Da ogni punto di vista (ovvero, diventare panoramici)

In che senso possiamo sostenere che l’universo è elegante? Ed ancora, come possiamo accorgerci di questa eleganza, e che conseguenze può avere? Che conseguenze concrete – intendo – per la nostra esistenza su questo pianetino che ruota intorno ad una piccola stella situata nelle periferie di una enorme galassia a spirale?

Ottima conversazione nella serata, lo scorso lunedì, per la serie Io divulgo forte di Radio Incredibile con Andrea Cittadini Bellini e Valeria Tassotti. Siamo partiti dal rapporto tra scienza e fede ma presto il dialogo si è allargato ad altri temi e altre provocazioni. Alla fine, saremmo andati avanti per ore: l’affiatamento era perfetto e il dialogo scorreva senza intoppi.

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Una questione di linguaggio

Il cosmo e la poesia (IX)

Come fa ben notare il noto fisico Carlo Rovelli in Helgoland (Adelphi, 2020), lo sconquassamento teorico più efficace del mondo moderno e di tutto il suo assetto è opera di un manipolo di ragazzetti, che investono la perenne ricerca della radice profonda del reale con l’ardore rivoluzionario tipico della loro età. Questi rivoluzionari del pensiero – Heisenberg, Jordan, Dirac e Pauli – sono tutti ventenni. Tanto che a Göttingen la loro fisica viene chiamata «Knabenphysik», la fisica dei ragazzi.

A loro – nelle fondamenta del secolo così tormentato ma al contempo così audace verso il nuovo, come il Novecento – il compito di svelare il segreto, di denunciare che il re è nudo, che il modello di realtà che ha eletto la fisica dell’ottocento a modo privilegiato di vedere il mondo, è ormai deprivato di ogni consistente radice che voglia affondare nell’ordine profondo delle cose, ovvero in quel mondo subatomico che sorprendentemente si rivela tanto elusivo quando rivoluzionario.

Un cosmo di buchi bianchi” (generato con Bing Image Creator)

Al fondo, è una questione linguistica. Nè potrebbe essere altro, se è vero che l’universo è fatto di storie, come asserisce la poetessa Muriel Rukeyser. Al poeta, dunque, il compito di cesellare il linguaggio adatto, facendosi voce di ciò che non ha voce, accogliendo ogni incertezza. Così Gian Mario Villalta, in Dove sono gli anni (Garzanti, 2024)

Non sei tu, ibisco, non sei tu,
ma prendi nella mia voce parola, nella mente,
come ogni cosa che vedo e sento. Ti importa
se non sappiamo che cosa siamo io
per te, tu per me, per tutto tu e io l’universo?

Seguendo l’invito della poesia, è la grammatica stessa della nostra comprensione della realtà che, noi fisici, dobbiamo accettare di modificare. Nello stato di bassa energia non solo mi percepisco isolato, ma erigo barriere per difendere il mio isolamento. Disgregato in particelle elementari in urto pazzo e fuga scombinata in direzioni casuali: questo mi aspetto come destino ultimo, conclusione logica del mio assetto mentale. In breve, non vivo. Difatti non si vive fuori dalla relazione. Questo ci dice la nuova scienza, questo ci ha sempre detto la vera poesia. Pur riconoscendo di non sapere cosa siamo io per te, tu per me, indubbiamente siamo coinvolti in qualcosa, insieme.

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Quegli universi, ancora da gustare

Alla fine, cosa mette in connessione stabile scienza e poesia? Ritengo che sia molto semplice: come forse abbiamo già scoperto, percorrendo le varie tappe di questa rubrica.

