Blog di Marco Castellani

Mese: Agosto 2013 Page 1 of 2

Tutti i fan di Cassini…!

Osservate bene l’immagine qui sotto. Ha una struttura ed una genesi veramente peculiare, ma in un senso non immediatamente evidente. Per capirlo bisogna descriverne un po’ la storia: è una storia spiccatemente collaborativa, che riguarda persone sparse in tutto il globo, per più di quaranta paesi diversi. Come avviene spesso al giorno d’oggi, il veicolo di contatto è stato Internet. L’occasione si è avuta il giorno 19 del mese di luglio, quando la sonda Cassini si è girata indietro, verso Terra, per acquisire una foto – molto da lontano – del suo pianeta di origine. Là dove tutta la sua storia ebbe inizio.

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Un incredibile mosaico della Terra… da vedere da vicino! (Crediti: NASA, JPL-Caltech, Cassini Project, Denizens of Earth)

Ora, bisogna dire che le immagini della Terra prese dallo spazio esterno non sono affatto comuni, anzi sono davvero rare. Per la precisione, abbiamo soltanto due immagini della Terra “vista da fuori”. La prima – e la più lontana – risulta quella acquisita 23 anni fa dalla sonda Voyager 1, alla rispettabile distanza di sei miliardi di chilometri da “casa”: è il famoso pale blu dot, il “puntino blu” diventato famoso perché legato al nome del famoso astronomo e divulgatore Carl Sagan (che ebbe l’idea di far girare la sonda verso Terra per scattare la foto del nostro pianeta). La seconda è quella scattata dalla sonda Cassini nel 2006, da una distanza di circa un miliardo e mezzo di chilometri. A queste appunto si è appena aggiunta quella presa da Cassini in questa occasione.

Come una forma di tributo da parte delle persone sulla Terra, la missione ha montato un gigantesco collage composto da immagini pervenuta via Twitter, Facebook, Flickr, Google+ ed anche con la più tradizionale posta elettronica, disponendo sullo sfondo una immagine del nostro pianeta. Volete sorridere? Provate a guardare il dettaglio delle singole immagini (potrebbe metterci un po’ per caricarsi, dopotutto è un file da 28MB): quante persone che salutano la sonda! Chi potrebbe ancora dire che lo studio del cielo non interessa alla “gente comune” ?

Fonte: APOD del 24 agosto 2013

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NGC 5195, il punto dell’interrogativo

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Image Credit: Hubble Legacy Archive, NASA, ESA – Processing: José Jiménez Priego

Potrebbe ben essere definito “il punto… del punto interrogativo” cosmico, formato appunto dalla galassia NGC 5195 e dalla ben più estesa compagna, la Galassia Vortice M51, già individuato dai disegni di Lord Rosse risalenti al 1845. E’ una galassia nana che copre una estensione di circa ventimila anni luce (le galassie nane – ben più piccole di giganti come la nostra Via Lattea o Andromeda – sono comunque di gran lunga le più abbondanti nell’universo).

Questa bella immagine, ospitata da APOD di oggi, viene dall’Hubble Legace Archive, una splendida vetrina dei “prodotti” del Telescopio Spaziale Hubble, tirati a lucido per l’occasione. Da farci un salto ! 😉

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La nostra casa nello spazio

Per quanto sia bello e suggestivo indagare anche le più remote zone dell’universo, non dobbiamo dimenticare mail che la nostra casa nello spazio, confortevole e davvero adatta a noi, è il Sistema Solare.

Abbiamo più volte parlato delle scoperte che vengono fatte ormai quotidianamente sui diversi pianeti e le rispettive lune: la quantità di sonde sparse “per casa” è ormai rilevante e ogni istante flussi ingenti di dati raggiungono la Terra e si mettono in coda per essere analizzati e digeriti dagli studiosi, come pure gustati subito dal pubblico dei non addetti ai lavori grazie alla diffusione dei siti scientifici, istituzionali (NASA, ESO, ESA, INAF… ) e non. Decisamente un quadro molto più intrigante e variegato di quello che poteva essere soltanto pochi anni fa!

