Essere astrofisico vuol dire per forza confrontarsi con domande come questa. Inutile far finta di nulla, la domanda esiste e non si può eludere con sufficienza. Nemmeno atteggiarsi sdegnosamente a chi “conosce” e lascia gli altri nella loro ignoranza, è saggio e salutare.

Sarebbe un errore, perché la domanda è sensata. Con tutto quello che accade nel mondo, con tutte le emergenze che ben sappiamo, ha senso spendere soldi e tempo per andare a vedere cosa succede lassù? Non sarebbe meglio stare con i piedi per terra, dedicarci alle cose più urgenti?

Sonde costosissime, telescopi giganteschi… hanno davvero senso, in questa epoca che da tempo chiamiamo di crisi? Dalla quale, ancora, non ci siamo tirati completamente fuori?

Il successore di Hubble, il James Webb Telescope, è quasi pronto. I costi si aggirano su diversi miliardi di dollari. Vale la pena?

La domanda è dunque legittima. Anzi, di più: è doverosa.

Quello che non è forse legittimo è saltare direttamente alle conclusioni, derubricare l’astrofisica tra le cose che non danno da mangiare e perciò vanno messe da parte, almeno in attesa di tempi migliori.

Non è legittimo, no.

Non perché io voglia fare, adesso, una difesa d’ufficio (o almeno, non solo). Piuttosto, perché non contempla la totalità dei fattori in gioco: c’è qualcosa che ci potrebbe sorprendere, ci sono connessioni tra lassù e quaggiù che forse non consideriamo, e che potrebbero portarci a vedere le cose in una prospettiva nuova. Più larga, e forse più equilibrata.

Qualcosa, di che tipo? Preferisco non dirlo, adesso. Lasciarvi pensare, se vi va. E semmai vi invito, piuttosto, a prendervi una ventina di minuti per ascoltare la puntata di Fisicast dedicata all’argomento.

E’ tempo ben speso, vi assicuro.

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