Blog di Marco Castellani

Mese: Novembre 2015

Scienziato di Cassini, per un giorno?

È bello ed incoraggiante, in questa epoca, che vengano aperti dei “ponti” percorribili ed amichevoli al fine di stringere connessioni, per certi versi ancora troppo vaghe, tra la ricerca scientifica ed i tradizionali percorsi didattici. E’ davvero bello che la meraviglia che muove lo scienziato nel suo lavoro (almeno come impulso iniziale) non rimanga più confinata in un ambiente ristretto, ma venga invece “divulgata” e trasmessa, quasi per una sorta di contagio, in un ambito più vasto possibile. 

cassini_logo_blue_275Di fatto, l’esplorazione dello spazio, e soprattutto del Sistema Solare, negli ultimi anni – anche grazie alla grande quantità di immagini e dati provenienti dalle sonde, sta registrando degli enormi balzi in avanti. E’ davvero una entusiasmante epopea, alla quale si può partecipare per larga parte attrezzati soltanto di curiosità e di una normale connessione ad Internet.

In senso più vasto, e riprendendo così il tema di un post di qualche giorno fa, qui a GruppoLocale pensiamo che la diffusione della scienza – nella sua corretta e più nobile accezione – rivesta una una sua intrinseca valenza come atto di pace, e questo ci motiva ancora di più nel registrare e diffondere iniziative come questa che presentiamo, il concorso Cassini Scientist for a Day.

Come si legge dalla pagina di ingresso del sito, “Il concorso Cassini Scientist for a Day è una gara internazionale, indetta dalla NASA e promossa in europa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), rivolta ai ragazzi di scuole medie e superiori. Ogni anno i ragazzi hanno la possibilità di avvicinarsi al lavoro dello scienziato studiando tre immagini prodotte dalla missione Cassini, che si trova in orbita attorno a Saturno dal luglio del 2004.

La missione Cassini- Huygens è una missione interplanetaria che ha lo scopo di studiare in dettaglio il sistema di Saturno, comprese le sue lune ed i suoi anelli. E’ stata lanciata nel 1997, ed è la prima missione ad entrare nell’orbita del pianeta con gli anelli, come è avvenuto il primo luglio del 2004. Il satellite in questi anni ha inviato una gran mole di preziose immagini e di dati di indubbio valore, e anche qui su GruppoLocale ce ne siamo più volte occupati. Dunque a pieno merito una missione così importante viene scelta come tema di un concorso per le scuole.

Intelligente l’approccio scelto, quello di rendere i ragazzi protagonisti più possibile senza intermediari, mettendoli direttamente a confronto con una immagina astronomica “di lavoro”. Questo, a mio avviso, avvicina davvero il loro compito a quello di un “vero” scienziato, senza appesantire l’approccio con niente che non sia meno che essenziale.

L’edizione di quest’anno, che mi vede direttamente coinvolto in una più che eccellente giuria (dico, si saranno mica sbagliati ad includermi?) si incentra su tre diversi target che i ragazzi sono chiamati a scegliere, giustificando in forma scritta il motivo per cui l’obiettivo selezionato conseguirà  a loro avviso i risultati scientifici più interessanti.

È sufficiente elaborare un breve testo (massimo 500 parole, ovvero molto meno della lunghezza del post che state pazientemente leggendo…) ed inviarlo da un apposto indirizzo e-mail entro il 26 febbraio del prossimo anno. In palio ci sono gadget della missione Cassini, forniti da NASA ed ESA, e la pubblicazione sui loro siti web. Vi invito in ogni caso a consultare il regolamento del concorso per fugare eventuali dubbi!

Vale la pena ripercorrere seppur brevemente i target selezionati per il concorso, anche perché il loro indubbio interesse astronomico travalica perfino la specifica contingenza del concorso.

Il primo target, che vedete anche riprodotto qui di seguito, è una bella immagine di taglio degli anelli di Saturno, con tre delle sue lune ben visibili, ovvero Teti  Encelado e Mimas

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Il primo target del concorso…

L’immagine che vedete è ottenuta tramite un simulatore software, ma verrà realmente osservata da Cassini tra pochissimi giorni, ovvero il 3 dicembre prossimo venturo.

