Antonello Venditti è un pezzo di Roma. Non puoi pensarlo senza pensare la città, sono legati insieme indissolubilmente. Se cavi via Roma da Venditti non capisci più niente di lui, perdi il quadro di insieme, rimani davanti a mille particolari e diecimila informazioni che non ti spiegano più nulla.

Venditti è anche un pezzo della mia storia personale. Non è che posso andare ad un suo concerto senza che questa storia mi ritorni davanti, si riproponga, richieda di essere accolta, amata. Più amata.

Ci sono delle canzoni che sono intrecciate alla mia storia con Paola. Allora fidanzata, ora moglie. Non posso pensare a canzoni che appartengono a quei due begli album, Cuore e Venditti e segreti, senza che mi parlino della scoperta dell’amore, e dell’amore della mia vita. Sono gli album che uscirono quando cominciavamo a passare insieme le giornate, a confrontarci seriamente la vita. La possibilità di stare insieme per sempre baluginava come sogno luminoso. 

Cinzia cantava le sue canzoni
e si scriveva i testi sul diario
per sentirli veri…

Le vacanze passate in Calabria, tanti dettagli che passano per quelle note e prendono un significato per me, per me soltanto.
Ieri sera al Palalottomatica di Roma, Antonello sembrava in ottima forma, scherzoso e come sempre gran chiacchierone, anche autoironico (il pianoforte che entra sul palco mosso da una qualche attrezzatura, lui che dice “Sembro proprio Guzzanti”). L’omaggio iniziale a Lucio Dalla, la commozione e il rispetto che non sembravano assolutamente affettati, ma reali. Il coraggio di richiedere, all’inizio, un intero minuto di assoluto silenzio. Le citazioni ai fatti di attualità più dolorosi. 
Poi, l’omaggio alle donne, bello, così spontaneamente filtrato nelle sue corde.. sono straordinarie, giocano contemporaneamente in attacco e in difesa. Si alzano, portano a scuola i bambini, lavorano…  
Il suo compleanno era appena il giorno prima, il pubblico (quanto mai variegato in termini di età) che intona compatto un tanti auguri a te… una scena quasi surreale. Una piccola magia.
C’è mestiere, certo, dopo tanti anni. Per forza. Saper toccare le corde giuste, creare empatia. Ma c’è anche e soprattutto il rispetto per il pubblico, lo vedi da come parla, come si muove. C’è un ragazzo di Roma che ha scelto di rimanere un ragazzo di Roma, a sessant’anni passati, con tutti i pregi e i difetti, e la spontanea bella irruenza. 
Perché in questa romanità c’è un attaccamento alla terra, al concreto, alla vita come viene, una sana allergia al razionalismo esasperato. C’è la coscienza di un appartenere, che va ben oltre i confini di una città, che definisce i contorni del sè, permette di guardare.
E’ questo Antonello. Non se la tira più di tanto, e saresti tentato di passar oltre senza indugio, forse. Se non ti sorprendesse con degli squarci clamorosi
E quando pensi che sia finita
è proprio allora che comincia la salita
che fantastica storia è la vita.

E tu pensi che cavoli, ma queste canzoni tanti altri blasonati e rispettati cantautori, ma quando le tirano fuori? Se uno ancora mi dice, sì sì Venditti, io gli farei sentire In questo mondo che non puoi capire, solo per dirne una (no, non l’ha fatta ieri, ma non importa, ne ha fatte tante di belle…)

C’è questo ragazzo che quando si mette da solo al pianoforte, ti dice ora mi sento a mio agio e tu capisci che è vero. Che gli accordi iniziali, la scivolata di quelle note, la voce che intona Io mi ricordo, quattro ragazzi e una chitarra, e un pianoforte sulla spalla non solo hanno lasciato un segno, qualcosa che se giri per Roma la puoi trovare, la puoi annusare nelle piazze, sui monumenti, sui bar, le fontane. Ma ti hanno lasciato un solco dentro, hanno costruito qualcosa, definito qualcosa che ti rimarrà dentro per la vita.

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