Ecco che allora giunge gradito un bel video che con tecniche di “infografica” ci accompagna in una istruttiva passeggiata tra le varie ‘stanze’ della nostra ‘casa cosmica’. Iniziamo il viaggio dalla Via Lattea e subito precipitiamo nella nostra zona,  iniziando così il vero viaggio, passando in rassegna i diversi pianeti e (ri)scoprendone le caratteristiche principali.

Il video ha il commento in lingua inglese, ma per come è costruito a mio avviso risulta interessante e ben fruibile (perlomeno in diverse parti) anche per chi si limitasse ad osservare le animazioni, dunque lo consiglio senz’altro.

Quello che colpisce inizialmente, passando in rassegna i diversi pianeti, è l’evidenza di quanto le condizioni sulla superficie (ad iniziare dalla temperatura e dalle sue escursioni) siano quasi sempre decisamente “ostiche” per una eventuale colonizzazione umana.  Insomma la nostra casa nello spazio presenta diverse stanze che nessuno sano di mente avrebbe desiderio di andare ad abitare.

La nostra Terra è veramente quella che ci garantisce una condizione di vita migliore possibile: conviene dunque trattarla bene, per garantire a noi e alle generazioni future una vita migliore possibile, sul pianeta (per quel che ne sappiamo) migliore possibile…

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A spasso nell’universo

Come potrebbe essere un viaggio nelle regioni più remote dell’universo? Un team di astronomi si è preso la briga di verificarlo, stimando le distanze relative di più di cinquemila galassie in uno dei campi di galassie più lontano che sia mai stato indagato. Ci stiamo riferendo al famoso campo ultra profondo di Hubble  (HUDF, dall’inglese Hubble Ultra Deep Field).

Poiché la velocità della luce impiega un tempo molto lungo ad attraversare l’universo, la maggior parte delle galassie che si vedono nel video qui sopra sono rappresentate nel momento in cui l’universo stesso aveva appena una frazione dell’età corrente. Dunque sono ancora in formazione, ed hanno forme spesso peculiari, rispetto alle galassie “contemporanee”. Tanto per dire, non troverete certamente galassie a spirale completamente formate, tipo la nostra Via Lattea (con i suoi tredici e passa miliardi di anni di età, non si può proprio dire sia ancora in formazione), o come la galassia di Andromeda, una tra le galassie più estese tra quelle a noi vicine.

Verso la fine del video arriviamo a lambire le galassie più lontane del campo HUDF, che presentano un valore di redshift impressionante, superiore ad otto (caratteristica di oggetti tra i più lontani mai osservati). Questa classe di galassie giovani di bassa luminosità conteneva verosimilmente diverse stelle energetiche di grande massa, responsabili con la loro radiazione della trasformazione di molto gas residuo  in plasma caldo ionizzato.

Fonte: Astronomy Picture of the Day, 27 agosto 2013

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Forti venti su Venere

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Il tracciato mostra la circolazione dei venti su Venere. Crediti: ESA / from Khatuntsev et al, Cloud level winds from the Venus Express Monitoring Camera imaging, Icarus (2013); doi: 10.1016/j.icarus.2013.05.018 . Fonte ESA: http://spaceinimages.esa.int/Images/2013/06/Tracking_clouds_on_Venus .

La registrazione più dettagliata del moto delle nubi nell’atmosfera di Venere è stata fatta da Venus Express dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e ha rivelato che i venti sul pianeta sono stati costantemente intensi nel corso degli ultimi sei anni.

Venere è ben conosciuto per la sua curiosa atmosfera con alta rotazione, che gira intorno al pianeta in circa quattro giorni terrestri. Ciò è in netto contrasto con la rotazione del pianeta stesso, la cui durata del giorno è di 243 giorni.

Tracciando i movimenti delle caratteristiche distinte delle nubi nella loro sommità, a circa 70 chilometri dalla superficie del pianeta nel corso di un periodo di dieci anni venusiani (pari a sei anni terrestri), i ricercatori sono stati in grado di monitorare i modelli delle velocità dei venti a lungo termine.

Quando Venus Express è arrivata sul pianeta nel 2006 la velocità media dei venti delle nubi più alte tra la latitudine di 50° su entrambi i lati dell’equatore avevano un senso orario e di 300 km/h. I risultati di due studi diversi hanno rivelato che questi venti erano già notevolmente rapidi e sono diventati più veloci, aumentando a 400 km/h nel corso della missione.