Provo a dirlo in un modo sintetico. Entrambe cercano di farci comprendere l’ambiente in cui viviamo, lo spazio che occupiamo. E rendercelo più abitabile. Tutto qui, in fondo: certo, se con ambiente intendiamo tanto quello esterno (lo spazio propriamente detto) quanto quello interno (sentimenti, emozioni). Le connessione tra i due spazi sono virtualmente innumerabili (secondo diverse correnti di pensiero, in realtà si tratta di un solo spazio: celebre la frase di Agostino, l’anima è in qualche modo, tutto), e l’indagine appassionata in essi procede sempre nelle due direzioni, interna ed esterna. Altrimenti si lascia fuori qualcosa. Qualcosa altrimenti si spezza, e i frammenti dispersi, proiettati con violenza verso orbite irregolari, rendono tutto più opaco, più doloroso, meno trasparente. Inquinano lo spazio.

“La poesia apre nuovi universi”, immagine generata mediante Copilot Designer di Microsoft

Mantenere l’unità di tutto è essenziale, ormai non è più un optional. Oggi non basta la sola poesia, non serve la sola scienza. Sono zoppicanti, se pensate da sole. Serve cementare la loro profonda amicizia, urge anzi – pur bruciando le tappe – suggellare il loro matrimonio [Continua a leggere sul portale Edu INAF]

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Libero come l’universo

Questa è una foto – sempre bella ma già molto vista, a dire il vero – di un campo profondo di galassie vista con il Telescopio Spaziale James Webb. Vanta un bel primato, perché è la prima immagine in assoluto che è stata mostrata al grande pubblico, per questo strabiliante telescopio spaziale.

L’ammasso di galassie Smacs 0723 ripreso dal JWST. Crediti: Nasa, Esa, Csa, and Stsci

Nel dettaglio, ritrae l’ammasso di galassie Smacs 0723 ed è l’immagine dell’universo nell’infrarosso alla risoluzione più elevata di sempre. Colpisce, prima di tutto, la varietà estrema di galassie, quasi straripante da questa immagine. Il messaggio che ci tocca è straordinariamente chiaro: per l’universo moderno, la varietà è la norma, non c’è più niente di uniforme, omologato. Non esiste galassia, o addirittura stella – a guardarla bene – che sia davvero uguale ad un’altra.

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Una comune percezione di meraviglia

Il cosmo e la poesia (VIII)

L’universo è un luogo accogliente? Questo è l’interrogativo fondamentale, il vero focus di questa rubrica. Non puoi fare poesia, infatti, se non senti di essere in un luogo accogliente. Non puoi creare prescindendo dall’ambiente, e l’ambiente per eccellenza è il cosmo.

Leonardo Boff e Mike Hataway, nel Tao della Liberazione (uscito dieci anni fa per i tipi di Campo dei Fiori), parlano espressamente del fenomeno della perdita della cosmologia in Occidente. Un fenomeno gravissimo, che contribuisce non poco al malessere moderno del quale difficilmente riusciamo a non fare esperienza quotidiana. Anche nella poesia. Abbiamo infatti perso, con la stessa entrata nella modernità, la nozione di universo “amico”, luogo di riparo e protezione. Per gli autori, “abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”.

Illustrazione generata dall’Autore attraverso Bing Image Creator
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Quando l’abbondanza è terapeutica

Certe volte guardo il cielo
i suoi misteri le sue stelle
Ma sono troppe le notti passate senza te
Per cercare di contarle

Esperienza recente, per molti di noi. D’estate infatti è più facile avere occasione di guardare il cielo, lontano dai centri urbani, dove il buio è ancora degno di tale nome. E di scoprirlo, quasi inaspettatamente, pieno di stelle. Il che porta, sovente, a risultati imprevedibili. Perché magari si attivano misteriosi collegamenti interni, perché le stelle dicono qualcosa per ognuno.

“I suoi misteri e le sue stelle”, immagine generata dall’autore, mediante Copilot Designer di Microsoft

Biagio Antonacci, nella canzone il cui incipit apre anche questo articolo, amalgama abilmente misteri e stelle del cielo con il sapore delle notti trascorse senza la sua stella, senza la persona amata. Con minima spesa di parole, con attraente sbrigatività poetica: edificando un tunnel, una efficace scorciatoia tra spazio esterno e spazio interiore. Un’abbondanza di misteri e di stelle, mescolata insieme ad una mancanza? Un composto decisamente agrodolce. Mi torna alla mente una strofa lapidaria di Saffo…  [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Aprire un cammino

Tornato ieri a sera, dalla piccola tournée di due giorni, due incontri con tante persone, per raccontare le novità del cielo. Due incontri per declinare il titolo che mi era stato assegnato, suggestivo ed impegnativo al medesimo tempo: L’universo elegante mostra la sua danza di futuro.

