Che poi, la cosa mi sembra questa, e anche abbastanza semplice, dopotutto. C’è questo buco, questo enorme buco dentro di me. Ora, il fatto è che – detto in maniera spiccia, saltando i passaggi – solo Cristo riempie questo buco. Non è questione qui di coerenza o di essere all’altezza o di tutti gli sbagli che si fanno, e cose così. E’ una questione semplicemente – con tutti gli sbagli possibili – di “fisica del buco”, diciamo. 
Voglio accogliere questo annuncio, almeno come ipotesi di lavoroSolo Lui riempie questo buco, attraverso la modalità storica concretissima che ha scelto per raggiungermi. Se questo, detto così spiccio, è vero, si capisce che accettando questo, accomodandosi in questo (con tutte le mie imperfezioni, le ben note reiterate defezioni, etc…) si inizia a trovare un po’ di pace, e si vedono le cose in modo diverso e più libero. 
Più libero, proprio: perché rifiutando questo si rimane con il problema di riempire il buco (luce rossa lampeggiante sul cruscotto, in pratica), e non c’è da illudersi tanto, perché per quanto ci possiamo pensare più liberi, in realtà siamo molto molto condizionati – perché il nostro primo e direi unico obiettivo sarà inevitabilmente quello di riempire il buco, di trovare qualcosa o qualcuno che riempia finalmente questo enorme buco, che sani questa ferita sanguinante. Così per paradosso pensando di essere più liberi, va a finire che lo siamo molto molto meno.
Certo c’è da mettere in conto la resistenza egoica contro questa cosa, perché il buco viene riempito non secondo un nostro progetto, una nostra costruzione, una nostra sapienza. Viene riempito essenzialmente da una nostra resa. Da un nostro che umilissimo riecheggia quel Sì che la tradizione cristiana proprio oggi festeggia.
Siccome c’è questa resistenza non basta assentire a questa linea di pensiero, ci vuole un lavoro attivo, quotidiano. Che comprende le declinazioni pratiche che già conosco, come la Scuola di Comunità,  e il percorso di Darsi Pace. Cose che non ho scelto per mia profondità di visione, beninteso: cose in cui sono stato guidato. 
E può darsi si tratti perfino di dire ad un percorso psicologico, perché non si sia tentati dallo spiritual bypassing, ovvero di coprire problemi irrisolti – sui quali invece si può e si deve lavorare – sotto un rigido cappello devozionale. Una sorta di tentazione di impazienza dalla quale mette in guardia anche un monaco come Anselm Grun (da lui ho preso il termine, che mi sembra molto efficace).
E certo comprende anche la meditazione, la preghiera. 
Senza scandalo, è necessaria una continua ripresa. Coraggio, pazienza, umiltà, perché non si tratta di incantesimi strani, si tratta di materia lavorabile, malleabile. Addolcibile.

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