Esitavo abbastanza, a scriverlo. Eh sì, perché già lo capisco dall’inizio, questo post sarà terribilmente incompleto. In un modo, peraltro, quasi da vergognarsi. Difficile davvero estrarre il succo di questi tre giorni passati al Meeting di Rimini (da mercoledì a venerdì scorso,  per essere proprio precisi). Tre giorni scarsi per essere sottoposti, contaminati, da una ricchezza di incontri, cose, persone, dialoghi, immagini, suoni, che sembra scaturire da una misteriosa abbondanza, non direttamente misurabile.

Il titolo di quest’anno è stato Nacque il tuo nome da quel che fissavi, riecheggiando una poesia di Giovanni Paolo II. Ed effettivamente, qui di cose da guardare, ce n’erano tante. A volte anche in contemporanea, che non sapevi come orizzontarti. Perso, come appariva, in una felice ridondanza, correvi da una parte all’altra, tentando di intersecare le tempistiche, o almeno di slabbrarle solo moderatamente. Il lavoro della vita, insomma, qui condensato.
La sintesi migliore – essendoci stato – mi pare proprio quella di questo breve video, apparso da poco sul canale YouTube del meeting (e ci sarebbe da raspare tanto, nell’area dei video del meeting, perché quasi ogni cosa è stata ripresa, grazie al cielo).
E’ l’unico modo di vedere a volo d’uccello quello che serve di vedere, di respirare l’atmosfera, di rifare memoria, rapidamente, di quello che ti è capitato. Le cose belle sono ben più di quaranta, e ti scorrono intorno, che nemmeno te ne accorgi del tutto. Vedi un pochino di qualcosa, ma quel pochino è sufficiente. Perché in ogni parte c’è il tutto, lo sappiamo. Ed in ogni parte del meeting c’è questa che a mio avviso è la perla più preziosa, quella tensione di positività che alla fine non può non contagiarti. 
Magari all’inizio ne puoi essere perfino infastidito (ecco, a me capita), perché destabilizza, disarticola sottilmente ma provocatoriamente il tuo cinismo abituale, il tuo modo cinico e quasi rassegnato di rapportarti alla realtà. Quello che tu non ammetti, non confessi nemmeno a te stesso (come se non dirselo, equivalesse a sfuggirlo, a non viverlo). E tutto questo allora magari, inizialmente, dà fastidio. Magari riverbera in te quella posizione dell’Innominato manzoniano, che si stupisce della gente lieta che vede recarsi alla Messa (e anche lui dice ma che ci avranno da essere contenti poi…). Quell’eco manzoniana peraltro ripresa esplicitamente nel messaggio del Papa per l’apertura del meeting
Allora ti dici (tu, sedicente cristiano, notare bene), ti chiedi, quasi come un Manzoni minore, ma dove sta il trucco, cosa ci guadagnano questi qua? e pensi magari ai ragazzi del parcheggio, che non sono a gustarsi il meeting come te, ma sono lì a cuocersi al sole epperò nonostante la cottura indubbiamente avanzata, ti accolgono con insolita gentilezza quando arrivi in automobile, ti stanno a sentire, magari scherzano addirittura, se tu scherzi.

Niente, roba che già per me sarebbe impossibile. Cioè, io mi stupisco ancora prima di entrare.

Qual è il vostro trucco, ragazzi? Dài, ditemelo.

In effetti un trucco, dopo tre giorni che giri e giri, ancora non lo trovi. No, non dico affatto che sei piombato nel Paradiso in Terra, ci mancherebbe altro. Niente di tutto questo, nessuna sperticata idealizzazione. Ma nella media, ti trovi così, ti trovi davanti ad uomini contenti, anche nella fatica (che poi, a livello personale, lo sai bene: la contentezza nella fatica, è uno dei tuoi fallimenti più eclatanti, caro Marco). Beh ok, non sarò così, ma posso almeno guardare chi lo è. In fondo, proprio il guardare è a tema, in questo meeting. 
Allora ti lasci condurre, scruti il programma, inizi – appunto – le corse da un padiglione all’altro, per intessere la tua personale traiettoria dentro il meeting, e dipanarla momento per momento (tra un momento e l’altro c’è spazio per ristorarsi con una granita o qualche altro genere di conforto, e dopotutto siamo in vacanza).

