Per me è un onore scrivere su queste pagine che so venire lette anche da molti professionisti. Anche se non sono uno di questi perché la vita mi ha donato altro, la mia sete per la conoscenza del Cosmo non è mai venuta meno neppure per un attimo. E questo mi ha spinto in direzioni inaspettate e davvero curiose ma sempre avendo in mente il mio unico pallino: l’astronomia.
Col tempo mi sono costruito la mia rete di contatti e di amicizie nel settore e ho conosciuto alcuni di voi di persona, come Marco Castellani che qui mi ospita e anche altri.
Per questo l’articolo che state per leggere è uscito sul mio blog appena un minuto dopo il lancio del comunicato ufficiale. Non svelerò le mie fonti ma vi assicuro che sono tutte legali 🙂
Umberto Genovese

Se poteste tornare alla lontana epoca della formazione del Sistema Solare, quasi  5 miliardi di anni fa, ecco cosa vedreste.

Questo è quello che invece vediamo noi oggi, qui sulla Terra, guardando verso  WRAY 15-1443 [fullcite literal author=”Valeri V. Makarov” date=”2007″ title=”The Lupus Association of Pre-Main-Sequence Stars: Clues to Star Formation Scattered in Space and Time” location=”The Astrophysical Journal” uri=”iopscience.iop.org/article/10.1086/511261/meta”], una giovanissima (5-27 milioni di anni) stellina di classe K5 distante circa 600 anni luce. Essa è parte di un filamento di  materia nebulare nelle costellazioni australi del Lupo e lo Scorpione insieme a decine di  altre stelline altrettanto giovani. È il medesimo scenario che vide la nascita del nostro Sole.

Noi vediamo il disco protoplanetario ancora come è durante la formazione dei pianeti e prima che i venti stellari della fase T Tauri lo spazzassero via, È un disco caldissimo e denso, con una consistenza è una plasticità più simili alla melassa che alla polvere che siamo soliti vedere qui sulla Terra. Qui le onde di pressione e i fenomeni acustici giocano un ruolo fondamentale nella nascita dei protopianeti creando zone di più alta densità e altre più povere di materia. E questa immagine ce lo dimostra chiaramente.

SPHERE. Credit: ESO

Lo strumento di cattura della luce polarizzata ad alto contrasto SPHERE. Crediti: ESO

Se oggi quindi possiamo ben osservare i primi istanti della formazione di un sistema solare questo lo dobbiamo a SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) [fullcite literal author=”European Southern Observatory” date=”2014″ title=”SPHERE Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument” location=”Paranal Observatory” uri=”https://www.eso.org/public/italy/teles-instr/paranal-observatory/vlt/vlt-instr/sphere/?lang”] [fullcite literal author=”European Southern Observatory” date=”2018″ title=”SPHERE rivela uno zoo di dischi intorno alle giovani stelle” location=”eso1811it — Foto Comunicato Stampa” uri=”https://www.eso.org/public/italy/news/eso1811/?lang”]: uno strumento concepito proprio per catturare l’immagine degli esopianeti e dei dischi protoplanetari come questo.

L’ostacolo principale per osservare direttamente un esopianeta lontano è che la luce della sua stella è così forte che sovrasta nettamente la luce riflessa di questo: un po’ come cercare di vedere una falena che vola intorno a un lampione da decine di chilometri di distanza. Lo SPHERE usa un coronografo per bloccare la regione centrale della stella per ridurne il bagliore, lo stesso principio per cui ci pariamo gli occhi dalla luce più intensa per scrutare meglio. E per restare nell’ambito degli esempi, quando indossiamo un paio di lenti polarizzate per guidare o andare sulla neve, lo facciamo perché ogni luce riflessa ha un suo piano di polarizzazione ben definito e solo quello; eliminandolo con gli occhiali questo non può più crearci fastidio. Ma SPHERE usa questo principio fisico al contrario: esalta la luce polarizzata su un piano specifico e solo quella, consentendoci così di vedere particolari che altrimenti non potremmo mai vedere.

HARPS. Credit: ESO

Lo strumento per il rilevamento delle velocità radiali HARPS. Crediti: ESO

Oggi grazie a SPHERE e al team che l’ha ideato e costruito la ricerca astrofisica europea può vantare anche questo tipo di osservazioni che si sarebbe supposto essere di dominio della sola astronomia spaziale. E invece strumenti come HARPS [fullcite literal author=”European Southern Observatory” date=”2003″ title=”HARPS High Accuracy Radial velocity Planet Searcher” location=”La Silla” uri=”https://www.eso.org/public/italy/teles-instr/lasilla/36/harps/”] e HARPS-N alle Canarie consentono di scoprire sempre nuovi pianeti extrasolari, e ora SPERE ci aiuta a vederne pure alcuni.

 


L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Il Poliedrico

Loading