Blog di Marco Castellani

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Una casa per noi

Parto da lontano. Cosa è che causa queste strane curvature nei pressi del centro della nostra Galassia? I raggi paralleli che si piegano nella parte superiore dell’immagine radio in primo piano sono noti come Centro Galattico Radio Arc e promanano dal disco della Via Lattea. La zona del Radio Arc appare connessa al centro galattico da strani filamenti curvi semplicemente noti come “archi”. Le meraviglie però non finiscono qui.

Il centro galattico in banda radio.
Crediti: Ian Heywood (Oxford U.), SARAO

La struttura brillante (nel radio) a destra in basso nasconde il buco nero della nostra Galassia, conosciuto con il nome di Sagittarius A*. Sembra che la zona del Radio Arc e gli Archi possiedano questa particolare geometria perché contengono gas caldo che fluisce accarezzando le linee di potenti ma intricati campi magnetici.

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Per rimetterci in moto

Siamo abituati a credere che niente può davvero cambiare. O piuttosto, ci hanno abituati? In ogni caso, quando ero più giovane non era così. C’era un senso frizzante di rivoluzione, sentivo che il mondo stava per cambiare. Profondamente. In meglio. Non è tanto una questione politica, o esclusivamente tale, come poteva sembrare. Era proprio una questione esistenziale. Tutto stava per cambiare, finalmente. Lo sentivo, era nell’aria, era questione di pochi anni, forse pochi mesi, tutto sarebbe cambiato.

Tutto è in movimento, la stasi è una tentazione mentale, da superare…

Poi non si capisce bene come, e soprattutto quando. Lentamente, inesorabilmente, qualcosa si è definito, nella vita. Si è messo a fuoco, crescendo. Ma qualcos’altro si è affievolito, quasi spento. E intanto è cresciuta una convinzione, non detta, ma forte, limpida, inevitabile. Niente può cambiare a livello di società, niente. Tanto vale organizzarsi per quanto si può, nel proprio privato. Vivere alla meno peggio. Perché tutto il resto sono sogni. Le rivoluzioni non funzionano, le rivoluzioni non esistono.

Però perché allora il cuore desidera ardentemente qualcosa se essa non esiste? Una super beffa cosmica? Mi dispiace, non mi convince, non ci credo: il cuore mi sta dicendo realmente qualcosa. Qualcosa a cui la mente non vuole aprirsi.

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Lavoro di accordatura

Vero, è stato detto molte volte, qui. Però a me piace provare a ricordarlo spesso, tentare di ritornarci ogni volta che posso. Perché me lo scordo. E se me lo scordo è come se mi catapultassi indietro, dentro il modello di universo statico. Cioè, guardo fuori e niente, non si muove nulla. Se non faccio esperienza – almeno indiretta, tramite la scienza – che in questo momento il Sole viaggia a più di 220 chilometri al secondo. Che i quasar lontani sono immensamente più lontani di ieri.

L’universo si muove, eccome. Ma già pensarlo mi apre la mente. Lei poi subito si richiude, e devo ripensarlo, ancora ed ancora

Meno male che ci sono tante evidenze, che mi confortano.

La Nebulosa del Granchio è il primo oggetto del catalogo di Messier, il catalogo della cose che non sono comete. Viene appunto chiamata M1. Fatta da resti di una supernova esplosa nel 1054. Larga dieci anni luce, adesso. E si espande. A più di 1000 chilometri al secondo.

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Frenk, il puro fascino del Cosmo

L’Universo ha una storia affascinante, che comprendiamo ogni giorno di più: ogni giorno studiamo il cielo e facciamo luce su un altro piccolo tassello, nell’architettura generale della nostra conoscenza del Cosmo. Ed è una storia affascinante, quella che ci si dispiega davanti. Una storia accessibile a tutti, perché tutti condividiamo il fatto di essere immersi in una sterminata infinità di galassie, stelle e pianeti, che ci invita – direi quasi ci sospinge – a prenderne coscienza.

Per questo è meritorio ogni sforzo ben fatto per raccontare la storia del cielo in modo equilibrato, senza banalizzazioni ma anche senza inutili astrusità matematiche. L’Universo ha una storia raccontabile, dopotutto, ed è necessario raccontarla. Lo è sempre stato, in ogni epoca, fin dai miti dei popoli primitivi. Oggi che finalmente abbiamo a disposizione un modello scientifico di Universo, non siamo certo esentati dal racconto. Anzi, forse l’urgenza di esprimerlo, di parlarne, di narrare le nostre origini, risulta oggi ancora più pressante.

Il cosmologo Carlos Frenk

Stupisce infatti quello che possiamo capire del nostro smisurato Universo, osservandolo – come facciamo – da un piccolo pianeta alle periferia di una grande galassia. Stupisce che le leggi fisiche che lo descrivono siano esattamente le stesse che abbiamo potuto derivare con la paziente analisi dei fenomeni a noi più prossimi, di quel che abbiamo potuto imparare facendo cadere a terra dei sassi, osservando il moto delle nuvole, vedendo l’acqua scorrere nei fiumi.

