Blog di Marco Castellani

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Ripartire dalla Luna

A volte è semplicemente così, si ha appena bisogno di una ripartenza. Il rapporto tra noi e la Luna ha raggiunto il culmine, come sappiamo, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, quando siamo arrivati al contatto umano. Dall’Apollo 11 all’Apollo 17 (fatta eccezione per l’Apollo 13 che è dovuta rientrare assai fortunosamente alla base), dodici astronauti hanno camminato su di un altro mondo, lo hanno toccato, esplorato. Hanno portato a casa delle rocce, portando così a contatto quel mondo con il nostro mondo.

Odysseus è sulla Luna
(Crediti: Intuitive Machines)

Si pensa ora a tornare, si ragiona su come riallacciare un rapporto. In più di mezzo secolo tante cose sono cambiate, incluse le motivazioni stesse del nostro rapporto con la Luna. Nei secoli scorsi si immaginava che sulla Luna ci fosse vita, che fosse addirittura un pianeta abitato. Le prime missioni spaziali fecero capire che quello che essenzialmente ci si poteva trovare erano sassi e roccia: un po’ si perse l’interesse, di fatto tre missioni Apollo (il programma doveva arrivare originariamente fino ad Apollo 20) furono cancellate.

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Canticchiando in palestra

Me ne accorgo dopo un po’ che lo faccio. Non sono un tipo che fischietta in palestra, non in modo particolarmente evidente. Ma tra me e me qualche volta capita. Piano, che secondo me non sente nessuno. O quasi nessuno. A meno che non mi passi molto vicino. Mi va bene così.

Però mi sono accorto di una cosa buffa, l’altro giorno. Non è che stessi fischiettando un motivo di quelli del momento, o dell’estate passata, del Festivalbar o di Sanremo. La mia mente aveva invece selezionato – senza che io me ne rendessi conto – un motivo del lontano 1983. Il titolo della canzone è Softly Over, contenuta nel disco You and me both. Il gruppo è quello degli Yazoo.

Precisamente quel che mi veniva da fischiettare non è proprio la canzone in sé, ma la sua introduzione, ovvero quel grappolo di note (una ventina, ho provato a contarle) che precede il canto. Poco più di dieci secondi, sufficienti per il dispiegarsi di una linea melodica dolce, evocativa, sottilmente inquietante. E che da allora – da quando lo comprai ragazzetto e lo ascoltai, il disco – mi si è piazzata in testa e lì rimane. Praticamente in background, pronta a venire fuori in momenti in cui, finalmente, allento la tensione e smetto di cercare di controllare me stesso e il mondo. In questi casi la mente spesso sceglie un canto, forse per dirmi che è abbastanza contenta. Tra le tante in giro per il mio cervello, questa linea melodica – come dicevo – viene selezionata di frequente. Chissà se Clarke e Moyet se ne rendono conto, di come mi sono entrati in testa.

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Nel blu dipinto di blu

Penso che un sogno così non ritorni mai più
Mi dipingevo le mani e la faccia di blu
Poi d’improvviso venivo dal vento rapito
E incominciavo a volare nel cielo infinito

Penso (per aprire con la stessa parola del testo) che in questa canzone del 1958, canzone famosissima che nessuno ignora, c’è già tutto. Non solo vinse il festival di Sanremo in quell’anno (sarei subito tentato ad un confronto con alcuni recenti vincitori, ma preferisco evitare, in questa sede), ma – mi dice Bard – che è stata tradotta in cento lingue e ha venduto nel complesso più di cento milioni di copie in tutto il mondo. Possiamo senz’altro dire, un pezzo di un certo successo.

La melodia, così mediterranea ed orecchiabile, ha fatto la fortuna della canzone. Ma ci sarebbe tanto, anche, dietro queste parole. Tanto, che colpisce in vari modi l’immaginazione di un astrofisico.

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Certe volte guardo il cielo

Certe volte guardo il cielo

i suoi misteri le sue stelle

Ma sono troppe le notti passate senza te

Per cercare di contarle

Come entra direttamente il cielo, nelle faccende umane! Biagio Antonacci mette insieme il cielo e le notti passate senza te, senza tanti complimenti. Un’abbondanza di misteri e di stelle, insieme con una mancanza. Tutto si parla, in questa interrogazione si cerca qualcosa di più di una sbrigativa risposta. Il rimando al mistero è quel punto di fuga che ci serve per non essere inchiodati alla nostra percezione della realtà. 

Le notti sono troppe, le avverti come troppe. Non puoi rimanere lì, a questo dato. Perché ti fa male, mi urta. Ti fa piangere, ti fa perdere assetto. Devi guardare il cielo, almeno certe volte. Perderti nel suoi misteri, nelle sue stelle. Anche le stelle, sono tante, sono tantissime. Forse le notti lo sono di più, ma a questo punto diventa una gara in cui ti perdi proprio, ti sganci un attimo dal tuo cruccio. Se metti insieme le notti da solo e le stelle, alla fine le prime vengono un poco illuminate delle seconde. Mica per una volontà, per una capacità, per qualcosa che hai tu. Niente affatto. Non per come sei tu, ma per qualcosa a cui ti appoggi. Se ti appoggi la solidità non è in te, ma nell’appoggio stesso. Ci pensa lui, a te. Sono problemi suoi a questo punto. Dell’appoggio.

