Blog di Marco Castellani

Tag: CERN

Il sistema planetario più piccolo

E’ proprio un momento particolare, per la scienza. Stiamo vivendo ai confini di qualcosa che non abbiamo completamente compreso, ma sempre più informa la nostra vita, le nostre percezioni, il nostro sentire.

Stiamo vivendo in un Universo fisico che ci regala nuove sorprese momento per momento. Dopo una apparente stasi, in cui sembrava non ci fosse alla fine niente di nuovo da scoprire, niente di nuovo da capire, ecco che torniamo avanti, che siamo sbalzati immediatamente alla frontiera, che il flusso delle cose torna nuovo, torna sempre ed ancora nuovo.

Non si contano quasi, le avvisaglie di quel mutamento profondo che è segnalato da tanti tanti spunti: le onde gravitazionali, di cui si è avuta appena adesso la conferma del terzo evento, gli esopianeti, con Proxima B straordinariamente vicino e straordinariamente simile alla Terra. Ed ora si affaccia un’altra scoperta straordinaria, che tocca l’infinitamente piccolo, come sappiamo intimamente connesso con l’infinitamente esteso: così connesso che non si può studiare l’Universo nella sua genesi senza sprofondare nel regno delle particelle elementari, come sappiamo.

La notizia in sé l’avrete già saputa: l’esperimento LHC del Cern ha riportato l’osservazione di una nuova particella, che è stata chiamata double charmed Xi, contenente quattro quark, due di tipo charm ed un quark up.

Il simbolo della nuova particella, appena scoperta al CERN

Ora, sappiamo bene che – secondo le attuali teorie – i quark sono proprio quei “mattoncini elementari” che costituiscono tutte le particelle, appaiono insomma come i costituenti ultimi della materia nell’Universo: a quanto pare non mostrano più una struttura interna, ogni tentativo di guardarci dentro produce la mutazione in nuove particelle, composte anche esse di quark. Siamo arrivati veramente alla base di tutto, con i quark.

Per dire, le particelle alle quali siamo familiari, sono ben spiegate con il modello a quark: il protone è composto di tre quark (due up ed uno down) e il neutrone pure di tre (due down ed uno up). Dunque, in parole povere, montando insieme i vari quark, si possono ottenere tutte le particelle di cui abbiamo esperienza, incluse alcune così esotiche che vivono appena pochissimi istanti negli esperimenti di laboratorio, e poi scompaiono trasformandosi in altre particelle più “consuete” e magari in energia.

Qual è allora la straordinaria novità di questa scoperta? E’ proprio nel modo in cui questa particelle è costruita, e segnatamente nel fatto che contiene due quark “pesanti”, quale appunto il quark charm. L’esistenza di questo tipo di particelle era prevista in base alle teorie attuali, ma (come per la rilevazione delle onde gravitazionali) la rilevazione empirica tardava a venire. Ora con la scoperta di questa nuova particella (di massa 3621 Mev, circa quattro volte più pesante del protone), un altro piccolo ma importante tassello della nostra concezione del mondo fisico, viene a mettersi – assai confortantemente – al suo esatto specifico posto.

Sembra nel complesso che i segnali dall’Universo ci dicano che il modo in cui lo interpretiamo sia sostanzialmente corretto, anche se – attenzione – lo stesso messaggio ci rivela in maniera incredibile quanta parte di “non conoscenza” ancora abbiamo davanti e alla quale non possiamo che guardare con umiltà e pazienza, doti del resto essenziali per la ricerca.

Interessante, in questa sede, la stretta analogia che anche a parole viene tracciata tra i sistemi planetari e le dinamiche interne di questa nuova particella. Come dice  infatti Guy Wilkinson, ex coordinatore della collaborazione scientifica che ha portato alla scoperta,

«in contrasto con gli altri barioni finora noti, in cui i tre quark eseguono una elaborata danza l’uno attorno all’altro, ci aspettiamo che il barione con due quark pesanti agisca come un sistema planetario, dove i due quark pesanti giocano il ruolo di stelle che orbitano l’una attorno all’altra, mentre il quark più leggero orbita intorno a questo sistema binario»

E’ certamente una analogia, e non va portata troppo oltre: però ci aiuta comunque a capire, anche con la semplice scelta delle parole (le parole sono importanti, lo sappiamo), come sempre più la ricerca fisica-cosmologica sia un tutto intimamente connesso, un sistema sul quale non si può più tentare il vecchi approccio riduzionistico di isolare per capire, ma va tenuto sempre tutto in conto, nella consapevolezza sempre più chiara di quella intrigante ed incredibile complessità che ci circonda, e che chiamiamo mondo.

Loading

Fisica fondamentale

“…la ricerca in fisica fondamentale ha dimostrato di essere dietro tutte le grandi svolte tecnologiche dell’epoca moderna, dai raggi X al web, dalla risonanza magnetica alla Pet. Se vogliamo aprire nuovi orizzonti, anche in altre discipline, non possiamo rinunciare a conoscere sempre meglio le particelle elementari, cioè ciò che compone noi stessi e tutto ciò che esiste.”

