L’audace familiarità del cielo

Il cosmo e la poesia (XII)

Massimo Morasso è affermato poeta e collaudato uomo del cosmo, insieme. Finalista alla recente edizione del Premio Frascati Poesia “Antonio Seccareccia” con Frammenti di nobili cose, fa parte del consiglio scientifico dell’importante Festival dello Spazio che si tiene annualmente a Busalla, in provincia di Genova.

Proprio in occasione del premio, ho avuto la possibilità di chiacchierare estesamente con lui, in compagnia dell’amico poeta Claudio Damiani. Un parlare che naturalmente innestava la poesia al cosmo, una dimostrazione – per me – di come i due ambiti siano intrinsecamente legati, anzi che siano, in qualche modo certo, una cosa sola.

Di Massimo già ho accennato, due mesi fa, nel contributo intitolato “Balsami per l’autunno”. Ora ritorno volentieri sui suoi testi, confortato da questa comune interesse in ciò che esiste oltre la terra.

Il suo Frammenti è un volumetto agile. Edito da Passigli Poesia (2023), è un libro che già dalla sobria copertina sceglie di far prevalere le nude parole, sulle immagini intriganti, sulle evocative illustrazioni. E già negli estratti poetici ripresi nel frontespizio, mi imbatto in quella nostalgia celeste che subito mi porta alle stelle, a quel de-siderio che è, secondo il suggestivo etimo latino, avvertire la mancanza delle stelle.

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Una panchina (anzi tre)

Proprio stamattina. Arrivo un po’ prima al Liceo Scientifico Vito Volterra, a Ciampino, per la prima lezione di un PCTO di evoluzione stellare, che devo svolgere in collaborazione con Laura, una collega di istituto.

Giro un poco tra gli edifici, prima che arrivi Chiara, la docente con cui devo interfacciarmi, ho tempo di guardarmi intorno. Sì, io ero rimasto al fatto che si chiamassero alternanza scuola-lavoro dove già si capiva un po’ di cosa si trattasse, ora dobbiamo chiamarli percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, frase estremamente sofisticata (in cui un po’ mi perdo).

Sono curioso. Questo è la mia scuola e non lo è, allo stesso tempo. E’ la mia scuola perché io ho studiato al Liceo Volterra, proprio questo. Era la fine degli anni Settanta, dunque un po’ di tempo fa. Ovviamente i ricordi sono tantissimi e vivaci, anche dopo tutti questi anni.

Abbiamo appuntamento davanti al bar, così rimango nei pressi. Sorpreso di questa scuola che è la mia e allo stesso tempo, non lo è. Infatti, al tempo, la sede della scuola era un’altra. Dalla storia dell’istituto, ritrovo che l’istituto era situato in Via Gorizia. Ricordo, a conferma di quanto leggo, che ai piani più bassi vi era un istituto d’arte (“Paolo Mercuri”, ricavo dalla medesima pagina).

Quindi è simultaneamente mio e non mio, come se tutto vibrasse tra questi due stati. È mio, il mio liceo, ma non ha niente del mio liceo. Non sono gli ambienti che ricordo. Certo, devo dire che probabilmente è meglio, più ampio, c’è il parcheggio, un bel giardino, la palestra interna, un vero bar. Niente di questo c’era, in Via Gorizia. Pure per la palestra, dovevamo uscire dall’istituto.

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Un tempo, tutto per lei

Wislawa Szymborska (1923-2012) è stata una poetessa e saggista polacca insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996. Splendida la sua capacità di intrecciare l’ordinario con l’universale, il quotidiano con il cosmico. La sua poesia si distingue per l’ironia, la curiosità e un senso di meraviglia che abbraccia tanto il mondo umano quanto quello cosmico. Ed è proprio questo che mi interessa, adesso. Per questo, ne scrivo.

“Tempo del femminile, tempo per tutti” Elaborazione dell’Autore attraverso Copilot Designer di Microsoft

Nelle poesie della Szymborska – per le quali mi appoggio alla traduzione di Pietro Marchesani, dal bel volume che tutte le raccoglie, La gioia di scrivere – le stelle e il cosmo non sono mai semplicemente scenari lontani e inaccessibili. Al contrario, esse diventano metafore potenti per esplorare la condizione umana, il mistero dell’esistenza e – come stiamo per vedere – il nostro stesso ruolo nell’universo… [Continua a leggere sul portale Edu INAF]

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Verosimile o vero? Per ChatGPT, è lo stesso

Gli articoli redatti dall’intelligenza artificiale sono – ancora forse per un po’ – facilmente riconoscibili: sono piatti, pieni di buon senso misurato ma senza spessore, senza punti di climax, senza concessioni all’emotività, con una attenzione esagerata a considerare il punto di vista più neutro possibile. Insomma sono mortalmente noiosi, almeno a questo stadio di evoluzione dell’IA.

Anche per questo, io non sono tra quelli che fanno scrivere i pezzi a ChatGPT. Mi diverto di più a scrivere personalmente. Ma questo non vuol dire che rinunci a fare esperimenti, per vedere se in qualche misura questa nuova tecnologia mi può essere d’aiuto. E l’aiuto spesso arriva, inutile negarlo.

A volte però è un aiuto un tantino avvelenato.

Per un articolo che sto scrivendo per la mia rubrica su Edu INAF (che dovrebbe apparire sul sito giovedì 30 gennaio) ho posto a ChatGPT alcune domande relative alla poetessa Wisława Szymborska (premio Nobel per la poesia 1996). Mi interessa particolarmente, come potrete comprendere, il suo rapporto con il cosmo.