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Un po’ di fantasia e di bontà

Torno a parlare di testi musicati, due mesi dopo l’articolo su Peter Gabriel. E di Luna, sopratutto. Perché è impossibile negare che ci sia un ritorno alla Luna dopo tanto tempo: per la precisione, dopo cinquant’anni di silenzio, mezzo secolo nel quale una sorta di dialogo scientifico tra noi e il nostro unico satellite naturale si è praticamente interrotto.

Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini 

Quello che invece non si è mai interrotto – fin dall’inizio dei tempi – è l’altro rapporto che noi intratteniamo con la Luna: quel rapporto che è perpetuamente nutrito dall’immaginazione, dall’arte, dalla fantasia. La Luna si associa spesso alla femminilità, e nella sua innegabile dolcezza c’è anche qualcosa, a mio avviso, di irresistibilmente musicale. Almeno, così è per un artista del calibro di Peter Gabriel, come abbiamo visto.

Ma doveva essere così, già molti anni fa, anche per Angelo Branduardi. Autore di bellissime canzoni, anche molto sofisticate…  [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Una casa per noi

Parto da lontano. Cosa è che causa queste strane curvature nei pressi del centro della nostra Galassia? I raggi paralleli che si piegano nella parte superiore dell’immagine radio in primo piano sono noti come Centro Galattico Radio Arc e promanano dal disco della Via Lattea. La zona del Radio Arc appare connessa al centro galattico da strani filamenti curvi semplicemente noti come “archi”. Le meraviglie però non finiscono qui.

Il centro galattico in banda radio.
Crediti: Ian Heywood (Oxford U.), SARAO

La struttura brillante (nel radio) a destra in basso nasconde il buco nero della nostra Galassia, conosciuto con il nome di Sagittarius A*. Sembra che la zona del Radio Arc e gli Archi possiedano questa particolare geometria perché contengono gas caldo che fluisce accarezzando le linee di potenti ma intricati campi magnetici.

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La musica del cosmo

Il testo di una canzone può essere letteratura? Ai tempi delle mie scuole medie (secolo scorso), le parole de La Guerra di Piero del grande Fabrizio De André (a proposito del quale Stefano Sandrelli ha recentemente dialogato con ChatGPT) con stupore le vidi comparire nel mio sussidiario, gomito a gomito con quelle di ben più blasonati poeti.

Immagine di Davide Calandrini – @davidecalandrini 

All’epoca avevo un po’ troppo forte addosso il senso di cultura come roba polverosa ed antica, ma mi parve buffo che una persona che ineriva al mondo vivo della canzone (un mondo che dialogava costantemente con le mie emozioni e i miei sentimenti, come fa anche adesso), potesse guadagnarsi un posto lì. La domanda mi segue fin da allora: ci stava bene quel testo nel sussidiario? Era il suo posto? Non ci provo nemmeno a rispondere: so che la domanda continuerebbe comunque a pungolarmi, di tanto in tanto… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Il ritmo della Luna

In fin dei conti il problema è questo, soprattutto. Che ci siamo progressivamente affrancati dai ritmi della terra, delle stagioni, del cosmo. Fino a costruirci una vita sintetica e appunto, artificiale, con delle scansioni temporali che sono fuori dal mondo, che ci straniscono e ci affaticano. Perché noi siamo nel mondo, siamo fatti di stelle, intrecciati di materia universale. I cicli del cosmo sono i cicli del nostro corpo, il ciclo stesso della fertilità femminile è in suggestivo accordo con il ciclo di rivoluzione della Luna attorno al nostro pianeta.

Ecco perché capisco bene quanto scrive il musicista Peter Gabriel nelle note che accompagnano l’uscita del brano Panopticom, primo dell’album i/o di prossima pubblicazione (traduco di seguito, in modo libero).

Alcuni brani di quelli di cui sto scrivendo per questa occasione, ruotano intorno all’idea che sembriamo incredibilmente capaci di distruggere il pianeta che ci ha dato alla luce e che se non troviamo il modo di riconnetterci alla natura e al mondo naturale perderemo moltissimo. Un modo semplice di realizzare una maggiore adesione a tutto questo è è guardare il cielo… ed osservare la Luna mi ha sempre portato qui.

Saranno infatti le fasi lunari anche a dare il ritmo alle uscite dei brani di questo nuovo attesissimo album, da parte di un musicista che insieme ai Genesis ha davvero scritto la storia del rock progressivo, per poi intraprendere una carriera solista caratterizzata da una grande originalità espressiva. Nello specifico, verrà resa pubblica una nuova canzone ad ogni plenilunio. Abbiamo già iniziato, appunto, con la canzone Panopticom, che è stata svelata in occasione della luna piena del giorno 6 gennaio 2023.

Per gli affezionati, un motivo ulteriore per attendere quei giorni in cui la Luna è massimamante presente – quasi invadente – nel nostro cielo. Per me astrofisico, estimatore dell’arte di Peter, un espediente che collega efficaciemente due miei universi affettivi, musica ed astronomia.

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