“”Questo è un enorme aumento della velocità del vento forte già noti in atmosfera. Una tale ampia variazione non era mai stata osservata prima su Venere, e ancora non conosciamo il motivo per cui questo è avvenuto” ha affermato Igor Khatuntsev dallo Space Research Institute di Mosca e autore capo del paper che è stato pubblicato su Icarus.

Il team del Dr. Khatuntsev ha determinato che le velocità del vento, misurando come le caratteristiche nelle immagini si muovono tra i frame: oltre 45 000 caratteristiche sono state accuratamente monitorate a mano più di 350 000 ulteriori caratteristiche sono state monitorate automaticamente utilizzando un programma per computer.

In uno studio complementare un team giapponese ha utilizzato un proprio metodo di guida delle nubi automatizzato per ricavare i movimenti delle nubi: i loro risultati sono stati pubblicati nel Journal Geophysical Research.

In cima a questo aumento a lungo termine della velocità media del vento, tuttavia, entrambi gli studi hanno anche rilevato variazioni regolari legate al tempo locale del giorno e dell’altitudine del Sole sopra l’orizzonte e al periodo di rotazione di Venere.
Una oscillazione regolare si verifica circa ogni 4,8 giorni in vicinanza dell’equatore e si pensa che sia legata alle onde atmosferiche a quote più basse.

Ma la ricerca ha anche svelato alcune curiosità difficili da spiegare. “La nostra analisi dei movimenti delle nubi a basse latitudini nell’emisfero sud hanno mostrato che nel corso dei sei anni di studio la velocità dei venti è cambiata fino a 70 km/h su un tempo scala di 255 giorni terrestri, un po’ più di un anno su Venere” ha affermato Toru Kouyama dell’Information Technology Research Institute a Ibaraki, in Giappone.

Fonte ESA: Fast Winds of Venus are getting faster.

Sabrina

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Vita anche su esopianeti ghiacciati

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Una rappresentazione artistica di un esopianeta. Crediti: Missione CoRoT; CoRoT Science Team.

Sembra una specie di ironia cosmica, ma i pianeti orbitanti attorno a stelle più fredde hanno più probabilità a rimanere privi di ghiaccio rispetto ai pianeti attorno a stelle più calde. Questo è dovuto all’interazione tra la luce della stella e il ghiaccio e la neve sulla superficie planetaria.

Le stelle emettono differenti tipi di luce  (quella che va sotto il nome di radiazione elettromagnetica). Le stelle più calde emettono radiazioni energetiche nel visibile e nell’ultravioletto, mentre le stelle più fredde emettono luce nell’infrarosso e nel vicino infrarosso, con un’energia molto inferiore.

Sembra logico che il calore dei pianeti rocciosi di tipo terrestre venga a dipendere dalla quantità di luce che essi ricevono dalla loro stella, se rimangono costanti tutte le altre caratteristiche. Ma una nuova ricerca di un modello climatico portata avanti da Aomawa Shields, studente di dottorato presso di Dipartimento dell’University of Washington, ha dato una svolta sorprendente alla storia. Pianeti che orbitano attorno a stelle fredde al momento possono essere molto più caldi e meno ghiacciati delle loro controparti che orbitano attorno a stelle molto più calde, anche se ricevono la stessa quantità di luce.

Questo perchè il ghiaccio assorbe gran parte delle lunghezze d’onda più lunghe, ossia la luce del vicino infrarosso prevalentemente emessa da queste stelle più fredde. Questo è in contrasto con quanto si sperimenta sulla Terra, dove il ghiaccio e la neve riflettono fortemente la luce visibile emessa dal nostro Sole.

Intorno a stelle più fredde (le stelle di tipo M-nano), più luce il ghiaccio assorbe, più il pianeta diventa caldo. I gas serra atmosferici del pianeta inoltre assorbono questa luce del vicino infrarosso, aggravando l’effetto di riscaldamento.

