Blog di Marco Castellani

Giorno: 11 Ottobre 2013

Fare scienza. Ad occhio.

Lo sappiamo bene: siamo decisamente nell’epoca del ‘quantitativo’. Siamo quotidianamente sommersi da valanghe di dati: dati di ogni tipo, da analizzare, memorizzare sui dispositivi elettronici, condividere sui social network, correlare tra loro, e via di questi passo. Ogni cosa è rappresentata da numeri, da byte, o corriamo il rischio di pensare che non sia concreta. Potrà dunque stupire più di una persona scoprire che perfino oggi – nell’epoca dell’entusiasmo digitale –  esistono ancora campi e situazioni in cui le determinazioni effettuate “ad occhio” possono mantenere un certo grado non solo di utilità pratica, ma perfino di validità scientifica. Di più, vi sono situazioni in cui la determinazione visuale di una certa quantità (principalmente, la magnitudine stellare) risulta ancora il metodo più conveniente per condurre una data indagine.

E’ il tema di un interessante lavoro a firma di Wayne Osborn, dal titolo significativo Man Versus Machine: Eye Estimantes in the Age of Digital Imaging, apparso pochi giorni fa nel sito di preprint astro-ph.

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Il più antico strumento di misura delle magnitudine e del colore, senza dubbio…

La determinazione di parametri stellari in modo visuale ha avuto indubbiamente una grande parte nello sviluppo storico dell’astronomia, nessuno può negarlo. Il punto interessante è capire se c’è ancora spazio per le stime di questo genere oppure no. Diciamo subito che le sorprese, a questo proposito, non mancano. Intanto, circa il 20% delle osservazioni inviate da membri dell’American Association of Variable Star Observer (AAVSO) sono costituite ancor’oggi da stime visuali (l’avreste pensato?). Un altro campo dove tali stime sono ancora molto usate è quello di seguire le variazioni di luminosità su lastre fotografiche di archivio: il materiale storico accumulato è ingente, non sempre appare pratico digitalizzare il tutto.

Dunque, una cosa possiamo dirla: le stime di magnitudine “ad occhio” sono ancora una pratica comune. Il punto è, la tecnica è ancora valida?

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Il link mancante tra pulsar in X e le radio pulsar

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Una pulsar millisecondo in una rappresentazione artistica. Crediti: NASA.

di Lucia Pavan, Carlo Ferrigno ed Enrico Bozzo, Università di Ginevra

Una recente scoperta, compiuta da un gruppo internazionale di astronomi guidata da Alessandro Papitto dello Institute of Space Sciences di Barcelona (Spagna), tra cui Carlo Ferrigno, Enrico Bozzo e Lucia Pavan dell’Università di Ginevra, ha finalmente permesso dopo decenni di ricerche di comprendere la natura particolare delle pulsar X al millisecondo. I risultati di questa scoperta sono stati pubblicati nell’ultimo numero della rivista Nature.

Le pulsar sono stelle relativamente piccole e molto dense (con un raggio di circa 10 chilometri e la massa pari all’intero Sole) che si formano in seguito all’esplosione di una stella più massiccia. Al momento della loro formazione, le pulsar appena formate sono visibili come sorgenti radio la cui emissione è pulsata perché modulata dalla rotazione delle pulsar stesse.

La velocità di rotazione di una pulsar alla nascita è così elevata che la stella può ruotare su se stessa anche diverse migliaia di volte al secondo! Nel corso del tempo, l’emissione radio sottrae dell’energia alla pulsar e la rallenta. Quando le pulsar raggiungono un’età più avanzata (da 10 a 100 milioni di anni) ruotano infatti più lentamente, girando su se stesse in qualche secondo.

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A sinistra: una pulsar luminosa in X mentre accresce materia da una stella compagna. A destra, la fase radio, luminosa, di una pulsar che accresce materia da una stella compagna. Crediti ESA.

