Una bellissima palla di stelle senza alcuna controparte nella nostra pur enorme Via Lattea! Ciò è piuttosto sorprendente, in fondo l’immagine dell’ammasso stellare NGC 1850 sembra somigliare in tutto e per tutto ai tanti antichi ammassi globulari che ci sono nella Galassia.
La differenza, infatti, non si vede così ad occhio, ma c’è. Le stelle di NGC 1850 sono tutte veramente giovani, il che le rende assolutamente non comparabili ai nostri ammassi globulari. E non è neanche tutto. Perché questo è un ammasso doppio, con un secondo agglomerato compatto rintracciabile qui alla destra dell’ammasso più grande. Ed ecco la sorpresa: le stelle nell’ammasso grande risultano avere un’età di circa cinquanta milioni di anni, mentre le stelle dell’ammasso secondario appena quattro milioni di anni. Decisamente diverse dalle età degli ammassi globulari della nostra galassia, dove le stelle che li compongono vantano età sensibilmente più elevate, dell’ordine della decina di miliardi di anni.
Al centro di una regione di formazione stellare si trova un enorme ammasso, contenente alcune delle più grandi e più calde stelle che si conoscano. L’ammasso prende il nome di R136 e fa parte della Nebulosa Tarantola. E’ stato catturato in questa bellissima immagine, una decina di anni fa, dal Telescopio Spaziale Hubble.
Bello vedere come gas e polvere formino delle enormi sculture nello spazio cosmico, contribuendo a restituirci l’immagine di un universo caldo, colorato e spugnoso. Dove poter procedere di scoperta in scoperta, probabilmente. Insomma, tutto l’opposto dell’idea, ormai in felice tramonto, di un cosmo freddo e scuro.
Perché c’è questo, vediamo quello che la nostra consapevolezza ci permette di guardare. E tracce di una nuova visione del cosmo, di una nuova scienza, ormai sempre più spesso ci vengono a visitare.
Davvero un meraviglioso arazzo, quello che possiamo ammirare in questa immagine. Rappresenta uno degli esempi più spettacolari tra le zone di nascita di stelle che ha mai inquadrato Hubble in tutti i suoi trent’anni di onorata carriera. La nebulosa gigante è NGC 2014 e il suo vicino si chiama NGC 2020. Insieme fanno parte di una estesa zona di formazione di stelle, nella Grande Nube di Magellano, un satellite della nostra Galassia, a circa 163000 anni luce da noi.
I bei colori delle stelle nuove nuove…. (Crediti: NASA, ESA, and STScI)
Aver un universo colorato sopra la nostra testa (e sotto i nostri piedi), un universo di stelle bambine variopinte ed esuberanti, può sembrare una magra consolazione in questi tempi asciutti, dove i media eruttano cifre e statistiche e malattie a ciclo continuo, salvo poi riempire il vuoto da loro stessi generato, con mille programmi di cucina e varia amenità, senza mai fornirci gli ingradienti che servono davvero, gli ingradienti della speranza.
Allora è tempo di ritornare in piedi, confessarsi che un cielo colorato non è un orpello ridondante in una vita difficile e dura, è una parte irrinunciabile di questi ingradienti di speranza ai quali dobbiamo dar fede, attraverso i quali passa una vera rivoluzione, per un inizio di vita diversa, più morbida e relazionale. Qualcosa che può avvenire sulla Terra, proprio passando attraverso questi momenti così particolari.
Qualcosa, alla quale i cieli non potranno certo rimanere indifferenti.
Tutto è in movimento, niente rimane uguale. Tutto è in continuo movimento. La nostra stessa Galassia non è che il risultato di una trama di incontri, di connessioni, di scambi. La notizia appena pubblicata su Nature Astronomy è che la Via Lattea sia stata deformata nel passato in modo sostanziale, da un incontro con una galassia più piccola che anche oggi si trova vicina a noi, la Grande Nube di Magellano. Gli scienziati hanno scoperto che circa 700 milioni di anni fa (un niente, in termini astronomici) questa galassia è passata molto vicino ai bordi della nostra, sconvolgendo non poco il suo assetto complessivo, e contribuendo a plasmarla nella forma oggi a noi familiare.
La Nebulosa Tarantola fa parte del variegato ambiente della Grande Nube di Magellano.
Tutto è movimento, fuori e dentro di noi. Ogni cosa ce lo dice. Le idee di staticità in fondo sono idee vecchie, incrostazioni, residui di modi di pensare ammuffiti. Stare nel cambiamento richiede lavoro, disciplina, passione. Ma vuol dire assecondare il moto del cosmo: molto probabilmente, ne vale la pena.
E’ qualcosa che fino ad ora non si poteva vedere, non si riusciva a vedere. E’ la dimostrazione quasi palpabile che la Grande Nube di Magellano sta ruotando. Per la precisione, la rotazione della Nube (che è una delle galassie satelliti della nostra Via Lattea) è messa in chiarissima evidenza dai nuovi dati del secondo catalogo della sonda Gaia, appena rilasciato al pubblico.
