Blog di Marco Castellani

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Quest’universo in fioritura

La natura ci aiuta. Pensiamoci, proprio il fatto che viviamo in un universo in corsa risulta un aiuto inestimabile per noi, nel capirlo. La cosa è nota: le galassie più lontane sono quelle che si muovono più velocemente, rispetto a noi (più spazio in mezzo che si espande, possiamo dire così).

Da qui, il trucco: capire quanto sono lontane da quanto corrono. Perché, capire una cosa quanto è distante, in astronomia, è sempre stato un bel problema (tanto da inventarci le candele standard, che però hanno tutti i loro problemi e le loro belle incertezze).

Dico un’ovvietà. In un universo statico, questo sarebbe impossibile. E ci troveremmo con un bel problema per stimare la distanza degli oggetti più remoti! Mi piace pensare questo, l’universo è in espansione, in fioritura, perché così riusciamo a conoscerlo meglio.

Spettri di galassie “in corsa”. Crediti: VIMOSVLTESO

Questa è una immagine che ci aiuta a capire come sfruttiamo le informazioni che questa espansione ci consegna. Siamo diventati bravi, in questo, bravi a farci aiutare (che non è poco). In una sola immagine presa con il Visible MultiObject Spectrograph al Very Large Telescope in Cile, entrano centinaia di spettri di galassie, in un colpo solo.

Ogni spettro rappresenta la distribuzione della luce nelle varie lunghezze d’onda e, per l’effetto Doppler, risulta che gli spettri sono tanto più “arrossati” quanto più la galassia sta scappando via da noi e quindi – ecco il passaggio fondamentale – da quanto già è lontana. Spettro più arrossato equivale a galassia più lontane: insomma, come se la luce di queste galassie arrivasse con una “etichetta” che segna la distanza dell’oggetto stesso da noi.

Certo per capire bene bisogna conoscere lo spettro della galassia “a riposo”, come fosse ferma. La conoscenza porta nuova conoscenza, e non è certo una novità.

Piuttosto, è un gioco ancora bello, da giocare.

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Evviva! Manca ancora qualcosa

Tanti pensieri, come tutti. Alla fine però è il dato empirico che vince, che dice qualcosa di veramente nuovo. Non i pensieri, le teorie, le speculazioni. Di quelle ne abbiamo fin troppe. La scienza è bellissima perché è una opportunità di privilegiare quel che si vede, a quel che si pensa. Un’opportunità per tutti.

Nuove osservazioni fatte con Hubble (in orbita) e con il Very Large Telescope (in Cile), ci mostrano che il mistero è ancora intatto. La materia oscura si comporta diversamente dai nostri modelli più avanzati, ci indica che dobbiamo capire ancora. Qui è la concentrazione a piccola scala che risulta, dai dati, molto più forte rispetto ai nostri modelli.

In questa immagine “artistica” la materia oscura è evocata da aloni blu intorno alle galassie. Crediti: NASA, ESA, G. Caminha (University of Groningen), M. Meneghetti  (Observatory of Astrophysics and Space Science of Bologna), P. Natarajan (Yale University), the CLASH team, and M. Kornmesser (ESA/Hubble)

Qualche ingrediente fisico ancora manca o nelle simulazioni o nella nostra comprensione della materia oscura dice Massimo Meneghetti, il coordinatore del lavoro (sì, italiano, e fa piacere, senza alcuna tentazione di sovranismo, ma semplicemente fa piacere: siamo gente capace, quando vogliamo). Rincara la dose Priyamvada Natarajan, nello stesso team. C’è una caratteristica dell’universo reale che non stiamo catturando nei modelli.

Personalmente, quando mi imbatto in queste ammissioni di insufficienza, mi esalto. Sono il segno di una nuova umiltà che gli scienziati più avvertiti stanno finalmente assimilando, segno di questa scienza nuova che ha dismesso ogni supponenza e pretenziosità, per allinearsi in uno sguardo meravigliato e curioso sulle infinite meraviglie del cosmo.

Cosmo che è nostro, propriamente nostro, quando appena cediamo alla sua meraviglia, rinunciando ad ogni pretesa di dominio, anche intellettuale.

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VLT, tutti insieme appassionatamente (per la prima volta)!

Il 17 marzo di quest’anno rimarrà una data storica per il Very Large Telescope (VLT) di ESO: la luce raccolta da tutti e quattro i telescopi da 8 metri è stata infatti combinata assieme per la prima volta, utilizzando PIONER, uno strumento di nuova generazione all’interferometro del VLT.

Lo sanno bene gli addetti ai lavori, lo sa bene qualsiasi appassionato di astronomia. Il cammino per poter far lavorare assieme le quattro unità del Very Large Telescope è stato tutt’altro che breve (parliamo di quattro grossi telescopi da 8 metri ognuno!); le quattro unità sono state pensate per poter lavorare sia indipendentemente che in maniera coordinata, come parte del VLTI (il gigantesco interfermetro che si ottiene mettendo assieme la luce raccolta dai quattro telescopi).

