Veramente una immagine festosa quella che ci mostra una gran varietà di giochi di luce che interessano i residui spumeggianti non di una, bensì di (almeno) due stelle esplose. La regione è nota agli astronomi come 30 Doradus B ed è in realtà parte di una zona di cielo ben più ampia, nella Grande Nube di Magellano (lontana da noi circa centosessantamila anni luce) dove nuove stelle si stanno formando continuamente, da circa dieci milioni di anni.

La regione di formazione stellare 30 Doradus
Crediti: X-ray: NASA/CXC/Penn State Univ./L. Townsley et al.; Optical: NASA/STScI/HST; Infrared: NASA/JPL/CalTech/SST; Image Processing: NASA/CXC/SAO/J. Schmidt, N. Wolk, K. Arcand

Questa particolare immagine è stata realizzata combinando i dati in banda X provenienti dall’osservatorio spaziale Chandra, il telescopio ottico di quattro metri di ampiezza Blanco (in Cile) e i dati infrarossi provenienti dal telescopio spaziale Spitzer. Per impreziosire poi questa già sapida preparazione, sono stati aggiunti dati provenienti da Hubble, sempre in banda ottica.

Ed è proprio il gioco complesso di intersezione dei dati provenienti da diverse fonti – nel caso specifico, mettendo insieme i dati ottici con quelli in banda X – che ci hanno fatto capire che quel che la articolata configurazione di base e polveri che vediamo della regione 30 Doradus non può essere stata generato da una sola esplosione di supernova, ma ce ne vogliono addirittura due. Ed è anche possibile che ve ne siano state altre, in un remoto passato.

In altri termini, la complessità della regione si svela solamente se accogliamo le indicazioni provenienti da diversi canali informativi, corrispondenti a campi di indagine ognuno con le sue proprie specificità.

Come accade sovente, l’osservazione del cielo ci insegna qualcosa per la nostra vita, se davvero accettiamo di aprirci agli stimoli che ci arrivano dalle stelle. Può essere infatti necessario, anche per noi, aprirci a diverse interpretazioni, ricevere dati da diverse sorgenti, perfino apparentemente contraddittorie, per formarci una nostra opinione di un fatto, di un avvenimento: una opinione che sia, finalmente, personale, non derivata passivamente da alcun punto sorgivo, per quanto ci appaia autorevole.

Ritengo sia necessario un lavoro costante per capire il mondo, tanto più per comprendere la nostra unicità nel mondo, che non ammette più adesioni acritiche a modelli od opinionisti o maestri di pensiero, ma tutto sottopone al vaglio della nostra revisione critica: ove con critica non si vuol affatto intendere scettica, ma che tenga conto della profondità e dell’unicità della nostra coscienza, quel peculiare punto di giudizio che ci mette davanti al cosmo quali protagonisti nella conoscenza e nell’azione.1

Solo così, ritengo, si potrà svelare ai nostri occhi l’immagine festosa che il cielo questa – e molte altre volte – ci propone di guardare. Ed allora potremo davvero essere grati a chi abbiamo consapevolmente seguito, per raggiungere questi straordinari panorami.


  1. “Tutte le esperienze della mia umanità e della mia personalità passano al vaglio di una «esperienza originale», primordiale, che costituisce il volto nel mio raffronto con tutto. Ciò che ogni uomo ha il diritto e il dovere di imparare è la possibilità e l’abitudine a paragonare ogni proposta con questa sua «esperienza elementare».” (Luigi Giussani, “Il senso religioso”) ↩︎

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