I ricercatori hanno scoperto che i pianeti che orbitano attorno a stelle più fredde, con la stessa quantità di luce ricevuta dalla loro stella dei pianeti che orbitano attorno a stelle più calde, hanno di conseguenza meno probabilità di sperimentare i cosiddetti “snowball states” o “stati di palle di neve”, stati che portano al congelamento dei pianeta dai poli fino all’equatore.

Tuttavia, intorno a stelle più calde come le stelle di tipo F-nano, la luce visibile e ultravioletta della stella viene riflessa dal ghiaccio planetario e dalla neve in un processo chiamato ice-albedo feedback, o feedback ghiaccio-albedo.  Questo significa che più il ghiaccio riflette la luce, più il pianeta diventa freddo.

Questo feedback può essere così efficace nel raffreddamento che i pianeti di tipo terrestre intorno a stelle più calde appaiono essere più suscettibili di altri pianeti nell’entrare negli stati di palla di neve (“snowball states”). Questo non è necessariamente un male nel corso del tempo, dato che si ritiene che anche la Terra stessa abbia sperimentato diversi stati di palla di neve (“snowball states”) nel corso della sua storia, nei 4,6 miliardi di anni dalla sua formazione.

Shields e gli altri autori della ricerca hanno trovato che l’interazione tra la luce della stella con il ghiaccio superficiale di un pianeta è meno pronunciato in prossimità del bordo esterno della zona abitabile, dove si prevede che l’anidride carbonica si formi man mano che le temperature diminuiscono. La zona di abitabilità è quella regione di spazio attorno ad una stella che permette all’acqua di rimanere in uno stato liquido sulla superficie planetaria, dando così una possibilità alla vita di formarsi.

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Rappresentazione artistica di un exoplanet, un pianeta al di fuori del nostro Sistema Solare. Crediti: NASA.

I pianeti che si trovano al di fuori del bordo di questa zona di abitabilità avrebbero probabilmente una spessa atmosfera di anidride carbonica o di altri gas serra, che verrebbero a bloccare l’assorbimento di radiazioni sulla superficie provocando al pianeta una perdita di qualsiasi elemento vantaggioso prodotto dal riscaldamento dovuto al ghiaccio.

I risultati dei ricercatori sono riportati in un articolo pubblicato nel numero di agosto dalla rivista Astrobiology, e pubblicato online prima della stampa il 15 luglio 2013.

Shields ha affermato che gli astronomi a caccia di vita su altri pianeti privilegeranno i pianeti meno vulnerabili allo stato di palla di neve (“snowball state”), cioè pianeti che orbitanti attorno a stelle più calde. Ma questo non significa che verranno ad escludere i pianeti più freddi.

“L’ultimo episodio di palla di neve (“snowball episode”) sulla Terra è collegato all’esplosione della vita pluricellulare sul nostro pianeta” ha affermato Shields. “Se qualcuno avesse osservato la nostra Terra all’epoca, non avrebbe mai pensato che ci fosse vita, ma certamente ce n’era”.

“Perciò, sebbene abbiamo cercato pianeti che non fossero in stati di palla di neve (“snowball states”), non dovremmo ora cancellare del tutto i pianeti che sono coperti di ghiaccio, o che stanno per essere completamente ricoperti di ghiaccio. Ci potrebbe essere della vita, anche se può essere molto più difficile da riconoscere”.

Gli altri autori della ricerca sono Victoria Meadows, professore associato di astronomia; Cecilia Bitz, professore associato di scienze atmosferiche, Tyler Robinson, astronomy research associate; Raymond T. Pierrehumbert dell’University of Chicago e Manoj Joshi dell’University of East Anglia.

Fonte:
University of Washington: A warmer planetary haven around cool stars, as ice warms rather than cools
e
NASA Astrobiology: Life in the Universe Ice and Extrasolar Planet Climate .

Articolo:
Aomawa L. Shields, Victoria S. Meadows, Cecilia M. Bitz, Raymond T. Pierrehumbert, Manoj M. Joshi, and Tyler D. Robinson. The Effect of Host Star Spectral Energy Distribution and Ice-Albedo Feedback on the Climate of Extrasolar Planets, Astrobiology. August 2013, 13(8): 715-739. doi:10.1089/ast.2012.0961.
Disponibile su: http://online.liebertpub.com/doi/full/10.1089/ast.2012.0961 .

