Licia Troisi non ha bisogno di molte presentazioni, e non è certo un modo di dire. Scrittrice fantasy in assoluto tra le più note in Italia (e diffusa anche all’estero), autrice della saga del Mondo Emerso, di Pandora, e molti altri libri che sono diventati autentici best seller, e che contano ampissime schiere di appassionati lettori. Non potete gironzolare in una libreria italiana senza incontrare i suoi volumi, riconoscibili fin dalla grafica  – sempre molto curata  – delle copertine. Arriva adesso in libreria il suo primo libro divulgativo, Dove va a finire il cielo.

LiciaTroisiEcco: forse non proprio tutti sanno che Licia Troisi è anche e prima di tutto una scienziata. Il percorso scientifico è stata infatti la sua prima attività, tanto che si è definita qualche anno fa una astrofisica che scrive fantasy: così titolava un post per il Carnevale della Fisica #27 ospitato proprio su questo sito.  Un percorso di tutto rispetto, peraltro. Si è laureata in Fisica con specializzazione in Astrofisica nel 2004 all’Università di Tor Vergata, con una tesi sulle Galassie Nane (quante cose in comune, cara Licia…)  e ha lavorato tra l’altro presso l’Osservatorio Astronomico di Roma. Domani sera (venerdì 11) sarà proprio in Osservatorio per presentare il suo ultimo libro, Dove va a finire il cielo (e altri misteri dell’universo). Un libro diverso dalla sua produzione “tradizionale”, dove Licia attraversa la sua passione per l’astronomia, facendone – se possiamo dire così – un racconto.

La figura stessa di un astrofisico che sia a pieno titolo nella produzione letteraria, è per noi e per il tipo di approccio alla ricerca che promuoviamo (come un sapere amico e in continuo e produttivo interscambio con gli altri modi di fare cultura) una persona di grande interesse, perché lavora – direi quasi inevitabilmente – a colmare questo divario ancora esistente tra due modi di fare cultura, residuo di uno schematismo talvolta ancora propagato nei media e nel sentire comune, ma ormai (grazie al cielo!) senza più alcuna vera ragion d’essere.

DoveVaCieloAbbiamo dunque approfittato della gentile disponibilità di Licia, per porle tre domande, sui temi che più ci stanno a cuore. Qui di seguito potete leggere la piccola intervista: piccola credo nell’estensione, ma di grande interesse. Proprio per quello che arriva a dire su letteratura e scienza, l’Autrice di Dove va a finire il cielo.

La nostra prima domanda, per un libro sul cielo, è abbastanza.. terra terra: puoi dirci quando hai maturato l’idea di scrivere un libro divulgativo? Soprattutto, ci piacerebbe sapere se è – diciamo – la realizzazione di un antico desiderio o se solo di recente hai definito i contorni specifici di questa impresa, e che fattori (interni o esterni) abbiamo giocato nella decisione.

Era una cosa che volevo fare da un po’ di tempo, almeno cinque o sei anni come idea più concreta, ma forse anche da prima. In effetti con la divulgazione scritta mi sono un po’ cimentata sul mio blog, sul quale per qualche tempo ho tenuto una rubrica, Astronomica, in cui rispondevo a domande o commentavo le notizie astronomiche del giorno. Poi ho lavorato per tre anni come divulgatrice all’Osservatorio Astronomico di Roma, quindi è un vizio di vecchia data. Non sono riuscita a farlo prima perché i ritmi della mia scrittura sono piuttosto sostenuti, e trovare il momento buono per tentare una cosa nuova come questa non è stato facile. Quest’estate ci è sembrato quello giusto perché la mia ultima saga di più ampio respiro, I Regni di Nashira, si era appena conclusa, e quella nuova, Pandora, era appena avviata. Così mi sono buttata.”

Da appassionati artigiani della divulgazione, vorremmo ora entrare (in punta di piedi per non disturbare…) nel tuo laboratorio. Cosa puoi dirci della modalità di stesura di questo saggio? Sappiamo bene che hai scritto molti libri di narrativa di grande diffusione, e dunque siamo certi tu abbia una tua collaudata modalità di lavoro, in questo ambito. Siamo curiosi però di sapere quanto la diversa materia di questo libro abbia influenzato la modalità di approccio all’opera. Puoi dirci qualcosa, su questo?

“Diciamo che la parte più complessa è stata trovare una voce; di libri di divulgazione ce ne sono tanti e moltissimi ottimi, per cui occorreva trovare una chiave per declinare la materia in modo personale. Finora mi ero sempre misurata con la narrativa, e non avevo provato la saggistica di ampio respiro. Ho dovuto fare un paio di prove prima di capire che la soluzione era sfruttare proprio la mia vena narrativa, e raccontare la scienza come fosse un contenitore di storie: la mia, in primis, di studentessa e ricercatrice, e quella di tutte le persone che il cielo hanno ammirato e studiato. Trovato questo, la stesura è andata abbastanza liscia; ho avuto un paio di difficoltà su alcuni argomenti un po’ più ostici (l’inflazione su tutti), e ho penato non poco per ritrovare le fonti di tutti i dati e le citazioni che ricordavo solo a spanne. Ho avuto però anche un ottimo editor scientifico in Luigi Pulone, ricercatore dell’Osservatorio di Roma, che mi ha dato molti spunti interessanti.”

A tuo avviso, in che senso e in che misura la divulgazione della moderna indagine del cielo può assumere i tratti specifici di un “racconto”? Quanto spazio c’è per la fantasia nello studioso che descrive il cielo, o che appena lo indaga? Letteratura e scienza sono veramente campi così diversi, o forse (azzardo) lo sono stati e ora pian piano si apre – anche con iniziative come il tuo libro – una stagione nuova? 

“Credo siano cose diverse, ma assolutamente non contrapposte, e che soprattutto si possono ibridare spesso. Quella del racconto io credo sia un modo per veicolare un contenuto, uno dei più efficaci, nella mia esperienza. Ci sarà del resto una ragione se il racconto di storie sia una costante dell’avventura umana, dalla preistoria a oggi. In questo senso è possibile “raccontare” la scienza come fosse una storia, perché ogni scoperta, ogni teoria, si tira dietro appunto molte storie: quelle degli scopritori, quella della teoria, a volte anche i miti di culture lontane. L’evoluzione stellare, che è il mio campo, ad esempio, è una storia: la storia dell’eterna lotta tra la pressione di radiazione delle reazioni termonucleari e la forza di gravità. Ripeto, è una questione di come si vuole veicolare un certo contenuto. In questo senso, non c’è grande differenza con la narrativa. 

D’altronde, la mia esperienza è che la fantasia sia un fattore importantissimo nell’indagine scientifica. Qui in genere mi piace citare Carlo Rovelli, che nelle sue Sette Brevi Lezioni di Fisica dice appunto che la scienza è prima di tutto una questione di visione e immaginazione. E mi torna sempre in mente il giovane Einstein che immagina di trovarsi con una torcia a cavallo di un raggio di luce. La fantasia è necessaria per produrre idee nuove che riescano a spiegare fenomeni nuovi. Senza capacità di immaginare non c’è progresso. 

Io spero che in futuro non si debba più assistere a questa divisione in compartimenti stagni che vediamo oggi nella cultura italiana: scienza di qua, figlia di un dio minore, e letteratura nell’empireo, una cosa che fa male tanto alla prima che alla seconda. In parte ho scritto questo libro anche per dire che la scienza, come tutti i prodotti dell’intelletto umano, è cultura, e di altissimo livello.”

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