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Ed ecco Il secondo target…

Il secondo target è  invece relativo ad una immagine del pianeta Giove presa a circa un milione e mezzo di chilometri di distanza. A questa distanza Giove – nonostante la sua grandezza sia tale da poter ospitare mille volte il pianeta Terra – appare ancora come un piccolo puntino, nondimeno è importante per la NASA poter acquisire foto anche da così lontano, al fine di meglio preparare le future missioni.

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Ed infine il terzo target…

Il terzo ed ultimo target  che appare sul sito del concorso è una simulazione di Teti che passa dietro alla luna chiamata Rea; la simulazione è necessaria in quanto la sonda Cassini non dispone di alcuna videocamera a bordo. Rea è un corpo celeste di notevole importanza (basti pensare che è costituito per tre quarti di ghiaccio d’acqua!), oltre ad essere la seconda luna di Saturno per dimensioni.

Bene, il materiale di lavoro non manca di certo. Con queste tre immagini – vere e proprie istantanee dalla ricerca più attuale – i ragazzi interessati si possono ritrovare ad operare un lavoro straordinariamente simile a quello dello scienziato. Certo, con mezzi e conoscenze diverse, ma con una metodologia che comunque vi si avvicina parecchio. Ed è questo ciò che conta, a mio avviso, perché è ciò che forma la mentalità, e predispone soprattutto alla curiosità di conoscere e di apprendere.

Perché l’esplorazione dell’universo è certo una impresa tecnologia da affrontare con grandi capitali ed estese collaborazioni, ma è anche e soprattutto un enorme e brillante atto creativo dell’uomo. Un atto al quale può prendere parte ognuno di noi.

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Silenzio (qualcosa riprende a respirare)

Forse la cosa che più è decisiva, per le nostre sorti e per quelle del mondo, è il silenzio. Dopo fatti come questo, dovrebbe esserlo. E’ sconfortante in un certo modo vedere come i social network si animino nei confronti tra teorie avverse e speculari su come sconfiggere il terrorismo, una volta per tutte. 
Se allora scrivo qui è soltanto per approfondire questo silenzio, benché appaia paradossale. Cerco parole che non aggrediscano questo silenzio necessario, ma possano accomodarvisi dentro, trovare spazio nella riflessione. Trovare un nido.
Sgombro il campo da equivoci. Non voglio dire cosa fare. Veramente, il lunedì ci svegliamo tutti allenatori. Questa volta ci siamo destati nientemeno che come esperti di politica internazionale. 
Quello che so come uomo, quello che sperimento, è l’esigenza di un senso più profondo, di una appartenenza più radicale. Per sconfiggere la paura, esattamente. La paura io la riesco a sconfiggere, a mitigare, soltanto in una relazione. Le forze non le trovo da me stesso: le mie sempre emergenti pretese di autonomia mi lasciano appena sensazioni di impotenza e strascichi di angoscia. La relazione con l’altro (affettiva, terapeutica, spirituale) mi rimette in pista, benché acciaccato. Ancora e di nuovo in corsa per una ipotesi di senso, di significato.

Cercare una risposta adeguata alla domanda sul significato della nostra vita è l’unico antidoto alla paura che ci assale guardando la televisione in queste ore, è il fondamento che nessun terrore può distruggere

In questa frase di Juliàn Carròn sento emergere una verità che preme perché io la riconosca. Che io la accolga come ipotesi di lavoro. Nella confusione totale, che ci fa tutti un po’ più infelici e rischia di farci anche diventare più cinici, è quello che sento contenga un punto di partenza reale. Di ripartenza
Da Parigi, Maddalena scrive “Ho bisogno di capire come stare di fronte a questa realtà che mi è data adesso, in questo momento in cui la mia priorità era riposare. Di una cosa sono certa, che questi fatti mi sono dati da guardare ora, proprio a me che pensavo di starmene tranquilla” 

