Potrebbe essere il titolo di un libro, o di un film. Invece è proprio quanto è accaduto: undici anni di incessante attività, in orbita ad un milione e mezzo di chilometri da casa. Miliardi e miliardi di misurazioni, quotidianamente spedite a Terra.
Ma andiamo con ordine.
Della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ho scritto in tantissime occasioni, su questo blog (anzi abbiamo, perché ha contribuito anche la cara amica e valente divulgatrice Sabrina Masiero, con alcuni tra i suoi numerosi articoli). Iniziando il tutto, ben prima del lancio.
So long and thanks for all the fish! I just observed my last star this morning… #GaiaDPAC and @esa Gaia teams will do their best to make some great data releases from all the data I gathered! #GaiaDR4 in 2026, #GaiaDR5 around the end of the decade. Keep posted for our news… pic.twitter.com/K28l7O79ix
Per dirla tutta, Gaia compare dentro il mio blog (allora si chiamava GruppoLocale) più di dieci anni prima del lancio, con un post del 2002, intitolato La sonda Gaia e i modelli della Via Lattea. Una decade prima del lancio, ma quando il sottoscritto non aveva minimamente idea che sarebbe stato coinvolto nel lavoro su Gaia, a cui vi avrebbe poi dedicato molti, molti anni.
Immagina adesso, di rientrare a casa dopo un lungo viaggio fuori dalla Galassia. Sì, questa volta ti sei voluto prendere davvero una bella vacanza, una vacanza come si deve. Ma ci sta, ti capisco benissimo. Andare veramente lontano, centinaia di migliaia di anni luce (letteralmente), distante da tutti i luoghi già visti. Spingersi perfino fuori dalla Via Lattea, alla fine lo devi fare se ti vuoi vantare di essere un vero viaggiatore cosmico. Scorrazzare per Laniakea, surfare leggero lungo le increspature delle distese stellari in questo immenso paradiso, è troppo divertente, per non provarci, almeno una volta nella vita.
L’universo, d’altra parte, è un posto veramente enorme. Ricordi? Sembrano già passati millenni da quando si dubitava sull’esistenza di altre galassie, oltre la nostra. Sembra, perché, lo sai bene, era appena il febbraio del 1920, quando si tenne quel Grande Dibattito, quello tra i due dotti scienziati, che sostenevano tesi opposte (e lì per lì non hanno concluso niente). Beh, ma ora è chiaro, il cosmo è pieno di galassie. Gli amici astronomi ti assicurano, più di 100 miliardi. Decisamente troppe, per visitarle tutte. Non basta una vita.
Proprio così, stanno le cose. Puoi viaggiare per anni con la tua astronave a propulsione subliminale e, capisci, ancora non arrivi a vedere tutto quel che c’è da vedere. Sul tuo navigatore stellare aggiornato sono riportati, ormai, quasi tutti i ponti di Einstein-Rosen conosciuti (li aggiornano direttamente gli utenti, quando li trovano, i più diligenti li inseriscono volontariamente nell’applicazione), in modo che puoi sfruttarli per sbucare con poco sforzo in posti esageratamente lontani. E con tutto ciò, ancora ti manca tanto da vedere. Ma tanto.
Mi è piovuto in testa venendo in osservatorio, stamattina. Si può benissimo chiamare così, l’articolo che voglio scrivere oggi: piccole donne crescono. Perché il nuovo logo appena diffuso dall’Ente Spaziale Europeo (ESA) per i dieci anni di attività del satellite Gaia in fondo fa pensare a questo. E per tale motivo lo trovo geniale.
Faccio un piccolo salto indietro. Non è soltanto perché ci lavoro, nel gruppo scientifico di Gaia, che il suo logo originale mi è sempre piaciuto moltissimo. Quella bambina che guarda le stelle e quasi vorrebbe afferrarle, mi appare come simbolo vivo e palpitante del desiderio di conoscenza e di più – di unione con il cielo. E un po’ mi fa pensare alla mia Anita, la protagonista dei due volumetti di racconti (Anita e le stelle, La saggezza di uno sguardo) che sono stati preziosissima occasione di rapporto e di confronto con ragazze e ragazzi delle scuole. Con stelle in formazione, dunque, vorrei dire.
E ci sarebbe tanta umanità da raccontare. Incontri, persone e momenti di persone. Però torno alla missione. Per chi non se lo ricordasse, ecco qui il logo originale della missione Gaia.
Il logo originale della missione Gaia. Crediti: ESA
Siamo ormai vicinissimi ai dieci anni dal lancio di Gaia, ecco il motivo della ricorrenza. Gaia, che poi è una missione ad importante contributo italiano, cioè è una cosa anche nostra in cui l’esperienza e la genialità di tanti ricercatori del nostro paese ha trovato un terreno su cui misurarsi ed eccellere.
