Blog di Marco Castellani

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Proprio, un altro pianeta

Bisogna dirlo, ormai l’attività umana intorno a Marte è così estesa e capillare che non è difficile che una missione si impicci delle altre, in corso. Così il Mars Reconnaissance Orbiter ha individuato il sito di atterraggio di Perseverance, localizzando non solo il rover ma anche la posizione dello stadio di discesa, dello scudo termico, del paracadute e del guscio posteriore: tutti segni importanti delle varie fasi che hanno contribuito al pieno successo della complessa manovra per cui il rover si è appoggiato in piena sicurezza, sulla superficie del pianeta rosso. Ciascun riquadro dell’immagine che vedete è largo appena 200 metri (capite bene, dunque, che risoluzione possiamo ottenere della superficie di Marte).

Il sito di atterraggio di Perseverance, visto da MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Lo sforzo di comprendere un altro pianeta, per le ricadute tecnologiche ma anche culturali che indubbiamente produce a lungo termine, è di tale importanza che a mio avviso giustifica le ingenti spese delle recenti missioni, su cui taluni hanno (comprensibilmente) sollevato interrogativi.

L’umanità ha un potenziale notevole da investire nell’attività di ricerca e di scoperta: di fatto, è da sempre lanciata verso nuovi territori come elemento costitutivo del suo stesso vivere. Il successo dell’arrivo su Marte di Perseverance, in quest’epoca così bizzarra in cui la tentazione di un ripiegamento è più forte, è già di per sé motivo di ottimismo e di ragionevole speranza. Insomma, la vita su Marte già esiste, è la nostra stessa vita, che segue un moto di costante espansione e non si fa fermare da nessun virus.

Sempre però, se davvero lo vogliamo.

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Passare il testimone

Sono 142 le immagini “riappiccicate” sulla Terra, per ottenere questo panorama a 360 gradi dalla base del cratere Jezero su Marte. Le immagini a colori in alta risoluzione, ovvio, sono state prese da Perseverance (la sua camera Mastcam-Z con zoom ha fatto il lavoro) il 21 febbraio. In bella vista c’è proprio la struttura di Perseverance, grande come un’automobile.

Panoramica da Perseverance. Crediti: NASAJPL-CaltechMSSSASU

Perché qui, in questo cratere? Se a volte sulla Terra parcheggiamo un po’ per caso, dove troviamo posto, su Marte non c’è (ancora) questo problema. Dunque la scelta è altra. Ed è una scelta che ha preso ben cinque anni, nei quali è stata esaminata con grande attenzione una ampia serie di possibili siti. Alla fine ha vinto Jezero, per le sue caratteristiche uniche. Proprio per capire se c’è stata vita, da queste parti.

I ricercatori sospettano che quest’area fosse, un tempo, inondata d’acqua. Anzi, fosse proprio il luogo dell’antico delta di un fiume. Verificare questo, cercare antichi segni di vita, è la missione specifica di Percy, che avrà perfino cura di depositare dei campioni interessanti perché una prossima missione li possa poi prelevare e riportare a casa dove potranno essere studiati con l’attenzione che meritano.

Perché un lavoro è ben fatto quando non si chiude in sé stesso, ma getta le basi per qualcosa che lo trascende, passa il testimone per chi verrà dopo. Perseverance è preziosa anche per quello che lascia in affidamento. Per una storia che diventa sempre più salda e bella, grazie al contributo di chi si è speso per questa. Perché nel nuovo cielo, la collaborazione non è un optional, ma è l’unico modo ancora credibile, per far funzionare le cose. Da soli, praticamente, non esistiamo. La strada è la relazione, e non ci sono scorciatoie, non ce ne sono più.

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Posarsi su Marte

Come potrebbe essere appoggiarsi su Marte? Pochi giorni fa siamo rimasti tutti con il fiato sospeso, nell’attesa che il rover Perseverance ci mandasse il fatidico segnale che ci facesse capire che sì, tutto era andato bene, le ruote del rover poggiavano ormai sulla superficie rossiccia del pianeta e la complessa procedura si era svolta nel migliore dei modi.

Per monitorare al meglio le delicatissime fasi della discesa, alcune telecamere inserite nella strumentazione, hanno ripreso i momenti salienti. I dati non potevano essere trasmessi in diretta per non affollare i canali di comunicazione in un fase molto impegnativa, ma sono stati inviati successivamente e ora abbiamo il video con le vere immagini di questo momento realmente storico.

Mentre scrivo il video – che è stato caricato due giorni fa – è stato già visto più di dieci milioni di volte (al momento della chiusura del pezzo, 10.126.833 visualizzazioni e 274.710 likes, verificate voi quanto questi numeri siano già superati).

Percy inizia il suo lavoro esplorando il cratere Jezero, cercando segni che possono ricondurre a qualche forma di vita che sarebbe esistita nel passato del pianeta rosso.