Ecco, più che di analisi geopolitiche, ho prima di tutto lo stesso bisogno di questa ragazza, di capire come stare di fronte a questa realtà.
Riconoscere questo bisogno, riconoscere il mio immenso bisogno di tutto, può essere il mio primo passo, perché il senso si riaffacci sull’orizzonte terso delle cose, nella purezza di un desiderio su cui appoggia il mio cuore. Perché io possa tornare a prendermi cura (di me stesso, delle cose nel mondo, delle cose del mondo)La cura è anche riconoscere che il pensiero ragionante che si concepisce autonomo da tutto (quindi solo) non è palcoscenico neutrale, ma è forse già una scelta di campo, come diceva bene un certo Eugenio Montale già nel 1975:
Terminare la vita
tra le stragi e l’orrore 
è potuto accadere per l’abnorme sviluppo del pensiero
poiché il pensiero non è mai buono in sé.
Il pensiero è aberrante per natura. 
Era frenato un tempo da invisibili Numi, 
ora gli idoli sono in carne ed ossa
e hanno appetito.
Noi siamo il loro cibo. 
Il peggio dell’orrore è il suo ridicolo.
Noi crediamo di assistervi imparziali
o plaudenti e ne siamo la materia stessa.
La nostra tomba non sarà certo un’ara
ma il water di chi ha fame ma non testa.

Non si tratta qui certo di darsi croci addosso, ma di capire cosa possiamo fare per essere più felici. Così Marco Guzzi può scrivere quello che noi tutti spesso dolorosamente avvertiamo, nella vita ordinaria…

Siamo una civiltà che non ha più la testa. E da tempo ormai. Sballottata tra orrore e pubblicità..

E vi ritrovo pienamente abitante in queste parole il grido di senso di Maddalena, la domanda accorata di capire come stare di fronte a questa realtà.
E’ qualcosa di sommesso, a cui fare appello ora. E’ un silenzio che ritorna, che può tornare. Perché questo sangue non sia stato versato per nulla – ora lo dico – dobbiamo essere molto fermi e decisi: dobbiamo riprendere la poesia del mondo. E’ una ipotesi di un ritorno ad un modo diverso di guardare, di respirare. Di vivere, di dormire, di amare.
Qualcosa è già in opera, per questo, forse. Non si tratta allora di inventare qualcosa, ma di riconoscerlo già operante. Non dobbiamo essere cinici, ma aprici a qualcosa che forse già si muove. Qualcosa che deve essere poetico e risanante insieme. Risanante perché poetico. Chiude sempre Marco il suo intervento su Darsi Pace, con una frase che mi risuona dentro piacevole e delicata come un verso, un anticipo di questa poesia che deve venire, per la quale posso – forse – lavorare…

Altrove qualcosa di vivo riprende di notte a respirare… 

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Scienza e pace

No, non è una variazione estemporanea del titolo del ben noto romanzo di Tolstoy, Guerra e PaceE’ piuttosto una articolazione che – io penso – è più che mai urgente ripercorrere e rinforzare. Soprattutto adesso, soprattutto all’indomani dei fatti di Parigi, così tragici e apparentemente assurdi che fanno preferire un silenzio doloroso ai peraltro sempre più inutili esercizi retorica. 

Non è quindi di questi fatti che vorrei parlare qui. Piuttosto, vorrei esprimere come e in che modo io mi senta interrogato dalle provocazioni che provengono da questo travagliato periodo. E intendo, io come scienziato. 

Fare scienza davvero è un atto di pace?

Fare scienza davvero è un atto di pace? E’ lecito chiederlo, è lecito lavorare per una ipotesi di risposta. Come qui.

Se una cosa si può dire, difatti, è che l’urgenza attuale, la domanda di un senso, sempre più lancinante ed improrogabile,  porta ogni persona – inevitabilmente – ad interrogarsi su come può il suo esistere, il suo lavoro, la sua opera, aiutare a ricercare e ritrovare un orizzonte di positività su cui semplicemente poter esistere, fare progetti. Vivere.