Combinazione, le nuove osservazioni prendono il via esattamente nel decimo anniversario delle prima combinazione di due fasci luminosi nel VLTI.

Le quattro unità del VLT (Crediti: ESO)

Tra gli obiettivi scientifici per le quattro unità, combinate a lavorare assieme da PIONER, registriamo la ricerca di evidenze di pianeti in formazione, l’esplorazione della natura e del destino delle stelle attraverso dettagliate immagini della loro superficie e dell’ambiente circostante, oltreché la comprensione più dettagliata dei potenti “motori” associati ai buchi neri supermassivi, che si trovano nascosti al centro delle galassie.

I fasci combinati delle quattro unità sono in grado potenzialmente di fornire immagini di una qualità comparabile a quella di un singolo telescopio con un diametro fino a 130 metri (… e scusate se è poco!). In realtà, tre telescopi sono stati messi in combinazione fino dall’inizio delle operazioni di VLT/VLTI; ora però con l’entrata in funzione del quarto anche gli obiettivi scientifici si possono fare più ambiziosi, in corrispondenza del corrispondente ed evidente salto qualitativo.

Per rendere l’idea, ogni singolo telescopio può “spiare” oggetti ben quattro miliardi di volte meno luminosi di quanto potrebbe scorgersi ad occhio nudo; lavorando tutti assieme riescono a rilevare dettagli 25 volte più deboli di quanto potrebbe fare una sola unità. L’unione fa la forza, anche nel caso del Very Large Telescope…!

ESO Press Release

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Esopianeta colto in movimento

Per la prima volta è stato fotografato e filmato un pianeta esterno al Sistema Solare mentre ruota intorno alla sua stella, Beta Pictoris. L’attore protagonista dell’inedito video è il pianeta extrasolare battezzato Beta Pictoris b e ripreso nella singolare sequenza di immagini in movimento dal Very Large Telescope dell’ESO.

Il risultato, descritto sulla rivista Science dai ricercatori dell’Università Joseph Fourier di Grenoble, in Francia, è la prova che i pianeti giganti si formano nel disco di polveri che circonda le stelle molto rapidamente, in pochi milioni di anni: un tempo molto breve su scala cosmica. Infatti la stella madre ha solo 12 milioni di anni, meno di tre millesimi dell’età del Sole che ne ha cinque miliardi, pur essendo del 75% più massiccia. Si trova a circa 60 anni luce verso la costellazione di Pictor (il Pittore) ed è uno degli esempi più noti di una stella circondata da un disco di detriti polverosi.

Una immagine artistica di Beta Pictoris (Crediti: ESO)

Il pianeta extrasolare colto in movimento è un gigante gassoso che ruota a una distanza paragonabile a quella di Saturno dal Sole. Molto ravvicinata.  Il team, che ha descritto i risultati sulla rivista Science, ha utilizzato uno strumento montato su uno degli UT (Unit Telescopes) di 8,2 metri del VLT in Cile per studiare le immediate vicinanze di Beta Pictoris nel 2003, 2008 e 2009. Immagini di questo tipo sono disponibili per circa dieci pianeti extrasolari. Tra questi  Beta Pictoris b ha l’orbita più corta finora conosciuta, a una distanza compresa tra 8 15 volte quella tra il Sole e la Terra, pari a circa la distanza di Saturno.

Gli altri pianeti ripresi sono tutti più lontani dalla loro stella. Per intenderci, se si trovassero nel Sistema Solare, si posizionerebbero oltre l’orbita di Nettuno, il pianeta più lontano. I processi di formazione di questi lontani pianeti possono essere molto diversi da quelli che hanno caratterizzato il nostro Sistema Solare e quello di Beta Pictoris.

“Le recenti immagini, in presa diretta, dei pianeti extrasolari, molte di esclusiva competenza del VLT, illustrano la diversità dei sistemi planetari”, ha detto Anne-Marie Lagrange, che ha guidato la ricerca.  “Tra questi, Beta Pictoris b è il caso più promettente di un pianeta che potrebbe essersi formato nello stesso modo dei pianeti giganti del nostro Sistema Solare.”

Guarda il video dell’orbita di Beta Pictoris B

La notizia sul sito Ansa.it e sul sito di ESO

Articolo originale apparso su Media INAF

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La Via Lattea e le Nubi di Magellano…

UT 3, 4 & The Milky Way , inserito originariamente da josefrancisco.salgado.

Me l’ha appena mostrato una collega, ed è davvero interessante: cosa si può ottenere combinando ben 1159 esposizioni da 30 secondi ognuna, a coprire un intervallo di tempo di più di dieci ore.

