarmente attuale. Attualissima è la percezione acuta di come l’intelligenza artificiale sia la vera cosa che genera ammirazione ed inquietudine, in pari misura. Sorprendente che la sceneggiatura sia stata scritta ormai anni fa, perché – almeno per l’Italia – è una fotografia esatta di un dibattito che sta avvenendo nel momento presente.

Mi viene da pensare all’incontro tra Federico Faggin e Marco Guzzi, nel quale molto si è ragionato sull’intelligenza artificiale (con dei punti di vista che a mio avviso rimarranno come riferimenti fermi in un dibattito che fermenta ogni giorno di più).

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Una mattinata memorabile

Davvero è stata una mattinata memorabile, una splendida occasione, per me, di imparare e di crescere. Una occasione anche, di rapporto (si cresce nei rapporti, mi dico). Che ci faccio io qui? Proprio io?

Si era capito subito. Fin dalle prime investigazioni, dai primi contatti, si era capito. Da quando si era generata l’idea, si era intravista una possibilità di realizzazione. Era stato un percorso lungo e da fare con pazienza. Sondare la disponibilità di Marco Guzzi (filososo, poeta, saggista, ideatore dei gruppi Darsi Pace), iniziare ad esplorare strade per contattare Federico Faggin (fisico, inventore del microprocessore, imprenditore di successo, sostenitore di una nuova teoria della coscienza).

Dobbiamo temere l’intelligenza artificiale? O solo imparare ad usarla bene? Di questo anche, si è parlato…

Il tempo diventava sempre più propizio. L’intelligenza artificiale diventava oggetto di dialogo quotidiano, arrivava sui giornali e in televisione. Tra lodi sperticate e demonizzazioni impaurite, come recuperare un punto di vista ragionevole e fondato? L’occasione di dialogare con Guzzi e Faggin su questo era troppo ghiotta. Era anzi necessaria, da un certo punto di vista. 

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Questa povera macchina

Hai ragione, Marco. C’è ben poco da temere dall’intelligenza artificiale, almeno per il momento. Leggendoti, mi sorprendo di come non temiamo i veri pericoli, mentre intanto ce ne inventiamo continuamente di fittizi. La nostra intelligenza ha provocato devastazioni immense, nel secolo appena passato (è intelligenza progettare campi di sterminio e bombe atomiche, è intelligenza sviluppare gulag, lager e tutto il resto, magari con criteri di “efficienza”). E già come abbiamo iniziato questo nuovo secolo, non è poi da stare troppo allegri.

Ma allora come mai invece di curare l’uso della nostra intelligenza – ovvero di curarci noi stessi, educarci a bilanciare ragione calcolante e cuore, logica ed affettività, dubitando di ogni ideologismo e di ogni disincarnazione, di ogni astrazione dai nostri corpi doloranti e imploranti aiuto – perché rimandiamo colpevolmente il cammino per la nostra maturazione, sempre più urgente e necessario, inventando ad arte pericoli che (se pur esistono) sono di scala infinitamente minore? Sarebbe da domandare a Chat GPT, a questa povera macchina, se soltanto potesse dircelo.

Il fatto è che lei non ha proprio idea. E cosa ben più grave, spesso non ne abbiamo idea neanche noi.

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Un modo di cercare

Marte era molto diverso in passato. Più florido, certamente. Le nuove immagini che ci porta il rover Perseverance mostrano segni evidenti di quello che una volta era – con ogni probabilità – un corso d’acqua in rapido movimento. E non era solo, ma faceva parte di una estesa rete fluviale presente all’interno del cratere Jezero, l’area che il rover ha esplorato fin dalla sua fase di atterraggio, ormai più di due anni fa.

Queste rocce ci parlano di una storia di fiumi che scorrevano gagliardi…
Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS

Comprendere questi ambienti una volta acquosi, aiuta senz’altro gli scienziati nel cercare quei segni di antica vita microbica che potrebbero ancora annidarsi dentro le rocce marziane. E potrebbero arrivare grandi sorprese.

