Debian, l’italiano e l’intelligenza (artificiale)

Premetto che non sto per scrivere niente di esagerato sull’intelligenza artificiale, o almeno lo spero. Sono totalmente con Faggin quando avverte che c’è in essa, ben poco di “intelligente”. Sono marchingegni ben studiati, che possono indubbiamente essere utili (e di questo parlerò) ma niente di più (ed è già tantissimo).

E comunque – per una persona come me che ha visto Internet nascere (e arrivare negli istituti di ricerca prima ancora che la gente sapesse che c’era questa grossa cosa nuova), anzi che ha trascorso su questo pianeta molti anni prima che Internet vedesse la luce – osservare queste ultime evoluzioni è qualcosa che colpisce. Veramente stiamo entrando in un’altra epoca. E questo, non tanto perché abbiamo creato qualcosa dotato di una intelligenza propria, perché non assolutamente così (ancora, ascoltare Faggin per convincersi o leggersi il suo libro, Irriducibile). Quanto piuttosto, per la indubbia comodità di un nuovo strumento che diverrà – ci scommetto – sempre più parte della vita quotidiana. Fino ad apparirci indispensabile, se per alcuni non lo è già.

Tutto comincia con la posta (come sovente accade)

Collettivamente, siamo in un periodo di riflessione profonda sui vantaggi e sui problemi dell’intelligenza artificiale. E non potrebbe essere che così, in questa fase. Tra un poco la useremo e basta, dimenticandoci allegramente di tutto il contesto filosofico che ora è invece in primo piano. D’altronde accade sempre così, è successo con i lettori walkman1, con i primi videogiochi, con i telefoni cellulari, con la televisione a colori, praticamente con tutto.

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Il meglio che si possa avere

Ho ripescato quasi per caso un post del 2014 in cui spiegavo perché “stavo con Apple” riguardo la scelta di un tablet. E con una certa curiosità mi sono messo a sfogliare la lista dei motivi per cui al tempo la mia scelta era caduta su iOS e non su Android. Questo mi fa capire ancora di più come le cose cambino velocemente, in campo tecnologico.

Per gioco, provo a riprendere i quattro punti dell’articolo orignale e aggiornarli. Inserisco qui di seguito una piccola tabella, a sinistra la voce originale del post del 2014, a destra la situazione odierna.

primaadesso
Non posso leggere i numeri di Poesia in digitaleLa rivista Poesia (ahimè) non pubblica più i suoi numeri in digitale, per nessuna piattaforma
Non posso leggere TracceTracce è da tempo disponibile sia per iOS che per Android
Non posso usare DayOneDayOne è ora disponibile anche per Android. Io però nel frattempo sono migrato a Journey per il diario personale
Non posso usare MomoNoteNon lo uso più. Ormai ci sono un sacco di buoni software per note, per tutti i sistemi operativi

In effetti molti dei motivi che avevo prima per preferire un dispositivo iOS sono ormai svaporati. E difatti da tempo uso un tablet Huwei, il glorioso – e per certi versi imbattuto – Huawei Mediapad M5, insieme con un Samsung Tab A8 acquistato più di recente, in caso serva uno schermo un poco più grande.

Per essere completi, andrebbe anche detto che se alcuni motivi sono spariti, se ne sono aggiunti altri che prima non avevo listato. Prima cosa il software per scrivere: su iOS potrei far girare Ulysses come pure iA Writer. Su Android Ulysses non esiste proprio e lo stesso iA Writer, pur esistendo, è decisamente più primitivo rispetto alla sua controparte per il mondo Apple.

Su iA Writer, come pure sullo struggimento per Ulysses e suoi miei ondeggiamenti verso il mondo Apple per (ormai) sua quasi esclusiva responsabilità, ho già scritto di recente.

Piuttosto, il vero problema, da come la vedo io, è che per qualche motivo – soprattutto nell’universo Android – c’è pochissima attenzione ai tablet di piccolo formato, che io invece trovo comodissimi. Basti dire che le caratteristiche del mio MediaPad (uscito, vorrei ricordare, nel lontano 2018), lo rendono ancora superiore – per molti versi – rispetto ai tablet contemporanei di comparabile grandezza.