Come per anni precedenti, ho raccolto l’invito cordiale di Gianluigi Nicola, presidente della Associazione Italiana Teihard de Chardin, a venire a raccontare, la sera di sabato 21 a Diano Marina e la mattina del 22 presso il Monastero di San Biagio, a Mondovì.

Sono state due occasioni per fare il punto sulle scoperte astronomiche degli ultimi cinque anni, comprendendo così come l’indagine del cielo – come il cielo stesso, del resto – è in fase di espansione accelerata, così che perfino durante gli anni del COVID si sono susseguite una serie di scoperte straordinarie, come di esplorazioni mai tentate prima.

In una manciatina di mesi, infatti, siamo andati a prender sassi sugli asteroidi, abbiamo lanciato nello spazio un telescopio gigante, abbiamo forse capito perché l’universo non si è azzerato subito dopo la sua nascita in un megascontro tra materia e antimateria, abbiamo indagato il sottosuolo di Marte ma ci abbiamo anche svolazzato sopra, con il primo drone planetario, abbiamo ascoltato il mormorio del tappeto di onde gravitazionali che pervade lo spazio, abbiamo trovato acido ribonucleico aggrappato stretto sopra un asteroide, abbiamo riallacciato i contatti con una sonda lontana ventiquattro miliardi di chilometri alla quale si era guastato il computer … e si potrebbe continuare. Ma avete compreso già.

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Subito e sempre, all’opera

Lo scriveva già Luigi Giussani negli anni Ottanta, nel celebre testo Il senso religioso (forse uno dei suoi testi più moderni, ancora leggibilissimo adesso):

L’atteggiamento scientifico – nel senso proprio del termine – già sappiamo che non potrà esaurire l’attenzione all’esperienza. Proprio per “esperienza” viviamo moduli e fenomeni che non si riducono all’ambito fisico-chimico.

C’è infatti un’idea di scienza, quel senso proprio appunto, che ormai avvertiamo subito come parziale. Perché appunto, non esaurisce l’attenzione all’esperienza. Da questa attenzione, credo, bisogna ripartire per recuperare l’umano, che è l’unica cosa che ancora – in questo clima pazzesco di distruzione e devastazione, in questo teatro di guerra planetaria – davvero l’unica cosa che ci può ancora interessare.

Ma attenzione. Qui l’unione di Terra e Cielo deve subito entrare in gioco, per non ricadere in ennesime parzialità. Qui la cosmologia interiore e quella esteriore devono unirsi, anzi si rende necessario intraprendere un percorso, dalla prima alla seconda (e ritorno). Attivare, riattivare, questo salutare ricircolo.

Perché tutta questa crudeltà planetaria che i telegiornali ci portano in casa ogni sera (nociva anche a subirla, tanto che sarebbe meglio spegnere e fare meditazione), si nutre del vecchio modello riduzionistico, e cresce sulla dimenticanza di Sè, della propria regalità.

Dice la pagina del convegno Scienza e Spiritualità – dalla quale già sto attingendo alcuni spunti – che si è appena tenuto a Prato, nella bella cornice del Monastero San Leonardo al Palco

Chiacchere e approfondimenti, nella pausa caffè…

L’essere umano, con i piedi ben piantati a terra, ha sempre alzato gli occhi verso il cielo, sia alla ricerca dei confini fisici dell’universo, sia alla ricerca di dimensioni altre. Ma qual è l’attuale visione scientifica del cosmo, dell’uomo e delle relazioni, anche simboliche, tra questi due universi? E quanto ci stiamo dimenticando di essere ponte tra Terra e Cielo, tra infinitamente piccolo e infinitamente grande?

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