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Ripartiamo

Da oggi se vi collegate a segnalerumore.it non si carica più il consueto sito Blogger, ma raggiungete un sito WordPress appena tirato a lucido (ospitato da altervista, un servizio del quale ho avuto ampio modo di apprezzarne l’affidabilità), dove ho comunque caricato tutti i post prodotti finora. Ho indugiato parecchio prima di trasferire il domino, ma la stasi estrema del servizio di blog di Google alla fine (a proposito, ma che peccato trascurarlo) è stato un fattore piuttosto convincente.

Eh sì, ogni tanto bisogna cambiare…

Una ripartenza ogni tanto ci vuole per tutto, e anche per me questo ultimo periodo è servito per capire che – anche gestendo un altro blog personale ed altre cosette – un posto specifico dove inserire le mie piccole note riguardo l’uso della tecnologia – un posto perfino accessibile ad altri, se volessero leggere – mi piace comunque averlo.

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La difficile situazione in Ucraina

Di qualche giorno fa, la dichiarazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, sulla situazione in Ucraina.

L’Istituto Nazionale di Astrofisica esprime la massima solidarietà alla popolazione e alla comunità scientifica dell’Ucraina ora sottoposta a una situazione molto difficile. Siamo a disposizione nell’ambito delle iniziative del Governo nel supportare azioni concrete di aiuto per i nostri colleghi ucraini con cui collaboriamo da anni. La scienza deve essere portatrice di valori universali di pace; in questo senso la comunità Inaf auspica che la ragione prevalga sulla sopraffazione, e che non si debbano interrompere le molte collaborazioni scientifiche frutto di tanti anni di rapporti positivi.

Riparto da qui, per capire chi sono, cosa sono, in questa contingenza. Riparto da ciò che mi definisce (qui, in ambito professionale). Prendo sul serio questa dichiarazione. Tra il fiume di parole di questi giorni (fate caso come, nel flusso verbale mediatico, l’affluente COVID abbia speditamente ceduto il passo a quello riguardante la situazione in Ucraina), scelgo quelle verso cui ho una appartenenza da giocarmi. Devo farlo, in ambito personale, come in ambito professionale. Che poi, lo sappiamo, è tutto collegato.

Una veduta della città di Kiev, in Ucraina

Si parla nel comunicato, di scienza come portatrice di valori universali di pace. Questo lo credo, questo lo scrivo e cerco di fare amicizia con questo concetto, nella vita quotidiana, per come posso. Penso ora anche al convegno internazionale La Scienza per la Pace che si è tenuto in Abruzzo quest’estate, a cui ho partecipato con interesse.

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La rivoluzione nel cuore

Se ci penso, mi sorprende quanto in fretta sia cambiato tutto. Funziona così, ti abitui ad un certo clima e pensi che sia immutabile, che sia il modo di vedere il mondo. I buddisti parlano di impermanenza mettendoci dunque in guardia: ma non ci siamo molto abituati, noi occidentali.

Sono cresciuto convivendo con la viva speranza (ed il progetto spesso impaziente) di cambiare il mondo. Ricordo bene, in questo senso, i miei tempi del liceo (siamo a cavallo tra i settanta e gli ottanta). Il mondo nuovo sembrava fosse veramente all’uscio, che stesse ormai premendo per entrare. Finalmente tutto cambia. Poco conta alla fine che mi sentissi “di sinistra” o meno, che guardassi alla sedicente rivoluzione proletaria con un senso di ammirazione o invece con paura. Perché in quel clima, in quell’aria che parlava di cambiamento imminente, c’eravamo dentro tutti. Destra o sinistra, dunque, io c’ero. Le cose si vedevano in un certo modo, si mangiava, si dormiva, si amava in un certo modo. C’era questa rivoluzione da fare: comunque le cose sarebbero cambiate. Presto. [Continua a leggere sul sito di Darsi Pace…]

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