Avevo ben sperato, per la verità, nell’uscita del Galaxy Tab A9 della Samsung, per poi patire l’ennesimo disappunto. Nella versione a 8.7 pollici, è decisamente un tablet economico con poche pretese: basti confrontare la risoluzione dello schermo, che è di 1340 x 800 pixel, con quella del MediaPad, che è invece di 2560 x 1600 pixel invece… bella differenza, no?

Per dirla tutta, il MediaPad infatti se la cava ancora più che bene. Tra l’altro a differenza degli Huawei moderni, ha pieno accesso al Play Store di Google, perché è stato prodotto prima dell’infausto blocco decretato per la casa produttrice cinese. Gli unici punti in cui senti di avere in mano qualcosa di un po’ datato, sono la memoria interna che al giorno d’oggi risulta davvero scarsa (miseri 32 GB, il che mi costringe a continue lotte per mantenere un po’ di spazio libero) e il fatto che la versione di Android sia bloccata, da tempo immemore, alla release numero nove.

Aggiornamenti, da tempo non ne vedono più: fino ad un certo punto sono arrivati quelli di sicurezza, ora mi pare che dalla casa madre non arrivi più nulla. Tutto tace. Ed è un vero peccato, perché il dispositivo di suo è veramente ottimo. Ribadisco, da tempo volevo sostituirlo con un altro circa della stessa dimensione, ma non trovo ancora nulla di percettibilmente migliore.

C’è insomma questa idea, che quello piccolo è quello economico, pensato per chi vuole spendere poco. Ma perché mai? Che c’entrano le dimensioni dello schermo con la spesa che si vuole affrontare? Quello piccolo è comodissimo da portare in giro, e potrei volerlo preferire ad uno più grande in diverse occasioni – pretendendo comunque un dispositivo dalle prestazioni onorevoli. Il fatto che il Tab A9 di dimensioni maggiori (indicato significativamente come Plus) abbia caratteristiche tecniche ben più allettanti rispetto al Tab A9 piccolino, del resto, la dice lunga su ciò che pensa Samsung.

Niente, su questo rimane solo Apple – piaccia o no – che sembra crederci, nei piccoli tablet. Per dire, il suo iPad Mini del 2021 non è affatto una versione degradata di un tablet più grande, ma rimane in sé un aggeggio di tutto rispetto (noto tuttavia che la sua risoluzione non raggiunge ancora quella del MediaPad, attestandosi su 2266 x 1488 pixel). E già si vocifera che una prossima versione di iPad Mini arriverà sugli scaffali dei negozi tecnologici, in questo stesso anno.

Già, ma Apple è Apple, nicely overpriced (come recitava una delicata presa in giro uscita tempo fa), e per ottenere un iPad Mini attualmente bisogna cavare fuori dal portafoglio la cifra non del tutto trascurabile di 659 Euro, stando al prezzo di listino. Lo so bene, non è la prima volta che mi spiaccico addosso alla politica dei prezzi della casa di Cupertino, riportandone varie contusioni.

E dunque? Niente, per ora mi tengo i miei due tablet Android. E vediamo un po’ cosa succede, nei prossimi mesi. E intanto che li uso, mi meraviglio delle stranezze del capitalismo internazionale, per cui un tablet di quasi cinque anni fa, fermo ad Android 9, è ancora – per certi versi – il meglio che si possa avere.

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Certo che iA Writer…

Certo che iA Writer ha questo, che apri il programma e ti viene voglia di scrivere. Ancora non sai bene cosa scriverai, anzi non lo sai per nulla affatto. Però questa cosa è certa, ti va di scrivere. L’interfaccia linda e pulita è proprio un invito. Le lettere scorrono grandi dentro la finestra e il preview istantaneo ti dà un gusto particolare. Questo forse, chissà, è perché sei abituato ai codici che compilano, cioè a scrivere in un modo ed aspettarti che quello che scrivi venga modificato, interpretato in qualche modo.