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L’universo che non si muove

L’universo non è (più) qualcosa di statico, se si percepisce così vuol dire che siamo noi che abbiamo bisogno di guardare meglio. L’universo era statico per gli antichi. Non è che sembrava, lo era davvero. Cioè lo era a tutti gli effetti, esistenzialmente. Era percepito così, dunque era così. Ora Paola canta di un universo che non si muove segnalando come un disagio sotterraneo. Perché l’universo che non si muove, adesso, è antistorico, è fuori dal tempo, realmente fuori dal nostro tempo.

Il bisogno di cambiare che c’è in me si rispecchia in un universo che – appunto – non si muove e chiede che inizi a muoversi oppure ritorni a muoversi. L’espansione accelerata che ci riporta la ricerca cosmologica attuale non può essere un semplice dato tecnico, da addetti ai lavori. Ci deve dire qualcosa di importante, per noi. L’universo ci ha sempre detto qualcosa di importante, a volerlo ascoltare.

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Occhi chiari sul cosmo

Posso ben concordare sul fatto che una stella di nome 2MASS J17554042+6551277 non sia esattamente facile da ricordare né, magari, da menzionare agli amici. Tuttavia la sua importanza è indubbia, anche se questa figura di diffrazione ci dice molto di più sulle bellezze che potremo scoprire in futuro, che sulla stella in sé stessa.

La stella 2MASS J17554042+6551277 osservata da JWST.
Crediti Immagine : NASASTScIJWST

Questa figura di diffrazione infatti è creata dai diciotto segmenti esagonali del James Webb Space Telescope. Dopo essersi dispiegato nello spazio, i diversi segmenti si sono assemblati per far sì che possano operare in modo concertato come un singolo specchio dal diametro di 6.5 metri. Uno specchio così grande ovviamente non poteva essere spedito intero nello spazio, e la manovra di assemblaggio automatico – per la sua indiscutibile complessità – è sempre stata oggetto di grande preoccupazione.

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L’universo che osserviamo

In un certo senso c’è tutto. Tutto il nostro mondo fisico. Il modello di mondo che conosciamo, che riteniamo il più valido. A volte capita che mi chiedano, in occasioni pubbliche, come mai ci riteniamo contenti dei nostri modelli, quando sappiamo a malapena di cosa è fatto il 5% del contenuto di massa ed energia del cosmo.

L’universo osservabile. Crediti & LicenzaWikipediaPablo Carlos Budassi

Risposta facile. Siamo contentissimi, non contenti. Per la prima volta nella storia dell’umanità, ed esattamente in questi anni, abbiamo tra le mani una mappa scientifica del (nostro) Universo. Mai accaduto prima. Mappe come queste si sono sempre fatte, certo: ma erano basate sul mito e non sulla scienza. Il mito è fondamentale, riempiva un vuoto e inseriva la vita dell’uomo in un contesto di senso. E in fondo era un modello anch’esso, sia pur difficilmente falsificabile.

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Un mondo di relazioni

Smart working. Due parole di strettissima attualità, in questo tempo così particolare.

Le ricerche sullo smart working indicano che il lavoro a distanza ha livelli di efficienza simili a quello in presenza, ma ci si interroga meno sugli effetti di lungo periodo di una società sempre più smaterializzata e delocalizzata.

Così scrive Davide Prosperi, Presidente ad interim della Fraternità di Comunione e Liberazione, in un recente articolo apparso sul Corriere della Sera.

La scoperta della possibilità di lavoro agile è senz’altro una bellissima cosa, peraltro avvenuta tardivamente (da noi) e solo sotto l’incalzare dell’emergenza sanitaria. Ma dobbiamo tener presente che la vita è relazione, tutto l’universo è una trama di relazioni, se scendiamo nel regno delle particelle elementari troviamo al fondo di tutto sempre questo, la relazione (e a dirlo non sono certo fisici misticheggianti). Ebbene, elidere la relazione sostituendola con l’azione a distanza, non è un gioco che si può rilanciare indefinitamente. Le conseguenze si pagano. Psicologicamente, prima di tutto.

Lo smart working è senza dubbio una conquista di civiltà. Ma i rapporti umani vanno comunque difesi e protetti, se vogliamo crescere noi e far crescere davvero i nostri figli.

Si tratta allora, secondo alcuni, di agire in maniera plastica e dinamica, reagendo agli eventi (diffusione del virus, varianti, eccetera) in modo intelligente e flessibile. Cauti e prudenti, certo. Ma anche consapevoli che le chiusure drastiche e i confinamenti prolungati oltremisura risultano sempre più indigesti, dopo mesi e mesi di cultura dell’emergenza. E che i ragazzi, per crescere, hanno bisogno di intessere vere relazioni umane, non di ricadere dietro l’ennesimo schermo luminoso. Anche se su questo venissero proiettati corsi formativi stupendamente ideati, anche se si cercasse (giustamente) di rendere il tutto più interattivo possibile.

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