Un pochino dell’esultanza dei tecnici NASA che si vede in fondo al video, la sentiamo nostra. Il cielo è di tutti, questo è il bello, la scoperta di nuovi mondi e nuove cose sopra la nostra testa, è una fantastica avventura comune. La trepidazione con cui molti di noi hanno seguito la discesa di Perseverance l’altra sera vale più di mille parole, al riguardo.

Manteniamoci in contatto con tale trepidazione, con questa curiosità bambina che si interessa di tutto, gioca con tutto, vuole capire: non tanto per prendere le redini del gioco, ma per gioirne, semplicemente. Se lo faremo, ogni singolo dollaro speso per la missione, sarà stato speso bene.

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Il primo giorno di Percy

Ogni cosa che inizia è bella. Carica di promesse, profumata di cose nuove. Da poche ore Perseverance è sul suolo di Marte, pronta al lavoro che l’attende. Ieri sera, tutto il mondo ha seguito le ultime fasi della complessa manovra di arrivo sul pianeta rosso. Alla sala controllo della NASA questa volta niente abbracci, come ovvio. Ma l’entusiasmo dopo che Perseverance aveva posato le ruote sul suolo, era palpabile, fresco, rigenerante. Quell’esultanza, a vederla, ci ha fatto bene.

Perseverance, primo giorno su Marte.  Crediti: NASAJPLMars 2020

Un viaggio interplanetario di 203 giorni si è concluso, sembra, nel migliore dei modi. La prima immagine presa da Percy ha già fatto il giro del mondo, è già quasi un simbolo. Ieri ci siamo sentiti di nuovo tutti uniti, oltre il piccolo consueto circolo di private lamentazioni, di domestiche lacerazioni, della costellazione di parzialità ed inconcludenze nelle quali a volte ci sentiamo persi, in questo Universo.

Ci siamo ritrovati, inaspettatamente, nella trepidazione per il destino di questo rover, un ammasso di metallo e strumentazione grande come un’automobile. Ci siamo sorpresi in trepidazione in quei sette fatidici minuti, mentre la sonda passava attraverso la procedura complessa che l’avrebbe infine fatta posare al suolo. Scienziati, artisti, artigiani, disoccupati, letterati, ci siamo scordati un attimo dell’angustia dell’isolamento sanitario e ci siamo permessi di sognare un sogno in grande, un sogno che ci unisce tutti e ci mette un piccolo sorriso in fondo al cuore. Sorriso che poi germoglierà, se lo lasciamo crescere, in modi inaspettati.

La scienza è questo sogno comune, è questo ristoro globale, è questa curiosità di quel che abbiamo intorno, è questa avventura di tutti e di ognuno personalmente, è questo bene comune.

Meno di questo, non è scienza. Meno di questo, ormai, non ci interessa più. Buon lavoro, Perseverance. Scrivici, mi raccomando.

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Su Marte, in attesa

Si allungano le ombre all’approssimarsi del tramonto, in questa bella vista panoramica scattata dal rover Curiosity in giro per Marte. La scena copre circa 200 gradi da nord a sud (da sinistra a destra), in questo collage di immagini acquisite dal rover nel giorno marziano 2616 della missione (corrispondente per noi umani alla data del 19 dicembre 2019).

Chissà, forse anche Curiosity ora sta scrutando il cielo, in attesa.

Un tardo pomeriggio come tanti, su Marte… Crediti: NASAJPL-CaltechMarco Di Lorenzo

Il tranquillo panorama marziano è infatti sul punto di essere “disturbato” un’altra volta per l’arrivo di Perseverance, che dovrebbe avvenire nella giornata di domani. L’abbiamo detto, le procedure di entrata in atmosfera e di atterraggio sono estremamente complicate. Nulla è scontato ma speriamo proprio bel buon esito di questa missione: l’attesa sulla Terra è già forte. Perfino l’Empire State Building è stato illuminato per l’approssimarsi dell’atterraggio.

Il respiro ampio in queste occasioni, il senso di partecipare ad una opera comune, sono i tratti più belli di una scienza che si serve virtuosamente anche dei veicoli di comunicazione sociale, per trasmettere un messaggio – una volta tanto – che esonda dal solito cinismo e ci parla di avventure. Di avventure cosmiche alle quali tutti, per il solo fatto di appoggiare i piedi su un pianeta che trottola dentro un Universo in espansione pazza, possiamo e (forse) dobbiamo prendere parte.

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Cercando nuove terre

Si chiama Kepler-22b ed è un mondo tutto speciale, per noi. Rappresenta il primo pianeta scoperto che si trovi all’intento della zona di abitabilità di una stella assai simile al nostro Sole. Il primo pianeta che la missione Kepler della NASA ha confermato come orbitante intorno ad una stella sul quale l’acqua allo stato liquido sì, potrebbe esistere.