Quindi anche se è un poco rozzo in tante parti gli si perdona molto, perché è molto simpatico per il resto. Poi il fatto che fa venire voglia di scrivere, davvero non ha prezzo.

Ho fatto l’abbonamento anche ad Ulysses perché mi attira molto con tutte le sue caratteristiche spaziali straordinarie, ma poi non so perché a scrivere torno sempre qui. Quasi sempre qui, voglio direi. Quindi non so, magari toglierò l’abbonamento tra un po’ di tempo, risparmiando qualche soldo. Tutto sta a vedere se riesco bene a proseguire il progetto del quaderno di Astronomia qui dentro iA Writer. Che poi è sempre il solito dilemma, Ulyssess esiste solo per il mondo Apple, e io nel mondo Apple ho appena un piedino, cioè ho mantenuto l’uso dell’iMac avendo sostituito il mio vecchio con quello equipaggiato con M1. Bel prodotto, non c’è che dire. Però in questo modo sono sempre a metà, un po’ su Apple un po’ su Windows (e un po’ su Android per tutto il resto), e quindi l’integrazione direi che manca. Abbastanza manca.

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Scrivi allo sviluppatore

Chissà perché, siamo abituati a pensare al mondo informatico come ad una offerta variegata di servizi da fruire, ma per i quali difficilmente si può intervenire come parti attive, influenzando o addirittura modellando gli sviluppi futuri. Come dire, l’offerta è ampia, ma si prende quel che c’è, piaccia o non piaccia. Forse è il modello neoliberista (un mondo al collasso, secondo la Carta della Nuova Umanità), che ci vuole consumatori passivi, forse altro. Forse la nostra pigrizia.

In questi giorni può capitare di leggere frasi tipo Twitter non mi piace, ma sono tutti lì quindi lo tengo. Ecco, forse iniziare tutti a cercare altro potrebbe dare uno scossone salutare. Ma chiudo parentesi.

Vengo al caso. Mi è capitato pochi giorni fa a riguardo dell’applicazione Wallpaper quotidiano per Bing, che porta anche sul desktop dell’iMac gli sfondi quotidiani (meravigliosi, di solito) scelti da Bing, un servizio che sui computer Windows (e sui dispositivi Android che usano Microsoft Launcher) è presente di default.

L’applicazione funziona bene ed anzi è stata una vera svolta, ho addirittura smesso di desiderare di lavorare sul portatile Windows (almeno un poco1) perché finalmente anche sull’iMac, come già sul telefono, ho la presentazione quotidiana di un nuovo sfondo, giorno per giorno.

Però, c’era un problemino.

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S23 Ultra, vale la pena?

Interessante la newsletter BBC Science Focus (in inglese), perché arriva proprio all’ora di pranzo (almeno per il nostro fuso orario) e in un formato snello e compatto, propone due o tre articoli legati alla ricerca scientifica e ai risultati più intriganti e che possono destare curiosità.

Basta una moderata conoscenza della lingua inglese (o l’uso di un traduttore) e la fruizione può regalare qualche minuto prezioso per distogliere la mente dalle occupazioni della giornata, senza dare quella spiacevole sensazione di perdita di tempo, che può prendere durante lo scorrimento verticale (per dirla con Samuele Bersani) dei post nel social a cui siamo più affezionati.

Fino a che punto ha senso investire su uno smartphone?

