C’è bisogno di portare il cosmo più decisamente dentro le nostre vite: la sua “rimozione” è infatti funzionale all’assetto neoliberista del sistema in cui siamo avvolti, perché estraniandoci dalle stelle diventiamo solo più predisposti al consumo e al consenso verso un “ordine del giorno” dettato dalle oligarchie: proprio come quei “polli di allevamento” di cui già Giorgio Gaber parlava profeticamente anni fa. C’è bisogno delle stelle come fattore che contribuisca e inneschi la vera rivoluzione, l’unica ancora possibile, l’unica sempre possibile.

Per questo ci serve il cielo: non è un qualcosa di lassù, un qualcosa qualsiasi. Un qualcosa staccato da noi. Serve nella nostra vita quotidiana, nella vita affannata di mattine corse verso il metrò con magari la pioggia già appiccicata addosso, oppure di incastramenti metallici in lentissimo movimento sulla tangenziale, la testa piena di cose da fare e magari di ruminazioni sulla serata precedente o su quella scadenza saltata o su quella persona che vorremmo conoscere meglio o quell’altra che conosciamo ormai da una vita ma che proprio ieri abbiamo trattato – ancora una volta! – con stizzita sufficienza, non pensando al mistero stellato che lei, che ogni persona, è nel cosmo.

Abbiamo bisogno del cielo che invece è escluso drammaticamente dal nostro agire e percepire quotidiano: è escluso dalle notizie del mattino che sbuffano fuori dalle cuffiette e dagli altoparlanti, che forniscono tante informazioni ma poco senso, incrementando così la confusione che abbiamo nella testa e nel cuore. Dai telegiornali della sera pieni del culto perverso delle armi (e per chi le usa) e ancora più vuoti di senso – ostinatamente estranei ad una vera cultura di pace – dalle mille opinioni dei talk show che poi sono sempre quelle, sono sempre quelle di un sistema che ti rende schiavo, del tutto funzionale alla produzione ed al consumo, senza veri desideri, senza che tu possa più avvertire la mancanza delle stelle. Polli di allevamento, appunto.

Ecco. Ci serve il cielo con i suoi miliardi di stelle perché ci parla di una storia diversa, una storia ancora capace di educare i giovani, una storia di senso. Una storia in cui usciamo dal recinto liberal-commerciale in cui ci vorrebbero tenere a vita e ritorniamo (scomodamente) protagonisti. Le stelle non si comprano e non si vendono, non si quotano in borsa: sono irriducibili testimoni di una realtà altra. Chi di noi sotto un cielo stellato non ha avvertito un senso di riscatto, di ripresa? Buffo in un certo senso: in mezzo a questa immensità – laddove potresti pensare di sentirti un niente – invece l’io umano viene rinfrancato, esaltato. Come stare in mezzo alla natura: senti che tutto ha senso, anche se non sai tradurlo in parole.

Parlarne è comunque necessario, anche se nessun percorso di questo tipo si rinchiude del tutto in una struttura di parole. Sì, è urgente riportare il cielo fin dentro la pubblica agorà, fisica e mediatica. La sua sovrabbondanza è sfida perenne ad ogni calcolo economicistico, ad ogni tentazione di piccolo cabotaggio, ad ogni trito calcolo di usato buon senso. Dobbiamo tornare al cielo – a come lo vede la nuova scienza, a come lo vedono le filosofie e le tradizioni – per recuperare l’umano nell’umano. Detto in forma più spicciola, ci serve il cielo per non disperare, c’è bisogno di tornare al cielo per guarire.

Diceva il grande scrittore Vasilij Grossman 1, emarginato e perseguitato dal regime sovietico dal quale aveva preso le distanze, poco prima della morte

«Che cosa diremo al cospetto del tribunale del passato e del futuro, noi uomini vissuti nell’epoca del nazismo? Non abbiamo giustificazioni. Diremo che non c’è stata epoca più dura della nostra, ma che non abbiamo lasciato morire l’umano nell’uomo. […] Continuiamo a credere che vita e libertà siano una cosa sola, e che non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo».

Si guarda in alto non per fuggire da sé stessi, non per un vago desiderio di conoscenza (intesa come erudizione), ma per un fatto decisivo per la vita: recuperare appunto l’umano nell’uomo, la cosa più sublime che possiamo mai compiere su questo pianeta, come in tutto il cosmo. Proprio il cielo è la strada maestra da percorrere per recuperare anche una idea corretta del fare scienza, una scienza che c’entra con tutto l’umano.

Si osservano le stelle però soprattutto per questo: per guardare veramente dentro noi stessi. Giova ricordare quanto diceva lo psicolgo C.G. Jung,

La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.

Per tutto questo avviamo questo giovedì 18 gennaio il progetto “Darsi Spazio”, che sarà lanciato dal blog dell’associazione Darsi Pace – sempre molto ricettiva su questi temi – con il primo video della conversazione registrata tra me e Gabriele Broglia (manager sanitario e personal trainer, esperto di filosofie orientali), con la ottima e cordiale regia di Emanuele Giampà. I video saranno inseriti su YouTube per successive consultazioni e per commenti, che saranno preziosi come interfaccia con chi ci vorrà ascoltare. Verranno, ovviamente, anche presentati in queste pagine.

Per tutto questo, per partecipare a quest’opera umanissima, a questo laboratorio che intraprendiamo con tutti i nostri entusiasmi e con tutte le nostre imperfezioni: vi aspettiamo, davvero.


  1. citato in “I Quattro Maestri” di Vito Mancuso (Garzanti, 2020) ↩︎

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