Le immagini sono state prese al Very Large Telescope (ESO, Paranal Observatory, Atacama Desert, Cile) nell’agosto del 2009. Da notare – nel cielo “in perenne movimento” sopra le nostre teste – le galassie irregolari della Piccola e della Grande Nube di Magellano.

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Una straordinaria vista di Betelgeuse

Utilizzando differenti tecniche d’avanguardia sul Very Large Telescope dell’ESO, due team indipendenti di astronomi hanno ottenuto  una serie di immagini tra le più definite della stella supergigante Betelgeuse (la seconda stella più luminosa della costellazione di Orione).

 Le immagini ci mostrano come la stella possieda una estesa “coda” di gas estesa in pratica come l’intero nostro Sistema Solare, e pure come la sua superficie appaia coperta da gigantesche “bolle”. Tali scoperte ci possono fornire importanti indizi per comprendere come questi “giganti” spaziali possano disperdere nello spazio attorno a loro,  materiale ad un tasso davvero impressionante…!

Betelgeuse è una stella attualmente in fase di supergigante rossa, ed è anche una delle stelle più grandi che si conoscano: basti pensare che le sue dimensioni sono circa 1000 volte più grandi del nostro Sole! Non è strano che sia anche una delle stelle più luminose catalogate, tanto che la sua luce equivale a quella prodotta da circa centomila stelle come il Sole. Non male per una stella singola, no?

L’immagine di Betelgeuse ottenuta da uno dei due team che hanno lavorato al VLT. Questa in particolare è stata ottenuta mediante l’uso dell’ottica adattiva con lo strumento NACO, che utilizza una elaborata tecnica per ottenere immagini precise e definite cercando di minimizzare gli effetti della turbolenza dell’atmosfera terrestre. La risoluzione è di 37 milliarcosecondi, che equivale circa alla larghezza apparente di una pallina da tennis posta  sulla Stazione Internazionale in orbita, vista dalla Terra….

Crediti: ESO and P. Kervella

Tale esuberante attività però non potrà durare ancora a lungo: Betelgeuse è infatti vicino alla conclusione della sua “vita da stella”, essendo destinata a esplodere in una magnifica supernova. Quando succederà, si prevede che la supernova sarà vista agevolmente anche da Terra: anzi dovrebbe essere così luminosa, che probabilmente si riuscirà a veder anche durante il giorno…!

ESO Press Release

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VLT studia l’affollatissimo ammasso Arches

Utilizzando il Very Large Telescope dell’ESO, gli astronomi hanno ottenuto alcune immagini tra le più definite dell’Ammasso Arches,  un agglomerato di giovani stelle straordinariamente denso, localizzato intorno al buco nero di grande massa al centro della Via Lattea. La cosa che colpisce i ricercatori è che – nonostante le condizioni particolarissime dell’ammasso – sembrano ritrovarsi le stesse proporzioni di stelle di massa piccola e grande che si riscontrano in zone assai “più tranquille” della Via Lattea…

Il grande Ammasso Arches è davvero peculiare: si trova a circa 25.000 anni luce da noi, in direzione della costellazione del Sagittario, e contiene circa un migliaio di stelle giovani e di grande massa. L’età tipica di tali stelle è di circa 2,5 milioni di anni, che per un oggetto stellare (stelle di massa piccola possono vivere tranquillamente diversi miliardi di anni) è davvero poco. E’ dunque un laboratorio ideale per studiare come nascono ed evolvono le stelle di grande massa in un ambiente “estremo” come quello densissimo al centro della nostra Via Lattea, dove devono fare i conti con fattori perturbativi causati dalla presenza di un gran numero di stelle vicine e  per il buco nero di grande massa che si trova poco lontano…

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Uno spettrografo più efficiente, per i cieli del sud…

Il Very Large Telescope dell’ESO è stato equipaggiato con il primo di una serie di strumenti di “seconda generazione”: signore signori, ecco a voi X-shooter! Dietro tale nome si cela un apparato in grado di registrare l’intero spettro di un oggetto celeste in una sola acquisizione (“in one shot”), dalle bande ultraviolette a quelle infrarosse, con elevata sensibilità.

L’illustrazione (Crediti: ESO) mostra i tre spettri prodotti simultaneamente del nuovo efficiente strumento chiamato “X-shooter”e montato al Very Large Telescope di ESO. X-shooter è in grado di registrare l’intero spettro di una sorgente celeste (in questo esempio è costituita da un quasar distante) in un “colpo solo”, dall’ultravioletto al vicino infrarosso, con una dettagliatissima risoluzione spettrale (nella figura, sull’asse delle ascisse sono riportate le lunghezze d’onda della luce della quale si ha lo spettro: notare l’intervello molto esteso di queste ultime)

Si ritiene che tale strumento – davvero unico – sarà particolarmente utile per lo studio dei lampi gamma, originati come sappiamo da oggetti in esplosione molto energetici e distanti.

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