Apprezzo che ogni tanto vengano anche presentati dei prodotti. Oggi è il turno di Samsung S23 Ultra, un telefono decisamente di fascia alta, e molto costoso. Specifico che io sono particolarmente affezionato ai prodotti Samsung (questo laptop da cui sto scrivendo, il mio orologio, il mio telefono e un tablet sono tutti della marca coreana), tuttavia – e lo metto come spunto di riflessione, che raramente si trova nelle recensioni – non posso che fare mio quanto appare nella prima parte dell’articolo (tradotto al volo grazie a Vivaldi translate) :

 .. il Samsung Galaxy S23 Ultra è eccessivamente costoso, chiedendo gentilmente di sborsare un minimo (sì, minimo) di £ 1249. Quindi questo lascia una grande domanda: può uno smartphone veramente valere così tanti soldi, e per coloro che sono pronti e disposti a perdere i risparmi di una vita per il proprio smartphone, il Samsung Galaxy S23 Ultra fa al caso tuo? Abbiamo trascorso un po ‘di tempo con il dispositivo per scoprirlo…

Se il prezzo in sterline vi lascia (come a me) un po’ interdetti e dubbiosi, specifico che su Amazon si trova al momento a 1160 Euro. La domanda (che vale parimenti per i nuovi iPhone e per gli Android top) rimane la stessa: è ragionevole investire così tanti soldi per uno smartphone?

Io ho alcuni dubbi, in proposito.

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Dovrei comprare un iPad mini?

Deve essere così. Mi pare molto ovvio che alla Apple leggano questo piccolo blog. Sì, perché quello che sta per entrare in commercio, insieme con l’iPhone 13 e tante varie cose, è un iPad mini davvero interessante. Che appare un po’ come la risposta operativa a quanto si andava argomentando nel post precedente a questo.

Vado subito al dunque. Sono d’accordo con chi dice che nel recente evento Apple (che definirei uno spot di quasi un’ora e venti oggettivamente realizzato benissimo, tanto che ne vorrei riparlare) la parte più interessante è rappresentata proprio questo iPad mini. E mi sento anche di assecondare chi asserisce che tale arnese risulti totalmente interessante anche per chi (come lo scrivente) graviti da molto tempo prevalentemente nel mondo Android.

Caro Google, una mela non è una pera “strana”. Un tablet non è un telefono “grande”. 

Tra l’altro, nel momento in cui scrivo, il sondaggio promosso dal sito iMore su quale sia stato l’annuncio preferito nel recente evento Apple, appare decisamente a favore di iPad mini. Ma so che non avete tempo da perdere, quindi entriamo nel merito. Vorrei dire perché mi intriga questo nuovo piccolo iPad.

  • Le dimensioni. Come si è già detto, considero un tablet di queste dimensioni estremamente usabile, in un ampio assortimento di situazioni. Non sono un grande fan dei dispositivi con schermo intorno ai dieci pollici, non si tengono facilmente in mano, non ci leggi bene sul divano o sul letto (e nemmeno in bagno). Vanno meglio per lavorare, ma a quel punto passi direttamente al laptop o ti siedi e fai le cose per bene, con un vero computer.
  • La connessione USB-C. Finalmente. Per un utente Android non è una cosa da poco. Vuol dire un cavetto di meno in giro, perché finalmente (qui) Apple adotta quello che è da tempo lo standard, nel resto del mondo. Un solo cavetto. Una grande comodità (e finalmente anche Kindle sta arrivando alla USB-C, ma questa è un’altra storia). Sarebbe veramente ora che Apple abbandonasse Lightning al suo meritato riposo e adottasse USB-C in modo convinto e completo (come anche l’Europa chiede).
  • Ascolto stereo in modalità orizzontale. Era ora. Ho già parlato del posizionamento bizzarro degli altoparlanti su iPad, tutti sullo stesso lato (corto): all’atto pratico, vuol dire che se ti metti a vedere Netflix tutto il suono lo senti uscire da una parte sola, altro che effetto stereo. In questo piccolo iPad invece l’effetto stereo può essere apprezzato non solo in cuffia, perché gli altoparlanti sono posizionati sui lati corti, appunto per fruire di un ascolto stereo in modalità landscape. Sì, va bene, come il Mediapad M5 di cui dicevo, in effetti. Uscito nel 2018, va detto. Ma è una “innovazione” assai gradita qui.
  • Il sistema operativo iPad OS. Non è un sistema perfetto, a voler essere pignoli ci sono alcune cose che non mi entusiasmano. Però è un sistema ottimizzato per tablet, ed è comunque ben fatto (e tra poco vedremo la versione 15 come si comporta). Non ci sono altri sistemi analoghi. Dopo l’abbandono da parte di Microsoft del folle (ma intrigante) progetto di mettere Windows 8 anche sui sassi, e perdurante il plateale clamoroso disinteresse di Google verso il mondo dei tablet, iPadOS è in confortante controtendenza: bisogna ammettere che sono rimasti solo quelli di Apple a ritenere che un tablet non sia appena un grosso telefono. No, il tablet è un tablet, appena. E va pensato in modo specifico.

Complessivamente, un grande salto in avanti anche, diciamo, rispetto a certe ostinazioni che francamente ormai risultano poco comprensibili: anche la versione più recente di iPad, mantiene la connessione proprietaria Lightning – anche bella vecchiotta se vogliamo, visto che sta per raggiungere i dieci anni di età – e presenta stolidamente i due altoparlanti sul medesimo lato (corto) dell’apparecchio (a questo punto, perché ostinarsi realizzare un’uscita stereo sugli altoparlanti, non si capisce).

Ecco, direi che le ragioni per acquisire un iPad classico si concentrano necessariamente sul suo sistema operativo iPadOS, ovvero si acquista essenzialmente un ingresso nell’universo Apple (un po’ come per iPhone SE). Qui c’è poco da fare. Oltretutto sul lato hardware un iPad classico non è esattamente al top. Ha comunque senso, soprattutto se associato ad una tastiera e/o ad una Apple Pencil. Ti consente di fare parecchie cose (no, per Netflix, ti conviene infilare gli auricolari).

Tuttavia, le ragioni per acquistare un iPad mini, questo iPad mini, mi sembrano ben più consistenti, anche a fronte di una spesa richiesta significativamente maggiore. Per chi è a caccia di un buon tablet dalle dimensioni contenute, per come già si argomentava, non c’è una grande scelta. Huawei (da quanto si desume dallo store) sembra aver abbandonato il formato “otto e qualcosa”. Samsung lo occupa – al momento – solo con modelli decisamente economici, come Galaxy Tab A7 Lite oppure Galaxy Tab A, interessanti solo se uno deve spendere poco, certo non comparabili con iPad mini (o con il mio buon vecchio Mediapad M5).

Dunque a mio avviso iPad mini costituisce una opzione molto interessante, per chi cerca un tablet moderno di dimensioni contenute. Almeno fino a quando non verrà fuori un’alternativa credibile (nell’hardware e nel software di gestione) dal mondo Android. Il che purtroppo – almeno per la parte software – temo che non avverrà molto presto.

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Miglior tablet otto pollici 2021 (tipo)

Complice il tempo libero delle vacanze, ho iniziato una ricerca per capire, in prospettiva, se fosse il caso di sostituire il mio tablet Huawei MediaPad M5 (8.4 pollici) che potrebbe essere considerato non nuovissimo, visto che è stato acquistato a novembre del 2018 (per il mio compleanno). Dopotutto, due anni e mezzo abbondanti non sono pochi per un arnese elettronico, in tempi come questi.

Per completezza, devo dire che qualche tempo fa mi sono fatto tentare da un’offerta molto allettante, e mi sono concesso l’acquisto di un iPad (settima generazione) come potenziale sostituto al MediaPad M5, e anche per avere un punto di accesso al modo di vedere Apple, se mi capite (riguardo al quale risento di una forza di attrazione oscillante in modo periodico).

Tuttavia, senza nulla togliere all’iPad (che mi è ben servito per dei lavori specifici, e che attualmente usa perlopiù mia figlia con molto profitto), proprio in questa occasione ho realizzato quanto per me sia comodo il formato otto pollici (tipo). In particolare, come questo realizzi un compromesso veramente splendido tra uno schermo ampio e leggibile e una discreta portabilità.

Siamo d’accordo che un (tipo) otto pollici è la cosa migliore?

Un tablet (tipo) otto pollici te lo porti in giro come se nulla fosse. Se stai leggendo e non vuoi interrompere puoi portartelo perfino al bagno, senza apparire troppo eccentrico (personalmente, non riesco a trasportare in modo dignitoso/casual un dieci pollici nel bagno, non so voi). Per leggere libri – in mancanza del fido Kindle che certo realizza l’esperienza ottimale di lettura, o anche per gli ePub che il Kindle sdegnosamente rigetta – è diecimila volte meglio (fidatevi) di un dieci pollici. Play Book si esprime alla grande sul mio MediaPad. Hai voglia a portarti in giro un dieci pollici per leggere un libro: niente, non è pratico.

Ugualmente quando si tratta di riviste digitali. Lo schermo del MediaPad è quello giusto, non c’è niente da fare. Più piccolo è un fastidio leggere, più grande è un fastidio tenere il lettore in mano. Certo devo usare gli occhiali, come con una rivista cartacea (non invecchiano solo i tablet, bisogna serenamente ammetterlo). Ma qui la cosa è mitigata perché posso allargare un po’ la pagina. Questo per dire, che Readly è di casa sul mio MediaPad. Certo, ho provato Readly anche su iPad, ci mancherebbe. Molto bello, forse superiore come animazioni e transizioni (iPadOS contro Android Pie, il primo vince facile) che si godono sfogliando le varie riviste. Ma niente, scomodo leggere su un dieci pollici, alla fine. Almeno questa è la mia impressione, adesso (le mie impressioni, lo so bene, cambiano con il tempo).

Anche questo, il formato. Ho sempre avuto problemi a digerire il rapporto di dimensioni di MediaPad: fosse stato per me, l’avrei fatto più largo e meno alto. Così, esteticamente: un poco più chiatto. Invece con quel rapporto 16:10 sembra un grosso telefono, non un tablet. Ma quando si parla di vedere Netflix, beh appare semplicemente perfetto. Ah, ovviamente anche YouTube. Dunque, si capisce perché l’han fatto così.

E qui voglio spezzare una lancia sulla genialità dei tecnici Huawei di aver messo i due altoparlanti sui lati corti opposti, in modo che si posizionino alla perfezione quando guardi un video in modalità orizzontale (che è la cosa più ragionevole), restituendoti un suono stereo più che dignitoso. Ah, se vi viene da dire beh ma ce ci vuole forse non avete realizzato come sono dislocati gli altoparlanti di iPad. Ve lo lascio scoprire, come l’ho (amaramente) scoperto io. Se vi trovate un senso, perfavore scrivetelo nei commenti. Devo ancora capirlo.

Nel complesso, sui vantaggi e svantaggi degli otto pollici si possono spendere molte parole, ma alla fine è questione di gusti personali e di come viene usato lo strumento. A me piace che il MediaPad si possa portare in giro molto facilmente, per dire. Già l’iPad ha un ingombro diverso, e si vede.

Quindi da tutto questo sproloquio, avrete capito che un otto pollici (o se vogliamo, otto e un po’) non mi dispiace. Anzi. E quindi, dopo aver cercato su Ecosia best tablet 2021 e cose simili, e aver trovato sorprendentemente pochissimi modelli (tipo) otto pollici, ho raffinato la ricerca e ho tentato aggiungendo, appunto, la specifica degli otto pollici. Così, tanto per andare dritto al punto. Ci sono diversi siti che fanno le loro liste, tra cui WordofTablet (apprezzabilmente nel circuito di ricompense Brave), o anche Lifewire, ed inoltre mytabletguide oppure (in italiano) 10best ed anche AltroConsumo. E via di questo passo.

Qui casca l’asino (diciamo). Se verifico le specifiche di moltissimi di questi, anche usciti più di recente del mio, spesso mi scontro con modelli inferiori, in un senso o nell’altro. Le chiacchiere stanno a zero: difficile trovare modelli con oltre 4 GB di RAM e con risoluzione superiore a 2650 x 1600, appunto (avrete indovinato) le specifiche del MediaPad. Esistono ovviamente una miriade di tablet migliori – e ci mancherebbe altro che mancassero – ma praticamente sempre con il formato dieci pollici o più.