Per uno scienziato può voler dire scendere alle radici della sua attività, capire che quello che fa in laboratorio, o davanti al computer, non rimane confinato in un ambito ristretto, ma in qualche modo è connesso all’universo intero. Come del resto ogni altra attività.

E la scienza, vorrei dire la scienza praticata, è fondamentalmente pace. Certo, lo so anche io che la scienza ha prodotto cose come la bomba atomica. E’ innegabile. Ma rimango convinto che l’attività scientifica, sopratutto per come si qualifica al giorno d’oggi, è una pratica intrinsecamente portatrice di pace.

Vorrei spiegarmi.

La scienza oggi è inevitabilmente transazionaletransculturale. La scienza vera, cioè quella che ha fatto la scelta di campo di appoggiarsi a metodi di controllo e di verifica, che procede secondo la falsificabilità popperiana delle sue teorie, è così. Non è un pensiero, o una aspirazione. Lo vedo ormai da anni, nella pratica quotidiana.

Non è che la scienza sia fatta da persone migliori. Sono persone come tutte, se ci fosse bisogno di specificarlo, con le loro meschinità e le loro miserie. Sono persone come me che sto scrivendo, come te che leggi.

Il punto è un altro. E’ l’oggetto in se stesso – la ricerca scientifica – che detta il metodo. Ed è un metodo che incoraggia intrinsecamente la collaborazione internazionale, che spinge a non fermarsi su valutazioni di differenza di razza, di etnia, di religione, di visione della vita.  Chi è innamorato della scienza, a chi è appassionato, se ti incontra, interessa se quello che hai da dire lo aiuta a meglio comprendere un problema. Se puoi portare un contributo, indipendentemente dal colore della tua pelle. O da dove vieni.

La rete informale di ricercatori di uno stesso ambito, è sovente molto larga e molto efficiente (io lo tocco con mano nel progetto ESA-GAIA, in cui lavoro, ma gli esempi non mancano di certo). Copre un gran numero di nazioni di orientamenti più diversi. Predilige la tranquillità politica e la pace. E non per farsi bello davanti al mondo: piuttosto, perché così  può – pragmaticamente – operare meglio e più fruttuosamente. E questo è sempre più vero più passa il tempo, perché i grandi progetti attuali (satelliti astronomici, esperimenti di fisica teorica, etc…) coinvolgono tipicamente un esteso numero di persone e sono collaborazioni tra una notevole molteplicità di stati sovrani. E possono essere condotti a termine solo se queste persone collaborano efficacemente tra loro.

Lavorando nella scienza in maniera seria, si è dunque inevitabilmente forzati a scambi ed interazioni con persone che sono tra loro le più diverse. Si è spesso condotti a seguire congressi e riunioni in diversi paesi. Si impara – per forza, non per virtù – a collaborare con persone bianche, nere, gialle, con il turbante, con il crocifisso o la tonaca, o senza niente di tutto ciò. E’ richiesto appena un acconsentire ad un insieme minimale di regole di convivenza, democrazia e scambio, e tutto il resto viene da sé.

Perché non sembri idealistico, possiamo anche mettere in conto che in questo convivono anche le consuete rivalità tra gruppi concorrenti, le umanissime meschinità e gli altrettanto umani giochi di potere, e quant’altro potete immaginare (a livelli diversi, a seconda delle persone e degli ambienti).

Con tutto questo, l’autentica passione per la scienza, per la comprensione profonda della struttura del mondo, favorisce la pace e la tolleranza – perché è possibile perseguire l’obiettivo soltanto con la pace e la tolleranza.

Facendo scienza davvero, lavoriamo per la pace. Prendendo sul serio il nostro lavoro, scopriamo di fare automaticamente la nostra parte per il buon ordine dell’universo.

Ma questo, capisco, non è limitato appena all’opera dello scienziato. E’ l’opera dell’uomo, nel senso più bello ed autentico del termine.

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