L’idea era di raccogliere le buone idee eventualmente fornite dalla macchina automatica, per poi rielaborarle secondo la mia sensibilità, tanto per essere sicuri di non lasciar fuori nulla di importante. E integrarle nel mio pezzo, in via di scrittura.

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Undici anni nello spazio

Potrebbe essere il titolo di un libro, o di un film. Invece è proprio quanto è accaduto: undici anni di incessante attività, in orbita ad un milione e mezzo di chilometri da casa. Miliardi e miliardi di misurazioni, quotidianamente spedite a Terra.

Ma andiamo con ordine.

Della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ho scritto in tantissime occasioni, su questo blog (anzi abbiamo, perché ha contribuito anche la cara amica e valente divulgatrice Sabrina Masiero, con alcuni tra i suoi numerosi articoli). Iniziando il tutto, ben prima del lancio.

Ora che sta finendo, mi viene da ripensarci.

Per dirla tutta, Gaia compare dentro il mio blog (allora si chiamava GruppoLocale) più di dieci anni prima del lancio, con un post del 2002, intitolato La sonda Gaia e i modelli della Via Lattea. Una decade prima del lancio, ma quando il sottoscritto non aveva minimamente idea che sarebbe stato coinvolto nel lavoro su Gaia, a cui vi avrebbe poi dedicato molti, molti anni.

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La Luna di Maria Luisa

Il cosmo e la poesia (XI)

Ora che mi leggete in queste righe, è passata da poco la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra il 25 novembre. Mi pare una ottima occasione per tornare sulla poesia italiana al femminile, sempre con l’occhio a quei versi che più d’altri ci parlano del cielo. Perché esiste una violenza del silenzio, lo sappiamo bene, che vogliamo contrastare, infrangere, debellare. E anche perché spesso proprio le poetesse sono le più capaci di ineffabili sfumature di delicatezza, ma anche – insieme – di contatto completo con il cosmo.

Di Maria Luisa Spaziani ho brevemente accennato nella seconda puntata di questa serie, ora però ritengo sia tempo di scendere più in profondità.

Riconoscere nella estesa produzione di Maria Luisa (scomparsa esattamente dieci anni e pochi mesi fa) quanto – ad esempio – la Luna affiori così frequentemente nei suoi versi, vuol dire anche assaporare una volta di più, l’attenzione e l’abitudine al cielo come caratteristica inestirpabile della poesia di ogni tempo. E la Luna è spesso questo punto di incontro, questo luminoso ed enigmatico cardine tra terra e cielo, tra cose usate e cose meravigliose.

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Anno nuovo, sistema vecchio?

Leggo con una certa curiosità il recente report di StatCounter, ripreso da Punto Informatico, secondo il quale il sistema operativo più diffuso, al momento, non è affatto un sistema operativo contemporaneo, per così dire.

E’ infatti Windows 10 che è utilizzato da quasi il 74% dei computer nel mondo. In altri termini: un sistema (che ha esordito nell’ormai lontano 2015) che ora non è più in produzione, è il sistema più usato al mondo. La cosa davvero buffa è l’andamento che si registra negli ultimi mesi del 2024, con Window 11 in discesa e Windows 10, addirittura, in salita.

Una buona cosa senz’altro è il 4% di Linux, sistema di cui qui – anche attraverso il blog SegnaleRumore ora qui confluito – mi sono occupato in diverse occasioni, per molti anni. Una buona cosa, certo, anche se ancora non può essere considerato un sistema che lotta per il dominio desktop (sono decenni che si vocifera di Linux sul desktop, invero). Per quanto, considerato che macOS si pone appena oltre il 14%, Linux rappresenta comunque una frazione significativa di tale sistema.

Windows 10 ed il cosmo”. Creato attraverso Copilot Designer di Microsoft

Vabbé. Perché Windows 10 è ancora il più diffuso? Le ragione possono essere molteplici. Sistemi vecchi che non si possono più aggiornare, sfiducia nel passaggio a Windows 11, calcolatori che gestiscono macchinari o computer di laboratorio, per cui l’aggiornamento potrebbe dare problemi (secondo la innegabile saggezza per cui ciò che funziona non si tocca). Analisi che senz’altro vanno lasciate agli esperti, magari confortati da statistiche più dettagliate.

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Vigilia di stelle

Quella sera, non aveva fretta. Sì ma certo, doveva andare a cena a casa dai suoi, sì l’aspettavano per la cena della vigilia, ma non aveva fretta.

Non perché non le andasse di andare, per carità. C’era il fratello, quello che lavora in banca ed è sempre così preciso, ordinato. C’era mamma e papà ad aspettarla. Papà con tanti progetti, come sempre. Più si avvicinava alla pensione più faceva progetti: rassicurante, in un certo senso. Mamma sempre mamma, così completa nelle poche cose che faceva, ma così indispensabili che se togli lei, cadrebbe tutto. L’universo si smonterebbe in piccolissime parti. Lei lo tiene insieme senza saperlo. E siccome vuole bene a papà, alla fine anche lui lo tiene insieme, l’universo. Anche se a volte gli manca la visione ampia, se si perde nelle sue cose, semplicemente ne viene coinvolto, viene preso nel flusso. Perché è tutta una cosa di mutue relazioni, in fondo.

Immagine generata con Image Creator di Microsoft

Eva non aveva fretta, no. Stava alla finestra e guardava lo spettacolo del cielo, che si era intanto predisposto per lei. Si era vestita già e stava per uscire, ma aveva fatto lo sbaglio piacevole di passare davanti all’ampia finestra, così si era fermata. Incantata. Perché qualcosa aveva raggiunto il suo cuore, qualcosa di una dolcezza imbarazzante, una dolcezza che non si poteva dire, che non si riusciva a dire, che non era razionale, non era comunicabile, non era nemmeno conveniente dire.

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