La mostra su Etty Hillesum, quella la vuoi vedere assolutamente. Dalla lettura del Diario (leggetelo, in forma integrale, vi prego), sei totalmente innamorato di questa ragazzina, e della sua sconfinata apertura al Destino. E la mostra certo non ti delude. Scansata assai bene la tentazione di presentarne una versione addolcita per i benpensanti, per le persone di parrocchia, viene fuori Etty in tutta la sua rugosa lancinante dolcissima scabrosità inondata dalla Grazia. Viene fuori che Dio sceglie chi vuole, assolutamente chi vuole, come diceva Marina Corradi parlando di lei (e questa è la più pazzesca delle buone notizie, per ognuno di noi: Dio sceglie chi vuole, pescando anche tra i più cattivi).

Lei non era esattamente una santa, una madonnina infilzata. Lei che ha convissuto con tanti uomini, anche contemporaneamente, che ha abortito con una determinazione ferrea e che oggi spaventa anche i più convinti (e incoscienti) assertori della libertà totale di far tutto (“ti sbarrerò l’ingresso a questa vita e non dovrai lamentartene” annota nel diario, il sei dicembre del 1941), sempre lei che alla fine parte per il campo di sterminio, cantando… Lei – esattamente lei – è stata investita dalla percezione concreta della presenza del Mistero, tale da rivoltare completamente lo scenario di desolazione ed odio, scavandone fuori una luce così pura, che ancora ci confonde. Lei, che replica ad un “vecchio ed arrabbiato militante di classe“, che la accusa – assai scandalizzato – di delineare con il suo progetto di purificazione interiore, un ritorno al cristianesimo, “E io, divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma : certo, cristianesimo – e perché no?”

Etty è un mistero pulsante ed uno scompaginamento salutare della nostra tentazione perenne di avvicinarci al divino a botte di sforzi di “bontà”, e non invece cedendo semplicemente alla Sua potenza.

La mostra che ti spiazza di più però, contrariamente alle tue previsioni, non è nemmeno questa. E’ Bolle, pionieri, e pionieri e la ragazza di Hong Kong. In un modo felicemente non lineare, dalla storia del popolo americano sei ricondotto alle tue personali domande. Come ci dice la curatrice della mostra, è una esperienza che diventa interamente personale, dove tu stesso, di fronte alla varietà e provocatorietà del materiale esposto, porti a galla le tue domande, le tue esigenze, la tua specifica fame di senso. Che bello, venire destrutturati almeno per un pochino, in modo che la curiosità autentica, seppellita sotto strati e strati di “già l’ho visto” possa ridestarsi, almeno un attimo, almeno per una microscopica debacle del pensiero ordinario. Leggo adesso che hanno detto, meglio di me, quanto sia straordinaria questa mostra. Posso solo seguire, assecondare. E’ proprio così.

Ma tu sei una persona che scrive, Marco. E quindi sei attratto da quelli che scrivono, appunto. L’incontro con Daniele Mencarelli, venuto a parlare del suo La casa degli sguardi (ma ci fate caso, come il titolo del libro riverbera il titolo del meeting?), è di quelli che inizi con una vaga curiosità, e poi ti affanni a trovare un qualche device su cui appuntare delle frasi, delle gemme di verità che senti utili per te, che non vuoi che vadano disperse.

E poi, ecco, poi ci sono le persone, ed è bello quando avviene il contatto tra persone, il contatto vero, vivo. Daniele aveva letto il mio post sul meeting esprimendo apprezzamento, così mi presento dicendo che sono quello del blog, e intanto che mi faccio firmare il libro, gli consegno Imparare a guarire. C’è molta gente, parliamo pochi istanti, ma sono sufficienti.

Beh ci sarebbe tanto da descrivere ancora, e naturalmente mi sono accorto – come da incipit – che sto trascurando colpevolmente alcuni bellissimi incontri. Ma tant’è. Almeno in questo, sono di parola, e lascio il post così terribilmente incompleto, come dicevo. Cerco un momento di sintesi, cerco un filo di significato.

Lo so, lo so. Si potrebbe dire tanto e tanto altro, in effetti. Avete ragione. Ma avviene anche questo al meeting, avviene un segnale di umanità di un cuore urgente, come si diceva esattamente un anno fa.

Avviene, ed è bello quando avviene.
Sempre bello. 

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