Diceva la poetessa Muriel Rukeyser che l’universo è fatto di storie, non di atomi. In dialogo con Marco Casolino, sulla provocazione salutare che genera questa affermazione, ho provato a dare qualche cenno di un racconto di astronomia che parte dalla sonda Gaia e il suo meraviglioso lavoro di censimento della Galassia, per sfiorare la meravigliosa e luminosa possibilità che l’astronomia stessa si faccia in qualche modo racconto essa stessa, per vivere fuori dai laboratori e dai telescopi, raggiungendo le giovani generazioni e chiunque si fidi della straordinaria potenzialità che ha il raccontare.
Qui puoi rivedere la diretta che si è svolta l’altro venerdì sera. Si è appunto partiti dal lavoro per Gaia del gruppo di Roma (il problema di come Gaia affronta i campi affollati e come in fondo se la può cavare), si è passati per i racconti del primo e secondolibro di Anita (e del lavoro presso una scuola che si è fatto su alcuni di questi racconti), ci si è fermati un momento sulle attività del Gruppo Storie dell’INAF, si è passati al volo sulla rubrica di Edu INAF Lo spazio tra le pagine, dedicata proprio all’intersezione della letteratura con l’astronomia.
– Anita, guarda! – mamma adesso le stringe la mano più forte.
– Guarda cosa, mamma?
– Guarda in alto!
Un po’ infastidita, Anita alza lo sguardo. E improvvisamente vede. Vede miriadi di puntini luminosi brillanti, quelli che non si scorgono mai, in città. Vede un cielo pieno pieno di stelle, come non se lo ricordava da tanto. Accidenti. È un cielo semplice e bellissimo.
Sì, c’è un grande nuovo telescopio nello spazio, ora. Si tratta appunto del James Webb Space Telescope (JWST, sigla con la quale presto ci abitueremo a coesistere). Non solo ha uno specchio cinque volte più esteso in area, rispetto al famoso Hubble, ma può vedere assai meglio in luce infrarossa.
L’immagine mostra il JWST già ben alto sopra la superficie terrestre, appena dopo essere stato “mollato” dallo stadio più alto del vettore Ariane V, che ha effettuato il lancio proprio il giorno di Natale.
Quando ero studente, si analizzavano immagini su lastre fotografiche, di centinaia, magari migliaia di stelle. Sembrava già moltissimo. Crescendo, ho incrociato il mio percorso con la novità roboante di Hubble, familiarizzandomi su numeri ancora superiori. Era ancora poco, capisco adesso.
Oggi è una giornata molto bella per l’astronomia, è stato detto poco fa dal presidente dell‘Agenzia Spaziale ItalianaGiorgio Saccoccia. Una festa per l’astronomia rincara Marco Tavani, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Sento queste parole mentre scrivo e capisco che accendono qualcosa, dentro. Tutte le nostre stelline nascoste, possono venir fuori, con più entusiasmo del solito. Enorme avanzamento dell’astronomia stellare galattica, e non solo dice Tavani. Non esagera.
Il team della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea apre oggi al pubblico la terza versione del catalogo (la early, per precisione). Quasi due miliardi di stelle. Posizioni, luminosità, parallassi. Anche velocità, anche fotometria a diverse bande. Una mole di dati impressionante, quasi cinquecento persone (me compreso) al lavoro per ottenerli. Esempio di straordinaria collaborazione europea, rimarca giustamente Mario Lattanzi (INAF).
La nuova distribuzione nel cielo dei puntini di Gaia (Crediti: Esa/Gaia/DPAC)
Questa piccola sonda a un milione e mezzo di chilometri, è l’espressione di qualcosa che è in tutti noi, nei nostri cuori. Quel desiderio di riveder le stelle è da custodire, coccolare, nutrire. Perché è quello che ci fa donne, ci fa uomini, ci fa stare in piedi. E ci fa ringraziare, per quanta bellezza c’è intorno.
Una favola vera, che ci rende più amici e più vicini. Se solo ci permettiamo di sognarla.
Perdonate, non posso fare a meno di andare con la mente alla celebre aria di Mozart e Da Ponte, punto eclatante di quel capolavoro che è il Don Giovanni. Non posso farne a meno quando si ragiona su un evento così importante come quello dell’apertura al pubblico del primo catalogo dei dati di GAIA, che è avvenuto proprio nella giornata di ieri.
Un momento, ma chi è GAIA? No, non c’è speranza di incontrarla dal vero, perché non solo non è una persona (purtroppo, o per fortuna…) bensì un satellite dell’ESA, che attualmente orbita intorno al punto lagrangiano L2, un punto particolarmente importante di stabilità gravitazionale alle bellezza di un milione e mezzo di chilometri da Terra.
La bambina che guarda le stelle, il logo forse più bello tra i tanti delle varie missioni…
Di GAIA ci siamo occupati a più riprese nel nostro piccolo blog (parlammo di GAIA già in uno dei nostri primissimi post, a maggio del 2002), e per i nostri affezionati lettori sarà come una vecchia amica, ormai. GAIA è stata lanciata nel dicembre del 2013 e da allora, non solo ha fatto strada, ma ha già fatto un bel po’ di lavoro, tale da rendere possibile l’apertura al pubblico più vasto (e intendo davvero tutti) un primo parziale catalogo di stelle, che già sorpassa i due milioni di oggetti stellari, registrati con una accuratezza assolutamente senza precedenti.
E che ovviamente fa impallidire numericamente anche il celebre catalogo – beninteso, di natura squisitamente diversa – del celeberrimo Don Giovanni mozartiano…
E’ così, verso il mezzogiorno di ieri sono stati aperti gli archivi (tra i quali possiamo sottolineare con un certo orgoglio, ve ne è uno tutto italiano, presso l’Agenzia Spaziale, che si è potuto realizzare grazie alla pazienza e alla lungimiranza di alcuni astronomi del nostro paese, con un ruolo importante nel team di GAIA).
Archivi alla cui apertura – così pare – è seguito una dinamica degli accessi il cui entusiasmo è pari solo alla portata stessa dell’impresa…
Dell’importanza di questi dati, e di come rivoluzioneranno negli anni a venire la nostra conoscenza della Galassia, e da questa in un salto in avanti, a gettare nuova luce sulle modalità stesse di formazione delle galassie più grandi, siano anche le più lontane, molto è stato detto e molto potrete trovare negli articoli apparsi su web in questi giorni.
Posso dire solo che è qualcosa che ripaga le dedizione di molti ricercatori, che dura ormai da anni (e che coinvolge anche l’Osservatorio Astronomico di Roma, nella persone di chi scrive e di altri validi collaboratori), e che finalmente produce dei risultati immediatamente accessibili a tutta la comunità.
Su questo appena vale la pena di fermarci, forse, per sottolineare quanto anche la scienza moderna stia facendo uno sforzo – encomiabile – per diventare più relazionale e trasparente possibile. E per far sì che uno sforzo comune abbia ricadute immediate e tangibili, nell’ambito più vasto possibile.
Vorrei proprio sottolineare questo punto, perché mi pare di una portata culturale decisiva. Ero presente ieri alla presentazione presso l’Agenzia Spaziale Italiana (se proprio siete convinti, potete gustarvi una piccola intervista video…), dove sono state illustrate le specifiche di accesso al catalogo. Sono rimasto davvero colpito, al di là di ogni retorica, per la premura con la quale si è cercato di garantire – nell’ambito di una ragionevole gestione delle risorse hardware – il massimo accesso possibile ai dati appena rilasciati dal team di GAIA.
In termini semplici, questo vuol dire che si possono scaricare porzioni ingenti di dati senza nemmeno necessità di registrarsi, ma semplicemente accedendo alla relativa pagina di interrogazione. Questo vuol dire che ogni persona con una ragionevole idea di come utilizzare i dati, e di come interrogare il catalogo (un passo tecnico inevitabile), può accedere ai dati più recenti di una missione in corso, e lavorarli a piacere per esplorare la sua ipotesi. Senza dover chiedere niente a nessuno, senza dover fornire alcuna giustificazione.
E sono dati che esprimono la ricerca più avanzata e precisa ad oggi disponibile sulle popolazioni stellari della Via Lattea (e non solo).
Per ovvie ragione, un accesso ancora più ampio ai dati è garantito a chi si registra, tramite la semplice procedure sul sito. Accesso ai dati che – ci è stato promesso – verrà poi ulteriormente allargato qualora il carico medio dei server lo permetta.
Al di là dunque delle ricadute specifiche di una indagine così ambiziosa, sulle quali diverse volte ci siamo ampiamente soffermati, quello che oggi ci colpisce anche un non specialista, è la diversa impostazione culturale che sta permeando l’indagine scientifica moderna. Il fatto che i dati vengano resi accessibili a tutti ed immediatamente è un paradigma nuovo anche per la scienza, infatti, che supera gli archetipi di periodo proprietario con i quali – pur legittimamente – si riteneva di dover garantire un accesso prioritario ai dati ai ricercatori che più di altri avevano lavorato alla messa in opera di un dato progetto.
Ora questo non esiste più, almeno per la missione GAIA (tra l’altro, è bene ricordarlo, una missione a forte partecipazione italiana). Ed è un paradigma che – bisogna ammetterlo – sorprende anche gli stessi scienziati, che un po’ faticano ad adeguarsi, a volte. Ma è in ultima analisi un paradigma che si iscrive pienamente nel segno di una nuova scienza, di una altra scienza, che vuole abbattere ogni muro divisorio artatamente eretto, sempre indice di un atteggiamento bellico o difensivo, per aprirsi davvero in una inedita avventura, di tutto il genere umano: una avventura che ha per sponda solo una eterna e rinnovata meraviglia.