Sergio Bertolucci, direttore della ricerca del Cern

Loading

Certi di cose mai viste

A volte ci sono delle cose che mi confermano nella scelta di essere scienziato, mi confortano, mi tolgono dei dubbi.
Non sono un grande fan del razionalismo, della illuministica pretesa che la scienza spieghi freddamente il mondo, e che altro non si possa dire. Prima di tutto è una posizione che non mi conforta, non spiega quello che vedo fuori di me – non ne spiega appena la semplice l’esistenza – ma soprattutto non spiega quello che è dentro di me. Non mi dà possibilità di un significato che mi riempia. La sete di infinito, il desiderio smisurato di abbracciare tutto il cosmo, l’anelito alla bellezza, che pur convive con la dolorosa consapevolezza dei miei limiti. Se la scienza è fredda no, non mi interessa. Se l’avventura del conoscere prescinde dal cuore dell’uomo, non mi interessa, non mi piace, mi fa venir freddo, mi fa sentire solo.
Se invece la scienza è una avventura conoscitiva che coinvolge il cuore, che mette in gioco tutto, che non trascura il mistero e coltiva lo stupore di fronte al cosmo, allora mi piace, mi coinvolge, mi appassiona. 
Detto così potrebbe sembrare una scelta logica, ponderata, dettata da una impostazione decisa in partenza. E invece no, per me è istintiva, è una questione di caldo o freddo, di possibilità di pace – con le cose, con le persone – o (tragicamente) di guerra, di continuo disamore e disillusione.

Il tunnel di LHC al CERN
(Crediti: Julian Herzog, CC BY-SA 30)

Così ho davvero gioito stamattina quando mi sono imbattuto nell’intervista a Lucio Rossi, fisico del CERN, pubblicata sul sito di Tracce con il titolo Certi di cose mai viste (qui metto il link con le mie evidenziature). Si imparano tante cose dalla lettura attenta dell’intervista. Ma soprattutto si impara che quello che il tuo cuore attende, esiste. Si impara che la conoscenza scientifica non è che parte di una avventura umana, umanissima, perché facendo scienza non devi sacrificare il tuo cuore, non devi metterlo da parte in funziona di una malintesa oggettività. Ecco, quello sarebbe il freddo, l’aridità! E quanta gente invece – compresi insigni cattedratici – ci vorrebbero insegnare questo! A seguire il progresso – freddo ed impersonale idolo – e (in fondo) a non sperare niente! 

… si è sfilato il destino. Viviamo come se non ci fosse più, la realtà non mi indica nulla. E’ per la mancata consapevolezza di un destino che prende il sopravvento anche l’ansia di controllo.” Più non riconosco un fine ultimo delle cose, del mondo, più mi affido ansiosamente al “controllo” come ultima illusione di stare aggrappato al reale, ad un reale però sempre più incomprensibile, perché in fin dei conti lo penso come governato dalla casualità.
E paradossalmente – ma non troppo – è quando si nega il fine che si diventa moralisti. “Che cos’è il moralismo? Quando rimuovi l’origine ma pretendi di tenere im comportamento. Che siccome non regge necessita di una gabbia: la legge”
“Non appena ti muovi affermi che qualcosa vale.” Ecco la risposta. C’è un giudizio di valore. Qualcosa vale, altrimenti non mi muovo, sono fermo, bloccato.
C’è tanto altro, ma ognuno se vuole lo scopre da sè. Io da questa lettura ne esco confortato. Contento di essere scienziato, e – permettete – contento di essere italiano. Contentissimo che ci siano ad alto livello scienziati italiani con un cuore, con la passione di giocare le esigenze del cuore nell’incontro con il reale. La parte più belle e nobile di questo mestiere. 
L’unica cosa a dargli senso, secondo me.  

Loading

La metamorfosi del neutrino

Dopo oltre tre anni di ricerche e miliardi di miliardi di particelle in viaggio da una parte all’altra delle Alpi,fin negli appennini dove si trovano i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), per la prima volta al mondo è stata osservata, in modo diretto, una metamorfosi del neutrino. La trasformazione, cioè, di un neutrino in un altro.

Ad annunciarlo è l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare sottolineando che si tratta di una “scoperta che apre le porte a una nuova fisica”. “Serviranno ovviamente altre osservazioni di neutrini ‘mutanti’ – spiega l’Infn – per avere la certezza definitiva della scoperta”.

Una veduta dei laboratori sotto il Gran Sasso (Crediti: Media INAF)

Il fenomeno è stato osservato dall’esperimento internazionale Opera. Il neutrino, al termine di un viaggio che lo ha portato dal laboratorio europeo di Ginevra del Cern, da dove è stato ’sparato’ in fasci puntati verso il Gran Sasso, fino all’interno della montagna abruzzese a 732 chilometri di corsa sotto la crosta terrestre in soli 2,4 millisecondi, ha mutato la propria natura. È stata una impresa, continua l’Infn, “resa possibile dalla collaborazione tra Cern e Laboratori dell’Infn del Gran Sasso nel progetto Cngs, Cern Neutrino-Gran Sasso. Questo risultato, infatti, è una forte indicazione del fatto che i neutrini hanno una massa e che possono oscillare passando da una ‘famiglia’ a un’altra”.

Fu il fisico italiano Bruno Pontecorvo, del gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” di Enrico Fermi, a proporre, verso la metà del Novecento, la possibilità di trasformazione dei neutrini. “Nel Modello Standard elaborato dai fisici per spiegare l’Universo, – continua l’Infn – i neutrini non hanno una massa. Occorrerà dunque rettificarlo in questo punto, fornire nuove spiegazioni e iniziare nuove ricerche con tutte le possibili implicazioni in cosmologia, nell’astrofisica e nella fisica delle particelle”.

“È un risultato importante – commenta Margherita Hack – è una conferma che i neutrini hanno una massa. Si pensava che la massa dei neutrini fosse un centomillesimo di quella dell’elettrone: per quanto piccola è pur sempre una massa e potrebbe contribuire in parte a spiegare di che cosa è composta la materia oscura” che costituisce il 25% dell’universo.

Guarda l’intervista a Natalia Di Marco per l’esperimento OPERA

Guarda il filmato sull’esperimento CNGS

Notizia ripresa dal sito Media INAF. Si può consultare anche l‘articolo su La Stampa o su Il Sussidiario.net sullo stesso argomento.

Loading

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén