Blog di Marco Castellani

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In cerca di un modello…

Lo abbiamo visto più volte, lo abbiamo toccato con mano anche nell’evento recente della rilevazione delle onde gravitazionali, di cui si è ampiamente parlato: la gente ha fame di informazione scientifica. in particolare, per l’ambito più prettamente astronomico, ha fame di una informazione che la aiuti a comprendere l’Universo, a capire cioè la natura e la forma dell’ambiente all’interno del quale – in senso più globale – è stata chiamata a vivere.

Se ci pensiamo, è una cosa assolutamente naturale. In ogni tempo e in ogni epoca le persone hanno posseduto un proprio modello di universo, uno schema comprensibile dove poter collocare idealmente il proprio percorso di vita. Poco importa, da questo punto di vista, se il modello a cui si riferivano risulti – alla luce della moderna cosmologia – decisamente inattuale, palesemente falsificabile. Certo, potremmo legittimamente sorridere ripensando al modello a guscio di tartaruga dell‘antica mitologia cinese: del resto, oggi quasi nessuno penserebbe più di poter vivere davvero sul dorso di una tartaruga gigante. O anche, che il Sole derivi, come formazione, dall’occhio destro del gigante Pangu.

Un modello fisico dell'universo ci trasporta dal mito alla scienza. Con che conseguenze?

Un modello fisico dell’universo ci trasporta dall’immagine mitica alla scienza empirica. Con quali conseguenze?

Però il punto non riposa tanto nella moderna facilità nel falsificare il modello stesso. Il punto è che un modello qualsiasi è – per la mente – molto meglio di nessun modello. Un modello di universo è uno schema che rende il cosmo pensabile, prima di tutto. Affrontabile dall’intelletto umano. Il cosmo, filtrato e concretizzato dal modello stesso, esce ipso facto dal novero vaporoso e intangibile delle cose che non si possono dire, diventa pronunciabile. Il modello così si innesta in un percorso ove potrà essere perfezionato, integrato, perfino sostituito con un altro, in una scala che probabilmente – almeno finché esiste la specie umana – non vedrà mai l’ultimo gradino.

Si potrebbe dire, in altri termini, che l’universo è fatto per essere pensato. Per essere pensato è necessario un modello, qualcosa che sia – come dicevamo – lavorabile dalla mente. Del resto, nell’approccio scientifico in senso più vasto, il modello è proprio l’interfaccia necessaria ed insostituibile attraverso la quale possiamo (ri)appropriarci del reale, in senso squisitamente misurabile: possiamo ricondurlo nell’ambito di ciò che comprendiamo. Possiamo pensare un modello come ad una rete di rapporti logici stesa sopra la realtà, che ci guida e ci aiuta nel percorso della sua progressiva comprensione.

Il punto è che – per la prima volta nella storia umana – è come se non avessimo alcun modello di Universo. Per essere più precisi: è chiaro che ce lo abbiamo, in realtà. E’ che non è più patrimonio delle persone comuni, in sostanza. E questo, proprio quando tale modello è così definito ed articolato come non lo è stato mai. Di più, con Einstein il modello cosmologico è entrato a pieno titolo nell’ambito dell’empirismo scientifico, aderendo ai suoi canoni e sposando la sua impostazione ideale, il suo schema di pensiero.

Con questo ha abbandonato definitivamente il territorio del mito, territorio che è stato suo per molti secoli. E’ stato un passaggio certamente necessario, portatore di una grandissima quantità di ricadute pratiche e teoriche. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che insieme ai benefici questo ha portato anche alcuni problemi. Problemi che vanno esaminati: non certo per tornare indietro o per discutere sterilmente la linea di sviluppo della scienza, ma per tentare un recupero di alcuni aspetti del sapere che riportino, in prospettiva, verso una scienza meno tecnicistica ma più organica al sistema umano dei saperi.

Il primo e il più grave dei problemi è stato – come si accennava – il progressivo scollamento dal senso comune delle persone. I modelli mitici di Universo erano – ad un primo livello – tutti facilmente comprensibili, erano assimilabili dalla gran parte delle persone. Erano proprio elaborati per essere comprensibili. Ripeto, non si tratta in questa sede di discutere quanto fossero improbabili (agli occhi moderni), non è questo il punto. Si tratta di vedere quanto, con la loro comunicabilità, potessero facilmente entrare in circolo nelle persone, formare una base di ragionamento e di esperienza comune, costituire un framework entro cui, idealmente, la vita delle persone poteva innestarsi, crescere, prosperare.

Ecco, questo forse si è perso, nell’epoca moderna. L’uomo di oggi, che non sia uno scienziato, guarda con sfiducia e sospetto alla possibilità di comprendere ancora la natura intima del cosmo. Di poter dire una parola sull’universo. Perché di fatto, tale natura – sposando necessariamente un formalismo matematico complesso – è diventato un appannaggio esclusivo di alcuni iniziati, ai quali solo sembra ormai riservata la possibilità di sapere davvero come questo Universo realmente sia.

C’è dunque un urgente bisogno di trasmettere al pubblico più vasto una nozione ragionevole di come pensiamo sia adesso l’universo. C’è bisogno, come primo approccio, di mettere da parte il rigore delle formule matematiche – sempre indispensabile a chiunque voglia incamminarsi verso un serio lavoro di conoscenza e verifica – per sporcarsi le mani con una descrizione in forma di racconto che riprenda il fascino degli antichi miti, rivestendolo di conoscenza moderna.

Descrizione raccontata che sarà sempre e invariabilmente perfettibile, e sanamente incompleta. Da diffondere e raccogliere con grande umiltà e accorta consapevolezza del limite intrinseco di questa processo di traduzione in parole, di declinazione in racconto di ciò che per sua natura si esprime compitamente attraverso il mezzo dell’espressività matematica, chiave di accesso indispensabile per operare pienamente con il modello di riferimento.

Un procedimento sempre sanamente rischioso perché – ad uno sguardo superficiale – assai facilmente assimilabile a tante pulsioni new age che pure tentano di sopperire ad un bisogno reale, quello della comprensibilità del mondo e del nostro ruolo all’interno di esso. Tentazioni che non intendiamo qui demonizzare, ma registrare appunto come evidenza sempre più stringente della necessità di un percorso serio e meditato, da svolgersi con competenza ed accortezza. Un percorso che porti la scienza ad essere ancora raccontabile. 

Perché il racconto, la magica concatenazione di parole che gode di un potere di seduzione antico e potente, è per l’uomo la forma suprema di conoscenza ed insieme di fiducia nella struttura del reale, struttura  che sia ancora comprensibile, ed in fondo, ancora amica.

L’evento delle onde gravitazionali ha messo tutti di fronte al fatto che la gente vuole sapere. Vuole sapere dell’Universo, vuole capire cosa si muove anche nei fenomeni più lontani dalla vita comune, come lo scontro e la fusione di buchi neri giganteschi, che genera queste elusive increspature del tessuto spaziotemporale. Vuole capire e partecipare al destino del cosmo.

E’ dunque una sfida attualissima. Ed è una sfida che noi scienziati non dobbiamo lasciar cadere.

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Tutti nell’onda. Insieme.

Ed eccomi qui, reduce da una interessante mattinata che, qui in Osservatorio, è stata integralmente dedicata alle onde gravitazionali, con una declinazione che ha compreso una parte più strettamente divulgativa, sviluppata con l’intento di poter essere offerta a tutti (anche al personale amministrativo, che è giusto e doveroso venga coinvolto in qualcosa che è strettamente connesso al loro operare quotidiano), e una scansione di alcuni seminari specifici, dedicati a vari aspetti di questo – possiamo ben dire – nuovo filone di ricerca. 

Non è questa la sede per una disamina dettagliata dei vari interventi, e dunque me ne asterrò, evitando anche di menzionare i nomi dei vari – e pur capaci – relatori. Questo perché il mio intento è altro rispetto ad una mera cronaca, ed è segnatamente quello di trasmettere il senso di eccitazione e di coinvolgimento a largo spettro, che ho potuto percepire in questa mattinata. E che, ripensandoci, posso articolare nel modo seguente.

Prima di tutto, un senso di eccitante mistero. Non è vero che la scienza è noiosa perché si conosce già tutto (vabbé, magari voi non lo pensate, ma io da più giovane invece lo pensavo eccome). E’ vero invece il contrario: la scienza è intrigante perché, nel complesso, è un territorio quasi vergine di esplorazione e scoperta. E le cose che non si sanno sono moltissime. 

Anche in questo caso. Anche in questo caso, cioè, siamo di fronte ad una miscela di ingradienti, miscela che sembra quasi calibrata ad arte per rendere l’impasto complessivo veramente saporito. C’è sicuramente la rilevazione di queste onde (non esattamente scoperta, è stato puntualizzato stamattina, perché segnali indiretti dell’esistenza di queste onde ce ne avevamo già). Questo è un fatto assodato che dà, potremmo dire, il gusto forte al nostro piatto.

Un approccio "nuovo" per un campo nuovo...

Un approccio “rinnovato” per un campo di indagine tutto nuovo…

C’è poi però anche quel sapore particolare, quel gusto che non puoi dire bene, perché ti sfugge… Sì, il gusto di qualcosa di non prevedibile, di non classificabile. Qualcosa che ti sorprende, perché non la conosci. Esatto. C’è il gusto delle cose che ancora non sappiamo, e possiamo sperare di conoscere. Che si declina in una serie di considerazioni, apparentemente, elementari. Si parte dalla localizzazione stessa della sorgente che ha emesso queste onde, sicuramente migliorabile quando altri rilevatori entreranno in funzione (per questioni elementari di “triangolazione cosmica”).

Si prosegue (perché l’appetito vien mangiando…) con lo studio del fenomeno in salsa – come si dice oggi tra noi scienziati -squisitamente multimessenger, ovvero dell’analisi delle implicazioni di tale accadimento su un ampio intervallo di fenomeni celesti a varie lunghezze d’onda, investigati a loro volta da diversi satelliti che risultano già a spasso per il cosmo. Questo è un campo veramente eccitante, perché mette insieme – finalmente – una serie di competenze e tecnologie che sono andate un po’ specializzandosi nel tempo, e magari separandosi, per un obiettivo comune e che richiede un forte senso e capacità di integrazione.

Si è visto assai bene stamattina: dalle teorie di evoluzione stellare (perché le stelle esplodono in supernova, generando i famosi buchi neri? Ancora oggi, non abbiamo modelli affidabili…) alle teorie sull’universo a grande scala (quanti eventi di questo tipo attendersi, in quali galassie?), questa ricerca abbraccia tutto e tutti, in modo naturale, non forzato.

Detto in altri termini (e questo mi sembra il messaggio forte che trasporta implicitamente l’onda), la richiesta che ci viene sempre più pressante dallo studio del cielo (… dal cielo stesso, potremmo azzardare a dire), è che per compiere ulteriori progressi bisogna che abbracciamo la iperspecializzazione moderna superandola allo stesso tempo in una nuova sintesi, che appaia sia concettuale che strettamente operativa. Questo stamattina lo si è visto bene, lo si è proprio assaggiato, per un mini-convegno che riuniva in maniera assolutamente naturale teorici ed osservativi, cosmologi ed evoluzionisti stellari, costruttori di teorie e costruttori di satelliti.

Tutti insieme in un compito, quello di dare vita alla nuova astrofisica gravitazionale, che – in pieno accordo con i tempi stessi della sua “apertura” – richiede un ancora inedito approccio relazionale alla disciplina stessa. Un approccio che – sin dalla necessità di una ampia, rapida e trasparente comunicazione degli eventi di questo tipo, perché vengano seguiti dal maggior numero di strumenti – superi le contrapposizioni e le rivalità tra singoli ricercatori e tra gruppi, e si appoggi ad una realistica e possibile collaborazione, che sia transnazionale e anche al di là di troppe e spesso aride iperspecializzazioni, come si sono andate formando nel tempo.

Questa onda ci sta sospingendo cioè verso un modo più maturo di essere scienziati. Un modo inevitabilmente più relazionale. Sembra che ci stia dicendo se non abbracciate questo nuovo approccio, non mi comprenderete appieno. 

Buffo, in un certo senso. Perché come la relatività è stata l’ultima grande opera di un uomo solo (che è arrivato fino alla previsione esatta di questi fenomeni, poi riscontrati dopo esattamente un secolo), così per abbracciare compiutamente le conseguenze ultime di tale teoria, per esplorare questa nuova finestra osservativa, dobbiamo essere in tanti, e dobbiamo necessariamente e fattivamente abituarci a collaborare.

Magari direte che esagero, ma a me piace pensarla così: che questa onda, dopo averci suggerito – o appena permesso di pensare – un modello di universo forse più amichevole e certamente più interessante, ci stia anche indicando un modello di approccio sicuramente più evoluto, più umanamente significativo. 

A noi cogliere il messaggio: a noi, dunque, cavalcare l’onda. 

Insieme.

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Un’onda nuova

Siamo abituati così, a lasciar scorrere la scienza così, appena accanto alle cose che ci interessano, di cui ci occupiamo giornalmente. Forse non una presenza scomoda, certo no. Però spesso ininfluente, nella vita quotidiana. Ci sono però momenti nei quali anche l’ambito solitamente ristretto ed impermeabile della ricerca, così usualmente ben confinato, deborda. E accade che improvvisamente i media si accorgano della quantità di persone e di risorse impiegate cercando di comprendere come funziona l’universo, nell’investigarne i meccanismi segreti, le dinamiche più riposte. Un anelito antichissimo, un tempo territorio del mito, oggi campo di indagine squisitamente razionale.

Dopo anni e anni impiegati nella affannosa caccia, nel pomeriggio del giorno 11 febbraio 2016 è stata finalmente annunciata la detezione delle famose onde gravitazionali. C’è un segnale, e sembra concreto.

Evidente che per noi astronomi sia un momento di esaltazione: in casi come questo avverto, lo confesso, il privilegio di sentire in modo palpabile l’eccitazione, percepirne l’onda affascinante ed elettrica, anche nei semplici dialoghi con i colleghi. E la confortante evidenza, a infrangere milioni di freddi universi di nonsenso (che l’anima troppe volte si trova a percorrere): può ancora succedere qualcosa, possiamo ancora stupirci. E’ indubbiamente confortante che il lavoro che faccio arrivi improvvisamente a trovare spazio in ambiti assolutamente inconsueti, come un telegiornale della sera. Ben vengano queste notizie, dunque. Ben vengano, se ci aiutano a pensare ai cieli sopra di noi.

Però forse c’è anche altro. Dietro questa scoperta si muovono anche cose più profonde, diverse e complementari rispetto alla mera registrazione dell’ennesimo progresso della ricerca scientifica, alla frettolosa celebrazione di un successo (anche) tecnologico.

Ma andiamo con ordine. Ovvero, stiamo al dato, così come ci si presenta.

E’ necessario infatti, per cogliere il punto che vorrei illustrare, percepire innanzitutto l’importanza propriamente scientifica di quanto è stato annunciato ieri.

E questa importanza scientifica c’è, c’è davvero tutta. Di cosa si tratta, in poche parole? Perché è importante aver trovato queste onde? Ebbene, si tratta di una corroborante conferma del fatto che il nostro modello interpretativo dell’universo, quello accettato dalla grandissima parte dei cosmologi e percolato ormai profondamente nel senso comune, funziona. Spiega bene la realtà.

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A ricevere conferma sperimentale (non certo la prima, ma una delle più eclatanti) è la stessa teoria della relatività generale di Albert Einstein, formulata esattamente un secolo fa. Difficile sopravvalutare l’importanza di tale formulazione teorica, davvero una cattedrale del pensiero dell’età moderna. L’ultima anche, ad essere stata edificata da un solo uomo: i grandi risultati successivi, come la meccanica quantistica – altra teoria epocale che ancora attende di essere compiutamente recepita – sono marcatamente risultati “di squadra”, impianti teorici elaborati dalla stretta collaborazione di molte persone.

Qui no. Questa cattedrale è stata costruita da un uomo solo. Un uomo, per giunta, completamente umano, non esente da grandi difetti e da limiti anche nell’ambito privato (come molte biografie ci hanno impietosamente indicato).

Ebbene, la teoria della relatività di Einstein prevede che si creino – in determinate circostanze – delle deformazioni del tessuto dello spazio tempo, capaci di propagarsi a grandissime distanze, proprio come onde. E’ una sorta di “radiazione gravitazionale”, che però genera episodi di particolare ampiezza (gli unici, del resto, che possiamo realisticamente sperare di rilevare empiricamente) solo in casi in cui delle ingenti masse modifichino in modo rapido la loro distribuzione. Tipico esempio, è quello della coalescenza di due buchi neri, che poi è proprio l’evento la cui rilevazione è stata annunciata il pomeriggio di giovedì 11 febbraio dal gruppo del rivelatore “Advanced LIGO” (per maggiori particolari vi rimando ad un post molto informativo su GruppoLocale.it).

Qui vorrei però esplorare alcuni aspetti che riguardano la nostra stessa concezione del mondo. Come interpretare allora questa notizia? Abbiamo appena ricevuto una conferma del fatto che non viviamo assolutamente in uno spazio cartesiano, in un universo imperturbabile o in un contenitore asettico, come ci viene sovente da pensare. Non siamo buttati dentro qualcosa che non si “piega” alla nostra mera presenza. Tutt’altro. Gli apparecchi più moderni questo indicano, che la semplice presenza di materia modifica la struttura dello spazio-tempo, lo fa vibrare come un’onda.

In altre parole, abbiamo una ulteriore preziosa conferma del fatto che l’universo, lungi dall’essere un asettico ed inossidabile contenitore di eventi, è invece una entità “viva” che interagisce e si modifica a seconda di quello che ospita, e di cosa avviene al suo interno. No, il cosmo non è affatto imperturbabile, il cosmo è tutt’uno con quanto avviene nel suo grembo. Vibra e si modifica per quanto avviene dentro di lui, ora ne siamo proprio certi. Potremmo vederlo come un universo “simpatetico”, che reagisce con quanto accade in lui, che vibra di quanto succede, nel modo in cui succede. In ultima analisi (così mi piace pensarlo, andando al senso etimologico della parola), che ha com-passione di quello che accade.

Estrapolazioni poetiche, se volete. Speculazioni metafisiche, davanti alle quali forse storcete il naso. No lo so. Quel che è certo è che non possiamo più pensare allo spazio e alle cose che vi accadono dentro, come entità distinte. Lo spazio, il tempo, gli eventi, la presenza stessa dell’uomo… ogni evidenza empirica non fa che sottolineare sempre più come queste entità che – per pigrizia e bassa energia mentale – ancora pensiamo separate, sono invece profondamente e misteriosamente interlacciate tra loro. Collegate, in modo inestricabile. Relazionate, in maniera inestirpabile.

Non se ne abbia a male Cartesio, ma la sua visione cosmologica è ormai sorpassata. Anzi, defunta. Con tutto quanto ne consegue anche sul lato culturale, e perfino spirituale. Aver aperto una nuova “finestra” di indagine sul cosmo, come sta avvenendo con la neonata astrofisica gravitazionale, non è senza conseguenze. Del resto, è sempre stato così: l’universo ci mostra volta per volta solo quello che siamo in grado di capire. La risposta è modulata, da sempre, sulla sapienza delladomanda.

Abbiamo appena aperto lo scrigno di un universo in cui è tutto davvero intimamente collegato, è tutto davvero in relazione. Ci stiamo lasciando alle spalle – grazie al cielo! – una concezione di corpi separati, divisi, ultimamente contrapposti (azione e reazione, forze uguali e contrarie), lascito fecondo ma drammatico della fisica e della cultura classica, nel suo massimo positivistico splendore. Dobbiamo però ancora capire cosa vuol dire entrare davvero in questo universo relazionale, anche in ambito umano. Dobbiamo lavorare per questo, superando resistenze fortissime.

Il vecchio universo (fuori e dentro di noi) infatti resiste accanitamente, ma è ogni giorno più rigido, più teso ed arrabbiato. Perché si sente il fiato sul collo, perché sta esaurendo il suo stesso spaziotempo, perché il suo gioco egoico è sempre più scoperto.

Per legare insieme le cose, per trovare un senso, non serve più la mutua collisione dei corpi, la ben nota dinamica che ne esaspera la distanza ed esprime, definendo (anche formalmente) ogni contatto ultimamente solo come un urto. L’energia che ne viene è energia malata, corrotta. Ci vuole qualcosa, Qualcuno, che leghi tutto insieme, che regali speranza.

Ci vuole un’onda, un’onda nuova.

Intervento pubblicato in data 15/2/2016 sul sito dell’associazione Darsi Pace.

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Onde gravitazionali, il giorno della verità

Manca ormai circa un’oretta alla attesissima conferenza stampa nella quale si avranno delucidazioni su questa importante scoperta riguardante le onde gravitazionali, predette da molto tempo ma così elusive che finora sono riuscite a sfuggire ad ogni umano sforzo di detezione. 

Formalmente, la conferenza stampa richiama i giornalisti per un aggiornamento sullo stato della ricerca per le onde gravitazionali, così si può tradurre dalla pagina della collaborazione VIRGO che menziona l’appuntamento odierno.

Tutto comunque fa pensare che siamo ormai alle porte di un annuncio assolutamente clamoroso. Per dirla tutta, la fuga di notizie autorizza a ritenere con ottima probabilità che si sia proprio alla soglia dell’annuncio ufficiale di avvenute detezioni.

Così, se vi va, vi invitiamo a collegarvi per seguire in tempo reale questo annuncio che possiamo, senza troppa enfasi, definire storico. Tra i siti che rendono possibile essere lì, sia pur in maniera virtuale, ricordiamo il servizio offerto da MEDIA INAF, raggiungibile attraverso il suo canale streaming.

Per chi poi non passasse le sue serate chino sui testi di gravitazione e teoria dei campi (legittimo, legittimo…) e dunque non è esattamente cultore della materia, è sufficiente dire che tali impercettibili onde sono state predette da Einstein proprio un secolo fa, nell’ambito della teoria della relatività generale. E dunque riscontrarne adesso la presenza effettiva nello spazio, è una conferma importante, decisiva.


Perché poi, tutta questa importanza?

Complimenti. Bella domanda, anzi… ottima domanda.

Perché vuol dire che siamo un po’ più sicuri del fatto che il nostro modello di universo, la teoria che spiega una quantità innumerevole di fenomeni astronomici (anzi, di fenomeni fisici), è sostanzialmente corretta. Che dunque, per facile ma inevitabile estensione, il mondo fisico è veramente comprensibile, si fa comprendere, si lascia comprendere. Possiamo esplorarlo, capirlo, un poco alla volta.

albert-einstein-1167031_640E quello che sta per succedere oggi è anche qualcosa di più. Se ragioniamo sul fatto che – a detta di molti – la teoria della relatività generale è l’ultima grande teoria fisica elaborata sostanzialmente da un uomo solo (la meccanica quantistica, come sappiamo, è stato uno sforzo decisamente più collegiale), questo ha un ulteriore – corroborante – significato.

Ha il significato che un uomo, da solo (un uomo con tanti limiti umani, peraltro, come diverse biografie lucidamente ci hanno ricordato) può incidere profondamente nella scienza. O perfino nella storia. Un uomo da solo ha comunque un valore e una potenzialità enormi. Ognuno di noi.

Quello che sta per accadere oggi, in fondo, è importante anche per questo.

Per questa conferma, questa rassicurazione.

Anzi, è importante sopratutto per questo.

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Onde gravitazionali, gio 11 conferenza in streaming

Sono ormai appena una manciata di ore che ci separano dall’attesissimo annuncio di “importanti risultati” che riguardano la lunga epopea della ricerca delle onde gravitazionali. La tensione è montata così inesorabile, che ormai è più che lecito attendersi qualcosa che farà davvero clamore (peraltro le indiscrezioni ormai non solo non si fermano ma nemmeno si riescono più a contare… tanto che più che chiedersi cosa sarà annunciato, è quasi più interessante sapere come verrà fatto).

light-567760_640Stando comunque ai fatti concreti, ovvero al materiale che abbiamo adesso (e ai vari misteriosi ammiccamenti dei colleghi), ci sentiamo di consigliare vivamente gli interessati di non perdere la diretta della conferenza che si terrà domani, dalle 16.00, dal laboratorio VIRGO a Cascina, che sarà possibile seguire in streaming, durante la quale, come dice l’annuncio stesso, “saranno presentati importanti risultati relativi alla ricerca delle onde gravitazionali recentemente ottenuti dalla collaborazione LIGO-Virgo”

Se poi aveste ancora qualche dubbio, un salto su Twitter può sempre aiutare…

Nell’attesa, se avete appena un paio di minuti, vi consiglio questo bel video di MEDIA INAF, che su questo settore della ricerca, riesce a fare il punto in maniera precisa e accattivante, ed anche – e non è poco – apprezzabilmente concisa.

E domani si dovrebbe aprire un nuovo capitolo. Di una storia, peraltro, sempre più affascinante.

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Sì, ma a che serve l’Astrofisica?

Non è infrequente sentirsi rivolgere questa domanda. Da astrofisico, vi sono incappato diverse volte: direi che è praticamente inevitabile. Ma sia chiaro, qui non lo dico con fastidio, ma con interesse. E’ davvero qualcosa che richiede un ripensamento di base del lavoro stesso che facciamo, del modo esatto con cui riempiamo le giornate.

Per tutto questo, è una domanda salutare. Anzi, è una domanda che dobbiamo sempre rinnovare e riprendere, per arricchirla, costellarla di nuove ragioni e nuove risposte. A che serve l’astrofisica? 

Perché oggi, spendere soldi per indagare i misteri del cielo? Ha senso?

Perché oggi, spendere soldi per indagare i misteri del cielo? Ha senso? E’ ancora ragionevole?

Inizio da qui: è una domanda normale, pienamente lecita. Vorrei prima di tutto fermarmi su questo, sul fatto che è bello porre domande così fondamentali, è segno innanzitutto che siamo vivi. E dunque – come prima cosa – sostengo che è legittimo, pienamente legittimo.

Diciamo, uno magari porta i figli a scuola (nel traffico), poi si incanala sul raccordo anulare (in fila) per arrivare in ufficio. E intanto la radio dell’automobile gli ricorda – limpidamente ma anche implacabilmente –  che siamo in tempo di crisi. Una crisi globale, che investe l’economia, il lavoro, le relazioni, il mondo di guardare sé stessi e il mondo. Una occasione – a guardarla dal lato positivo – per rinnovarsi e ripensarsi, per non dare più niente per scontato. Per rispolverare, anche,  quelle domande che avevamo un tempo, quelle di capire tutto, di darci ragione di tutto. Che  magari abbiamo messo da parte, con l’etichetta ci penso dopo. 

Forse (azzardo) tutto avviene con un motivo. Forse la crisi è anche per questo. Per pensarci subito.

Ecco, allora a che serve? Perché, se uno fa il barista, è chiarissimo a cosa serva. Se uno fa il netturbino (o dovrei meglio dire operatore ecologico) è altrettanto chiaro. Serve, serve. Prova un po’ a farne a meno: te ne accorgi subito, non c’è necessità di discorsi. E non parliamo di chiunque lavori nella sanità, a qualunque titolo, dal chirurgo al portantino. E’ fin troppo ovvia e conclamata – giustamente – l’utilità del suo mestiere.

E se uno fa l’astrofisico, invece? Ecco, io credo che sia una domanda in qualche modo da tenere aperta. Perché sarebbe anche facile, per l’astrofisico di turno, buttare giù qualche riga in cui far sfoggio di retorica, riempire la pagina di ragioni per cui la scienza in generale, e quella più elusiva in particolare, quella che ha a che vedere con oggetti lontanissimi e che non toccheremo mai (esatto, proprio l’astrofisica insomma), ha piena ragione di essere oggetto dei nostri sforzi e del nostro umano operare. E del nostro portafoglio, parimenti: non dimentichiamoci che a finanziare la ricerca astrofisica, per gran parte, sono i cittadini che pagano le tasse. Siamo noi. Sei tu, che leggi questo articolo adesso: tu stai sostenendo la ricerca astrofisica, con il tuo lavoro.

Troppo facile, dunque, arroccarsi in una risposta d’ufficio. Domande come questa invece vanno tenute aperte. E va data una risposta sempre in progress, sempre rinnovata e fresca, adeguata al momento storico che si sta vivendo. Il sito stesso dal quale state leggendo, in fondo, nasce come tentativo di elaborare questa risposta sempre in divenire. 

Molto interessante e stimolante, a questo proposito, il dialogo affrontato questo mese su FisiCast (il podcast di Fisica di cui ci siamo occupati più volte), che stavolta ha proprio a titolo questo impegnativo e stimolante tema, A che serve l’astrofisica? Un ascolto quanto mai ricco di spunti ed idee, accessibile ma non frivolo, leggero ma consistente, al tempo stesso. Autore di questa interessante puntata è  Gianluca Li Causi,  altre voci dono quelle di : Chiara Piselli (che i nostri amici forse conoscono come la ragazza che… parla ai fotoni!) e Luigi Pulone. La regia è di  Edoardo Massaro. 

Come di consueto, vi è una varietà di possibili modi di fruizione. Qui riportiamo l’accesso YouTube, ma non è certamente l’unico. Sul sito www.fisicast.it potete infatti trovare come scaricare il podcast, magari per sentirlo in un momento di relax o in macchina (ottimo per le file sul raccordo anulare appunto, o equivalenti situazioni di potenziale stress). Avrete certamente qualcosa di pienamente ragionevole da dire, dopo, quando sentirete qualcuno lamentarsi per il costo delle missioni spaziali.

Perché le missioni spaziali costano tanto, è proprio vero. Ma è pienamente ragionevole farle. Per tanti motivi, molti dei quali sono ben descritti nella puntata di Fisicast… che ora, non resta che ascoltare!

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Esclusivo: l’intervista a Phòs!

Eh sì. Alla fine i nostri amici di Fisicast ci sono riusciti. Sono riusciti laddove i più avrebbero desistito. Si sono spinti fino agli estremi confini della fisica, valicando limiti ritenuti insuperabili. Sì, e ci sono riusciti in pieno. Parliamo davvero di un risultato incredibile: sono riusciti ad intervistare Phòs, il nostro elusivo ma luminoso amico, che già aveva preso spazio in varie occasioni su questo sito.

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Il nostro Phòs, ne ha da dire

Sì non stiamo scherzando. Phòs è un tipo chiacchierone, l’avrete già notato, ma è anche un po’ sfuggente, se si parla di “acchiapparlo” per potergli addirittura parlare. C’è riuscita Chiara Piselli, coadiuvata dall’ottimo team di FISICAST (il podcast di fisica di cui ci siamo già occupati in diverse occasioni), e l’ha sufficientemente ammaliato tanto da potergli parlare un po’, e farsi raccontare qualcosa di sé.. finalmente dalla sua stessa voce!