Sabrina

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Voyager 1 oltrepassa lo spazio interstellare

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Un modello della sonda Voyager. Crediti NASA-JPL-Caltech.

Un nuovo articolo pubblicato  recentemente sostiene che la sonda Voyager 1 della NASA è già entrato nello spazio interstellare. Il modello descritto in questo paper è nuovo e differente rispetto altri modelli utilizzati finora per spiegare i dati che la sonda spaziale ha inviato a Terra da più di 18 miliardi di chilometri di distanza dal Sole.

Il Project Scientist del Voyager/NASA, Ed Stone, del California Institute of Technology di Pasadena afferma:

“I dettagli di un nuovo modello sono già stati pubblicati e portano gli scienziati, che hanno creato il modello, a sostenere che i dati della sonda Voyager 1 della NASA possano essere consistenti con l’entrata nello spazio interstellare, nel 2012. Nel descrivere su piccola scala come le linee del campo magnetico del Sole e le linee del campo magnetico dallo spazio interstellare possano connettersi fra loro, i ricercatori concludono che il Voyager 1 abbia già rilevato il campo magnetico interstellare dal 27 luglio 2012. Il loro modello potrebbe implicare che la direzione del campo magnetico interstellare sia la stessa di quella che viene a dar vita il nostro Sole”.

“Altri modelli prevedono che il campo magnetico interstellare avvolga come una bolla il nostro Sistema Solare e tali modelli prevedono che la direzione del campo magnetico interstellare sia diversa da quella del campo magnetico solare all’interno. Da questa interpretazione, il Voyager 1 sarebbe ancora all’interno della bolla solare”.

“Il modello di connessione magnetica su piccola scala farà parte delle prossime discussioni tra i ricercatori che cercando di conciliare ciò che può accadere su piccola scala con quello su scala più grande”.

“La sonda Voyager 1 sta esplorando una regione che nessuna sonda umana ha mai esplorato. Continueremo ad osservare e cercare nuovi eventuali sviluppi nei prossimi mesi e nei prossimi anni, dato che Voyager esplora una frontiera inesplorata”.

Le sonde Voyager (1 e 2) sono state costruite e continueranno ad essere gestite dal Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena, California. Il Caltech gestisce il JPL per conto della NASA. Le missione Voyager fanno parte dell’Heliophysics System Observaotry della NASA, promosso dall’Heliophysics Divison of the Science Mission Directorate presso il Quartier Generale della NASA, a Washington.

Per ulteriori informazioni: http://www.nasa.gov/voyager e http://voyager.jpl.nasa.gov .
Fonte NASA: NASA Voyager Statement about Competing Models to Explain Recent Spacecraft Data .

Sabrina

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Lavori in corso (su Io)

E’ sempre in “beta”. Come ogni servizio web 2.0 che si rispetti, d’altra parte! Così potremmo definire la superficie di Io, il celebre satellite di Giove. Del resto, basta guardare la sua superficie: questo satellite gioviano ha il record singolare di essere il corpo del sistema solare più attivo dal punto di vista vulcanico.

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La bizzarra superficie di Io, luna di Giove. Crediti: Galileo Project, JPL, NASA

Quello che risulta dalla superficie è proprio l’impressione di un corpo in perenne (ri)costruzione, ad opera degli onnipresenti flussi di lava. Veramente singolare! Guardate anche la definizione spettacolare dell’immagine: è stata generata usando dati del 1996 della sonda Galileo della NASA, ed è centrata sulla superficie del satellite che “guarda” lontano dal pianeta gigante. E’ stata un po’ “migliorata” per far notare anche piccoli particolari, perfino di pochi chilometri. Rimarchevole l’assenza di crateri da impatto: questo ci fa pensare che l’intera superficie sia continuamente coperta da nuovi depositi, molto più rapidamente anche della formazione di nuovi crateri.

Qual è l’energia alla base di tutta questa esuberanza di Io? I dati suggeriscono che Giove potrebbe essere implicato, così come le altre lune. In particolare, le forti interazioni gravitazionali potrebbero ben essere alla base della fervente attività vulcanica.

Dunque, lavori (sempre) in corso su Io…

Sorgente originale: APOD del 4 agosto

 

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