La quarta sinfonia di Bruckner diretta da George Tintner. Difficile scappare dall’evidenza che questa conduzione sia il risultato di un rapporto d’amore. |
Idee e significati che passano attraverso gli stili, e i generi musicali sono davvero solo questo: divisioni di comodo |
Così in questa modalità la musica si.. stupisce di se stessa, e riflette su se stessa. Così la diversità dei suoni e la varietà di modulazioni espressive trova ampio spazio: un gioco squisito che è insieme riflessione sulle potenzialità del mezzo, e celebrazione della vita. E’ una modalità che trascende disinvoltamente la (discutibile) divisione in generi, e attraversa tutta la musica: esempi sono la ottava sinfonia di Beethoven, Tubular Bells II e QE2 di Mike Oldfield, la quarta sinfonia di Gustav Mahler… così, solo prendendo le prime cose che mi vengono in mente.
C’è poi l’altro polo espressivo, l’orientamento musicale che per comodità voglio chiamare bruckneriano. Dove vince l’urgenza e la profondità di quello che si deve dire, dove il senso di compromissione totale con il dramma umano, esige una attenzione e una focalizzazione differente. In cima non c’è più il gioco degli strumenti, c’è la omogeneità e la compattezza. Perché si va all’essenziale. Tutto suona come una cosa sola. Nessuno strumento vien fuori con virtuosismi od orpelli. Perché quando si parla della vita e della morte nessuno vuol mettere orpelli, nessuno ammette di perdere tempo. Bruckner – è stato detto – tratta l’intera orchestra come un unico strumento, come fosse un maestoso organo. Ecco perché le sue sinfonie sembrano più affini ad una Toccata e Fuga di Bach che a tante altre sinfonie ottocentesche o novecentesche.
Esempi di questa modalità musicale ce ne sono tantissimi, a cominciare da quasi tutto Bruckner, appunto. La musica sacra, per grande parte (per quel che ne capisco) è qui. Ma non solo: la nona sinfonia di Mahler ne è un altro brillante esempio. E quel capolavoro incompiuto e sublime della sua decima, è totalmente qui.
Prendiamo per esempio Dodo. L’apertura è… fantastica. Due note, una intro più breve non si può. Due note, e il senso di allarme, di allerta, lo ricevi subito. Dopo arriva il sintetizzatore, con quel suono ruvido quanto basta e dopo un po’ di ascolti ti accorgi che lo vuoi proprio così, che ti serve proprio così, esattamente così. E tutto si integra benissimo nel pezzo. A costo di sembrare irriverente (ma non intendo esserlo), accosterei quasi l’apertura di Dodo con quella della quarta di Bruckner. Diversissime, per carità. Eppure fecondate da una medesima urgenza espressiva.
Di Abacab abbiamo già detto, ma per profondità di testo e musica siamo sul bruckneriano spinto. Niente poi è meno superficiale e nello stesso tempo niente è più saporito di Abacab. Confrontatelo con – chessò – un brano collinsoniano come Sussudio. Ecco lì c’è il divertimeno, l’intrattenimento, la situazione particolare, il tocco descrittivo. Qui c’è l’affondo sulle questioni radicali dell’esistenza. Lì siamo mozartiani, qui torniamo totalmente bruckneriani.
E su tutto spicca la straordinaria qualità del modo di suonare la batteria. Se ti abitui a sentire queste canzoni, poi c’è il rischio che tornando ad ascoltare altro, non ti senti più soddisfatto. Per ascoltare un suono di batteria soddisfacente in maniera simile devi metterti a sentire musica Jazz, non c’è verso.
Perché l’avventura prosegue, e non è mai la stessa, e non è mai circoscritta.
E’ l’avventura umana, dopotutto.
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