Di nuovo primavera

E’ un respiro fiorito, più fondo e
delicato che adesso sfiora
tutta questa mia inutile
umanissima paura,

la sminuzza in pezzetti piccoli e
inizia a dissolverne
pazientemente
le trame perverse,

cauto, dolcemente disinnesca
i circuiti malati.

E la ricarica, la ricama di
quieta bellezza, di
questa sconosciuta
composta armonia.

Non calpesta, non
calpesta nulla questa più
morbida primavera ma

dolcemente protegge e senza
niente altro che un atto di amore

(cioè di attesa) nella ripresa
al fondo del respiro,

suggerisce

quel cammino diverso alla
mia libertà.

Da "Imparare a guarire" (Di Felice Edizioni, 2018)
Foto: Parco Regionale Urbano di Aguzzano, Roma
In foto è visibile il cane Poncho 

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Parole (una strada nelle)

Parole parole parole. Ogni cosa è avvolta di parole, può essere avvolta, può, in modo che non fa male, entra docile con le altre cose, non fa male. Un mondo che finalmente non fa male.
Ogni respiro è avvolto di parole.
Le tue gambe sono avvolte di parole, di ragioni.
Le tue gambe sono fasciate di parole, come mattini di aprile.
Il tuo sguardo intero è sempre pieno di parole,
dette, non dette.
Troviamo una strada nelle parole,
come nido di uccelli in primavera.
Il tuo sesso è odoroso di parole,
se tace fa male, colpisce fitto.
Se parla è dolce, lento, leggero. Mi culla.
Lo posso respirare.
Così percorri le strade gialle di luce
nel piccolo borgo
e appena capissi che senza parole non ho più te,
non ho te non ho
nessuno, non sono niente.
E il coraggio lo bevo dalle luci gialle
dalle donne che allegre passano in strada
non posso amarle tutte, averle tutte e devo scrivere.
Sto scrivendo, vedi.
Non torni qui che in luce riflessa.
La tua figura oggi mentre ti vestivi 
dicevi “sì tu ne hai pieno diritto”
– di vederti nuda, intendevi.

Diritto di parole tese, teso muscolo verbale. Genitale.
Ti inchinavi al mio diritto generativo eppur mi domina intera – adesso –
la tua architettura di femminilità in potenza, 
gemito elettrico nelle placide ore estive.
In Provenza,
ove le parole gemmavano dalla tua giovane pelle, 
specchiavano il mio futuro
incastonato icasticamente fra le tue ossa.
Di vederti nuda, intendevi.
Nuda. Congiunzione, impavida legatura del discorso.
La scrittura è nuda, le parole sono ormai spoglie:
tu sei fatta di parole, alla fine.
Sei detta quindi sei.
Quale verbale ardire penetrare tra le parole 
come aprirmi strada tra le tue labbra
farti di parole e bianca schiuma di sostantivi.
Riprendersi lieve l’ordine delle cose,
parlandole. Finalmente. Aspetta!
Ordinare la sequenza del tempo
nella linea fecondativa dell’inchiostro
Ecco, è il lavoro. E’ questa, 
la costruzione.
La bocca parla e la bocca bacia 
unisce vocaboli e corpi.

Da “In pieno volo” (Ilmiolibro, 2014)

Illustrazione di Davide Calandrini (diritti riservati)

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Roma di vento

Roma oggi  
affondata nel vento  
fresco dell’inverno,  
già sconfitto e ormai  
più docile e calmo.  
 
Le ragazze che passano  
tengono stretta la gonna alle gambe,  
schive traversano Roma e il mio sguardo:  
fresche nel vento, che tira sottile.  
 
L’aria che sale addosso  
non chiede permesso e  
le attraversa impudica, fa spazio  
tra i vestiti e la carne,  
 
le rinnova di fresco  
le rende frizzanti. Che più vergini  
traversano l’aria, ora vibrante  
di un strano, ardito stupore.  
 
Ma che senso di inedito  
c’è già tra le cose.  
 
E Roma di vento,  
è giovane,  
sempre. 
 
 
 
Piazza Navona (foto dell’autore) 

Questa poesia appare nel numero di Aprile 2020 della rivista Frascati Poesia Magazine.

“…sì, per me Roma non è un luogo come gli altri, né a livello personale, né a livello storico destinale”

Marco Guzzi

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Giornata della poesia (onde)

Disegno di Davide Calandrini (diritti riservati)
Finché parlano piano tra loro

– mi dico dal bagno –
va tutto bene.

La figlia grande e la più piccola nel salone,
le loro voci che mi arrivano
portando densità di energia
buona un

campo d’onde salutare
nella giornata della
poesia, tranquilla ritorna

la possibilità infinita,
l’articolazione inaudita
di fare
versi.

Da “Imparare a guarire” (Di Felice Edizioni, 2018). 

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Vento nuovo

Disegno di Davide Calandrini (diritti riservati)

Bene ed ora,
lasciati andare nel

mistero del
tuo essere.

Dimmi, quanto ancora ti manca
per essere completa cioè per

rifulgere, ringraziare
esattamente ringraziare, intendo,
della tua imperfezione:

direi quindi, direi

lasciati precisamente andare
al tuo lavoro così
come è ora alla
tua vita proprio
com’è adesso non

mi fare più
resistenza
ti prego non
farne più,
affatto ma

lasciati andare a come sei perché
sei inaccettabilmente splendida
come sei, se appena

di moto quasi involontario
lo ammetti, di quasi piana distrazione
finalmente, lo permetti.

E basta cercare, basta.

Non cercare mai più
non cercare mai più di essere
altro non provarci
proprio più

ad essere diversa differente
altro da questo ed invece

ràdicati in tutto quello
che sei, che finalmente
sei diventata.

Ti supplico ancora, per piacere,
non cercare altro ma
ràdicati, cerca radici fonde
spesse e robuste, risplendi luminosa

di ciò che adesso sei, mostralo
mostralo al mondo ciò che sei
rivolta ciò che nascondi verso fuori –
e fallo pure con orgoglio che l’unico

l’unico tuo possibile vanto
è accogliere, l’unico
vento nuovo è
quello di radicarsi e
accogliere nel Sì tutto
quanto ti è stato donato in questi

lunghi preziosi anni,
tutto quanto hai assorbito e
lo splendore di quello che sei ora e non
quello che decideresti d’essere ma appena

quello che ora sei. Purissima
contraddittoria
sporca impresentabile così
dolce e luminosa. Oro e fango,
insieme: come veramente tu sei.

Stasera,
celebra danzando, la
tua imperfezione di
diamante.

Ama perdonandoti il tuo
tenero peccato, il luogo dove
sei più te stessa sei
senza difesa, più.

Dillo dunque, urla finalmente quel Sì
a ciò che ora sei. E pacificati, facci casa,
facci tiepido nido, dentro quel Sì:

tenero nido riparo glorioso, conforto nelle
tempeste dei giorni e nella cara quiete
dell’anima stanca.

Tutto riposati, in quel solo Sì.

Da “Imparare a guarire” (Di Felice Edizioni, 2018). 

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