Tante nuove terre, in un cosmo ancora tutto da esplorare… Crediti: NASA/Ames/JPL-Caltech

Il pianeta è grande quasi due volte e mezzo la Terra, il che lo rende il più piccolo pianeta trovato in queste condizioni particolarmente favorevoli per la vita. Non è facile trovare pianeti di dimensione confrontabile al nostro, e solo con missioni appositamente progettate, come Kepler, stiamo finalmente aprendo questa nuova promettente finestra sul cosmo.

Passo passo, stiamo scoprendo che questo universo, spesso dipinto come freddo e inospitale, appare invece più cordialmente accogliente di quanto pensavamo, invitandoci ad un cambio di paradigma, mentale ancora prima che scientifico.

Non siamo in un momento qualsiasi, nel nostro rapporto con il cosmo, lo sappiamo. L’accelerazione conoscitiva iniziata nel secolo scorso ci ha portato in dono una ricchezza inaspettata: il cielo ci parla in modo spiazzante, ricchissimo, totalmente inedito. Ne sono convinto: questo è un tempo speciale, un tempo in cui è lecito aspettarsi grandi sorprese.

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Come le cose cambiano

Tutto cambia, il principio dell’impermanenza è un concetto chiave nelle filosofie orientali, ma non solo. Mi accorgo di quanto è difficile far entrare questo concetto realmente in me, lasciarlo assimilare dai miei tessuti, farlo entrare nella realtà del pensiero, insomma toglierlo dall’astrazione.

C’è da scrostare i pensieri statici, e anche contemplare il cosmo aiuta. Mai come adesso siamo davanti all’evidenza di un cielo che cambia, quasi momento per momento. Guardiamo questa bellissima immagine di Giove, realizzata dal Telescopio Spaziale Hubble appena l’estate scorsa., quando il pianeta gigante si trovava a poco più di 650 milioni di chilometri da Terra.

Giove, in una bellissima e recente immagine di Hubble. Crediti:NASA, ESA, A. Simon (Goddard Space Flight Center), and M. H. Wong (University of California, Berkeley) and the OPAL team.

Gli scienziati la stanno analizzando per seguire l’evoluzione della atmosfera assai turbolenta del pianete. Sembra si prepari tempesta, su Giove. E ci sono formazioni particolari sotto la grande macchia rossa, che qualche anno fa non erano affatto presenti (come si può facilmente vedere da una foto del 2014).

Nell’immagine si vede anche la luna ghiacciata Europa che, con i suoi oceani sotterranei, potrebbe custodire più di qualche sorpresa, per i cercatori di vita extraterrestre. Tutto cambia, insomma. Fino a qualche decennio fa, pensare a cambiamenti su un pianeta poteva sembrare quasi una eresia, tanto collideva con l’idea di uno spazio immutabile, impalpabile, indifferente.

Non è così, grazie al cielo. La scienza ce lo mostra oggi, con scontri di galassie, pianeti in mutazione, buchi neri in collisione, universi in espansione. E se ce lo mostra solo oggi, è perché solo oggi siamo in grado di capirlo.

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Immagina un vulcano su Venere

Non possiamo sapere con precisione come sembrerebbe un vulcano attivo su Venere, potessimo veramente osservarlo. Certo, abbiamo evidenza che ce ne siano. Tuttavia, per quanto si disponga di immagini a larga scala del pianeta, prese con dei radar, le nubi assai spesse di acido solforico ci impediscono di vedere nelle bande dell’ottico. Ossia, di guardare nel senso classico del termine.

Un vulcano su Venere, come potrebbe essere. Crediti: NASAJPL-CaltechPeter Rubin

Questo non ci ferma, perché la capacità di immaginare è sempre stata di grande aiuto nella scienza esatta. Questa qui sopra è una immagina artistica che ci aiuta a capire come potrebbe sembrare un vulcano sulla superficie del pianeta.

La faccenda dei vulcani di Venere, si ricorderà, potrebbe essere più che un semplice particolare per chi studia la geologia di altri pianeti, perché è strettamente connessa ad una storia che è esplosa a settembre dell’anno scorso, riguardante possibili segnali di vita nell’atmosfera superiore del pianeta. Nello scenario infatti sarebbero i vulcani a spingere in atmosfera alta i composti chimici destinati a diventare cibo per quei batteri affamati che sembrano dover fluttuare in quelle regioni.

La faccenda dei batteri galleggianti è certamente eccitante, ma al momento appare ancora controversa. L’iniziale certezza si è molto stemperata, sotto i colpi di indagini parallele, che hanno avuto buona cura di smontare la affidabilità di risultati proclamati con forse eccessiva convinzione. Ma è la scienza, bellezza! Va così.

Quello che è certo, è che – pur mancando al momento di una sola prova certa – le possibilità di vita extraterrestre appaiono di giorno in giorno più concrete, man mano che andiamo avanti esplorando il cosmo. Forse già questo, ci sta dicendo qualcosa.

Mi viene quasi da pensare, che ci stiamo preparando.

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