Dal 1982 sono state scoperte delle pulsar insolite che ruotano su se stesse in solo pochi millisecondi, ma la cui età è stimata in circa 100 milioni di anni o più. Anche se queste pulsar sono vecchie, la loro velocità è paragonabile a quella di una pulsar che si è appena formata. Gli astronomi avevano suggerito da tempo che questo fenomeno potesse essere spiegato ipotizzando che queste vecchie pulsar vengano “ringiovanite” dall’accrescimento di materia: quando la pulsar fa parte di un sistema binario con una compagna stellare, quest’ultima tenderebbe a perdere parte del materiale e a trasferirlo sulla pulsar.

La caduta di questo materiale sulla superficie della pulsar la riscalda, tanto che questa viene ad emettere un segnale pulsato sia in raggi X che in onde radio. L’accrescimento di materia produce anche un’accelerazione della pulsar che può quindi tornare a girare su se stessa ad una velocità simile a quella che aveva al momento della nascita. Questo scenario, che spiega la presenza di una pulsar millisecondo in X, è conosciuto come “il riciclaggio della pulsar” (nella terminologia scientifica, si parla di “pulsar riciclata”).

La prima pulsar a raggi X al millisecondo fu scoperta nel 1998. Fino ad oggi i ricercatori astronomi hanno scoperto 14 oggetti di questo tipo, di cui 4 col satellite INTEGRAL, ma finora nessuna di queste pulsar era stata osservata mentre alternava la propria emissione di onde radio e di raggi X, il che aveva impedito di dimostrare lo scenario del riciclaggio.

Nel marzo 2013 gli astronomi dell’Università di Ginevra hanno osservato in diretta la prima radio pulsar che si trasformava in X. Questo ha contribuito a convalidare lo scenario di riciclaggio studiato da oltre trent’anni e a capire meglio la vera natura delle pulsar al millisecondo in raggi X.

La radio pulsar che si è convertita in pulsar a raggi X lo scorso 28 marzo, è stata scoperta dal satellite INTEGRAL. Questo satellite dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) è dotato di un telescopio ad ampio campo di vista ed è in grado di monitorare continuamente ampie zone di cielo guardando oggetti come le pulsar al millisecondo in X che si accendono e generalmente si spengono con periodo di alcuni giorni. I dati trasmessi dal satellite sono analizzati in tempo reale dai ricercatori presso l’Università di Ginevra che possono quindi controllare il cielo ogni giorno alla ricerca di fenomeni cosmici.

La pulsar scoperta da INTEGRAL e’ stata osservata immediatamente con altri osservatori e telescopi in X, che ne hanno rilevato le pulsazioni, così come con radiotelescopi da terra. Nei giorni successivi alla scoperta, la pulsar si è nuovamente trasformata dal pulsar in X a radio pulsar, dimostrando chiaramente l’associazione tra questi due tipi di oggetti e la validità dello scenario di riciclaggio delle stelle.

Questa scoperta ha coronato decenni di ricerche per un sistema simile, aprendo scenario promettenti per lo studio di queste fasi di transizione. Così come in questo caso, il satellite INTEGRAL continuerá a svolgere un ruolo fondamentale per lo studio di questi oggetti dalle proprietá estreme, e per questo così enigmatici ed interessanti. E nuove domande ora si aprono agli astronomi.

Articolo:
A. Papitto, et al., “Swings between rotation and accretion power in a millisecond binary pulsar”, Nature 501, 517–520 (26 September 2013), disponibile su: http://www.nature.com/nature/journal/v501/n7468/full/nature12470.html.

Lucia, Carlo ed Enrico

Comunicato stampa presso l’Université de Genève: Le mystère des “pulsar X millisecondes” dissipé grace au satellite INTEGRAL – http://www.unige.ch/communication/communiques/2013/CdP130926.html .

Altre informazioni su:
Sito ESA-INTEGRAL . Volatile pulsar Reveals millisecond missing link – http://sci.esa.int/integral/52866-volatile-pulsar-reveals-millisecond-missing-link/

Il comunicato stampa dell’INAF-Istituto Nazionale di Astrofisica: Una pulsar dalla doppia personalità – http://www.media.inaf.it/2013/09/25/una-pulsar-dalla-doppia-personalita/

Qui sotto il video realizzato da Media INAF relativo alla scoperta:

 

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