Certe volte guardo il cielo

i suoi misteri le sue stelle

Ma sono troppe le notti passate senza te

Per cercare di contarle

Come entra direttamente il cielo, nelle faccende umane! Biagio Antonacci mette insieme il cielo e le notti passate senza te, senza tanti complimenti. Un’abbondanza di misteri e di stelle, insieme con una mancanza. Tutto si parla, in questa interrogazione si cerca qualcosa di più di una sbrigativa risposta. Il rimando al mistero è quel punto di fuga che ci serve per non essere inchiodati alla nostra percezione della realtà. 

Le notti sono troppe, le avverti come troppe. Non puoi rimanere lì, a questo dato. Perché ti fa male, mi urta. Ti fa piangere, ti fa perdere assetto. Devi guardare il cielo, almeno certe volte. Perderti nel suoi misteri, nelle sue stelle. Anche le stelle, sono tante, sono tantissime. Forse le notti lo sono di più, ma a questo punto diventa una gara in cui ti perdi proprio, ti sganci un attimo dal tuo cruccio. Se metti insieme le notti da solo e le stelle, alla fine le prime vengono un poco illuminate delle seconde. Mica per una volontà, per una capacità, per qualcosa che hai tu. Niente affatto. Non per come sei tu, ma per qualcosa a cui ti appoggi. Se ti appoggi la solidità non è in te, ma nell’appoggio stesso. Ci pensa lui, a te. Sono problemi suoi a questo punto. Dell’appoggio.

Le stelle non le conti, non le puoi contare. Nemmeno le notti le conto. Sono troppe, non cerchi più. Non ci provi più. Le cose umane con tutte le loro regole sono rette da criteri economici, non c’è spreco, non c’è esagerazione. Che tristezza, alle volte. Tutto è numerato in modo sobrio. Non ci si può permettere qualcosa che non si numeri, che non si conti. Ma le stelle sono troppe, invece. Finalmente troppe. Non si contano. Quante sono le stelle nel cielo? Tantissime, c’è una abbondanza che qui in Terra certo non ti puoi permettere.  Miliardi di miliardi di miliardi… Va bene, alla fine ti plachi. Almeno un poco, ti plachi. Sono di più delle tue notti, delle tue notti di solitudine, delle tue notti di lamento. Delle notti passate lontano da chi vorresti fosse lì con te, da chi dovrebbe essere lì con te. Finalmente qualosa con cui puoi confrontarti, che ti calma. Almeno un poco, almeno un attimo. 

E però non è nemmeno tutto. Biagio parla anche dei misteri, anzi cita prima quelli che le stelle. Perché nelle canzoni (e nelle poesie) ben riuscite, le parole non sono messe mica a caso. Secondo me Se è vero che ci sei è una canzone ben riuscita, e dunque posso prendere il testo e percorrerne le parole, l’ordine delle parole, ben certo che non sono state messe a caso, che c’è una logica. Che è ben più della logica matematica, è la logica poetica, ovvero una logica che evade dalla logica: discorso che porterebbe lontano, ma ci siamo capiti. 

Dicevamo dei misteri. I misteri prima delle stelle. Se le stelle si guardano, si vedono (poco, in città quasi niente, ma da qualche parte lo sai che sì, si vedono) i misteri non si vedono. Si sentono, si sentono addosso. Il mistero si vive, non si concettualizza. Mi immagino una donna, un uomo di diecimila anni fa, che guarda in alto e sente l’infinito mistero di tutto quello che ha intorno, che non comprende se non in minima parte. 

Più o meno come noi, adesso. Certo, sappiamo tante cose dell’Universo, ma lo comprendiamo solo in minima parte. E lo sappiamo. Se vogliamo credere alle teorie cosmologiche attuali, il 95% del tutto è fatto di energia oscura e materia oscura, ovvero cose di cui non sappiamo proprio nulla. Non che del restante 5% si sappia tutto, beninteso, anche lì si aprono misteri su misteri. Ci stiamo lavorando, ma i misteri ci sono. E sono tanti. Ogni astrofisico lo capisce bene. 

Così i misteri sono tanti, forse in numero non proprio come le stelle ma in profondità sicuramente sono sconfinati. Allora guardi il cielo e tra misteri e stelle ti senti un poco confortato, c’è questo punto di fuga, quel qualcosa che evade da tutto il calcolabile, il computabile, il ragionabile, che è proprio quello che cerchi. Non ci sono ragionamenti che plachino le mille e mille notti passate in solitudine, poi non basta nemmeno la presenza fisica di un’altra persona nelle tue notti per sconfiggere la solitudine, la faccenda è complessa e coinvolge una quantità di fattori, psichici, emotivi, ormonali, di carattere, di compatibilità, di interessi, di stato di vita, quello che vuoi. 

Però nel capire che sono troppe, queste notti, per cercare di contarle, alla fine ti plachi, un poco ti plachi. Smetti di razionalizzare, in un certo senso ti arrendi. Cedi, in qualche modo. Vuol dire anche che smetti di fare obiezione, smetti di protestare, forse smetti per un poco anche di lamentarti. Non che magari non avresti motivo di lamentarti, sia ben chiaro: comunque è interessante questo, che smetti. 

Mi verrebbe da dire, che da lì, da questa rinucia molto imperfetta e molto temporanea al giusto e ragionevole lamento, tutto può iniziare. Perché il lamento (lo sai bene, lo so bene) blocca un poco le cose che possono capitare, mentre se perdi l’aggancio razionalistico sulle cose, che ti porta al lamento, qualcosa può capitare. 

Che cosa? Non lo so, forse niente. Forse un evento che ti cambia la vita. Vediamo.

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