Certo un valido competitor è iPad mini (in verità un poco più piccolo, con i suoi 7.9 pollici di diagonale). Se guardo però la risoluzione, emerge che iPad vanta una griglia di 2048×1536 pixel, dunque inferiore al mio MediaPad. Certo la risoluzione non è tutta la faccendo (poi è vero, la creatura di Apple ha uno schermo più piccolo), ma passando da MediaPad ad iPad mini, sentirei di perdere qualcosa. In questi casi, conta soprattutto se uno vuole (ri)entrare nell’universo Apple, anche magari ad un prezzo un po’ elevato. C’è da capire se vale la pena, e questo è un discorso essenzialmente individuale.

Al di là del fatto che ho compreso – a distanza di anni, d’accordo – che con il MediaPad ho fatto un buon acquisto, è evidente che l’industria non punta molto sugli otto pollici. Non ci crede, non spera di poterci guadagnare abbastanza.

Il che per me rimane un grande mistero. Lo aggiungo allora ai misteri riguardanti lo sviluppo tecnologico, che ormai ce ne sono tanti. Perché la gente si è accanita per anni ad usare Internet Explorer quando era ormai un rottame capolavoro di bachi e maestro d’inscurezza e non adesione agli standard W3C, mentre emergevano già browser più sicuri ed addirittura con la navigazione a schede come Firefox, ad esempio. Oppure, perché VHS ha vinto contro Betamax, tecnicamente superiore (dice chi ci capisce).

Ed intanto mi tengo il mio MediaPad. Che certo, è rimasto ad Android Pie ma, con qualche ritocco e l’interfaccia così carina di Microsoft Launcher, al posto di quella di Huawei (ormai ferma, come è fermo il suo Android), tanto male non è.

E mi interrogo, di quando in quando, sui misteri dell’informatica.

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Android Go, cosa è essenziale (e cosa no)

Mi piace l’idea. Una versione di Android fatta apposta per dispositivi poco potenti. Android Go si presenta dichiaratamente per chi ha un telefonino non troppo performante. Il sistema operativo non è istallabile dall’utente ma dovrebbe arrivare con il telefonino stesso. Questo dà ai produttori, di fatto, una scelta tra che “livello” di sistema implementare, che non mi sembra affatto male.
Il punto di forza vero di Android, dovrebbe essere la sua flessibilità (Crediti: Google)

Chiaramente le animazione e tutto il “superfluo” è mantenuto all’osso nella versione Go, privilegiando le cose essenziali. In questo modo si può scegliere di comprare uno smartphone pagandolo a seconda dell’uso effettivo che si intende farne. Un appassionato di tecnologia estrema e una mamma di famiglia (o una nonna) avranno cose diverse da chiedere al proprio smartphone, faranno girare un numero di applicazioni molto differente e si disporranno fisiologicamente su richieste assai diverse. Non ha alcun senso far pagare 500 Euro per un telefonino a chi usa risorse per un quinto del suo prezzo. Quindi è bene che vi siano telefoni differenti e sistemi operativi sintonizzati con l’hardware.

Il mercato è (o dovrebbe essere) anche questo, rispetto per gli utenti. Il rispetto è usabilità, soprattutto. E intelligenza. In realtà, in effetti, la vera peculiarità di Android (rispetto a iOS) è il ventaglio estremamente ampio di dispositivi su cui viene istallato. Un telefono entry level di 100 Euro e uno top edge di 1500 Euro si differenziano in tutto, tranne che nel sistema operativo. Dunque è giusto anche rendere questo sistema più flessibile e granulare, per venire incontro alle diverse esigenze.

Un sistema operativo che rispetta l’hardware non spingendolo verso inutili fatiche si traduce nel rispetto per l’utente, recuperando un uso calibrato delle risorse, sapendo cosa è essenziale e cosa no.

Consapevolezza che è sempre particolarmente sfidante, e certo non solo in ambito tecnologico.

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