Crediti: ESA, Gaia, DPAC
Come sappiamo, Gaia sta orbitando attorno al Sole (ad una distanza da Terra pari a circa un milione e mezzo di chilometri) e sta pazientemente misurando le posizioni e velocità di un largo campione di stelle intorno a lei. La maggior parte di esse, appartenenti alla Via Lattea, certamente. Ma non solo, come vediamo in questa immagine, che – mettendo insieme acquisizioni a tempi diversi – cattura parte della traiettoria di milioni di stelle appartenenti non alla nostra galassia ma alla Grande Nube di Magellano.
NASA, ESA, and D. Gouliermis (University of Heidelberg) Acknowledgement: Luca Limatola. Source: Hubble website
L’universo: siamo abituati a pensarlo statico, come un posto in cui fondamentalmente non succede niente… o perlomeno, quello che doveva succedere è già successo. Ammettiamolo: siamo un po’ tutti così, siamo un po’ pigri ad immaginare quel che non vediamo direttamente. Eppure mai come in questo caso, risulta che ci stiamo sbagliando, e di grosso. Con tutti i suoi quasi quattordici miliardi di anni di età Il nostro è ancora un universo è attivo, attivissimo. Su richiesta, potrebbe facilmente esibire una serie di casi eclatanti – a proposito dei quali tutto si può dire, fuorché sostenere che non accade nulla.
Uno assai interessante riguarda le zone di formazione stellare.
Bene, sono dappertutto.
Prendiamo il caso della Grande Nube di Magellano: una delle galassie a noi più vicine. D’accordo, la luce dalla Grande Nube impiega ben 157.000 anni per riempire la distanza con la Terra, ma è da considerare ancora una galassia “locale”, nell’economia di scala dell’universo. In questa immagine ottenuta da Hubble viene mostrato un giovane ammasso stellare, conosciuto con il nome di LH63. Questo è così fresco da essere ancora immerso nella “nuvola” dalla quale si è formato, ed è – manco a dirlo – una fucina di nuove stelle.
Ma è appena una delle centinaia di regione di esuberante formazione stellare sparsi per tutta la Grande Nube di Magellano.
L’universo insomma non sta con le mani in mano, il lavoro continua più indefesso ed efficiente che mai. Lavoro supremamente importante, se solo ricordiamo come le stelle sono la vera fabbrica degli elementi: i nostri stessi atomi sono stati “assemblati” dalle reazioni nucleari all’interno di una antica stella, una stella che ormai non c’è più. Alla quale dobbiamo ben più di qualcosa…
Il Telescopio Spaziale Hubble ha individuato quella che potremmo chiamare una “decorazione festiva”, costituita da una gigantesca bolla di gas nella galassia nostra vicina, la Grande Nube di Magellano. Formatasi con i resti di una supernova la cui esplosione avvenne circa quattro secoli fa, la sfera di gas è stata oggetto di una serie di osservazioni negli anni dal 2006 al 2010.
La delicata struttura di un resto di supernova nella Grande Nube (Crediti: NASA, ESA, and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA). Acknowledgement: J. Hughes (Rutgers University)
Guardatela: questa delicata struttura, fotografata da Hubble, sembra galleggiare placidamente nelle serene profondità dello spazio. Mai fidarsi delle apparenze: la sua calma apparente nasconde in realtà un interno turbolento e tutt’altro che tranquillo. L’inviluppo gassoso si è formato quando il materiale in rapida espensione dalla supernova si è scontrato con il mezzo interstellare circostante. Chiamata SNR 0509, la bolla è quello che ora rimane di una potente esplosione stellare avvenuta nella Grande Nube, una galassia (in realtà) abbastanza piccola (possiede circa un decimo della massa della nostra Via Lattea), a circa 160.000 anni luce dalla Terra.
La regione a forma di bolla ha un diametro attuale di circa 23 anni luce, e si espande alla rispettabile velocità di più di diciotto milioni di chilometri all’ora. Osservando tale meraviglia, gli astronomi si sono convinti di come la supernova all’origine debba essere stata un esempio di una varietà particolarmente energetica e brillante, quella di tipo “Ia”. Supernovae di questo tipo trovano la loro origine, secondo la teoria attuale, quando una nana bianca in un sistema binario, rubando massa alla stella compagna, arriva (nella sua… ingordigia!) a possedere più massa di quanta ne possa “gestire”, avviandosi verso il percorso che la porterà inesorabilmente all’esplosione.
Dal punto di vista storico, la supernova deve essere stata visibile nei cieli del sud circa dal 1600; tuttavia non risultano registrazioni di una “nuova stella” in direzione della Grande Nube intorno a quegli anni. Una supernova molto più recente, la 1987A, è riuscita invece assai facilmente a calamitare l’attenzione degli osservatori e continua tuttora ad essere studiata, con telescopi a terra e nello spazio (incluso, naturalmente, Hubble).