La puntata di FISICAST in cui Phòs svela un tantinello dei suoi preziosi segreti è la numero 38, ed è appena stata pubblicata sul sito ufficiale, pronta per essere ascoltata online o liberamente scaricata (Autori: Marco Castellani, Gianluca Li Causi. Voci: Marco Castellani, Chiara Piselli. Regia: Edoardo Massaro, Collaborazione: Riccardo Faccini, Giovanni Organtini, Giovanni Vittorio Pallottino).

Concedetevi dunque questo viaggio con Chiara e Phòs: in meno di mezz’ora attraverserete, insieme a loro, una bella parte di fisica vecchia e nuova, toccherete le sponde ardite della relatività generale e quelle scoscese e bizzarre della meccanica quantistica, ritroverete concetti intravisti ma bizzarri, come lo scambio di particelle virtuali e sopratutto… ne sentirete anche di cotte e di crude sulla rivalità accesa tra Phòs e i suoi ancor più elusivi cuginetti, quei neutrini “colpevoli” di aver sottratto – con il recente Nobel – i riflettori a Phòs ed ai suoi amici, proprio nell’Anno Internazionale della Luce!

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Ne ha da dire Phòs, anche del lungo viaggio dal Sole alla Terra… suo e dei suoi piccoli amici. Andate ad ascoltarlo…!

Beh ora basta parlare, Phòs vi aspetta. Ringraziamo ancora l’appassionato e competente team di FISICAST che è riuscito laddove molti nemmeno si erano mai cimentati: far parlare un fotone.

Una ultima cosa, prima di partire con l’ascolto. Non è escluso che in futuro si tenti di acchiapparlo di nuovo, così non trascurate di far sapere se questa chiacchierata vi è piaciuta e se Phòs ha potuto “illuminarvi” un pochino su qualche concetto di fisica. Soltanto, una preghiera: non glielo dite che altrimenti si monta la testa. Sapete bene come è fatto, ormai!

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Un bel traguardo per FISICAST!

Di FISICAST, il podcast italiano della fisica abbiamo già parlato diverse volte, presentando alcune puntate e un’intervista ai ricercatori che lo hanno ideato (si veda al proposito FISICAST, il podcast per capire la fisica, oppure Tre domande a… FISICAST). Oggi possiamo ben dire che hanno vinto la loro scommessa di divulgare la scienza in un modo nuovo: è infatti appena uscita la trentesima puntata, con la quale il podcast ha tagliato l’importante traguardo dei 100 mila ascolti!
 
Vale la pena sottolineare come l’uso del podcasting come veicolo di informazione per la fisica, se da un lato pone delle sfide non indifferenti al creatore di contenuti, si presenta come particolarmente attraente per l’utente finale, che in questo caso ha la possibilità di acquisire delle nozioni specifiche riguardo tale disciplina, mentre magari è impegnato in altre attività, come la camminata svelta o la corsa, per esempio. L’offerta di podcast è ormai davvero completa e variegata e con molti prodotti di elevata qualità e fattura decisamente professionale. FISICAST si propone in questo settore con l’ambizioso e stimolante obiettivo di farci assaggiare un po’ del fascino della comprensione di come va il mondo (nel senso, di come funziona) in maniera leggera e immediata.
 
Dal maggio del 2012, mese in cui uscì la prima puntata, “Il tempo”, gli audio di FISICAST hanno spaziato sui più diversi settori della affascinante discipina, dalla fisica classica alla fisica moderna, sia spiegando con parole semplici concetti spesso ritenuti ostici, come la Relatività Speciale e Generale, la Meccanica Quantistica, il Bosone di Higgs, o come si vedono le Particelle Elementari, sia svelando i vero funzionamento dei più evidenti fenomeni della natura, come MareeArcobaleniTuoni e fulmini, o Radioattività, spesso del tutto diverso da quel che comunemente si pensi (ascoltare per credere!).
 
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Davanti a cotanto spettacolo della natura, che fare? Correre ad ascoltare la puntata di FISICAST  sull’arcobaleno, certamente!! 

Di questoimpegnativo lavoro si è avuto più volte occasione di misurarne l’impatto, oltre che dalla statistica dei click sulle pagine di iTunes e YouTube, dalla partecipazione alle conferenze pubbliche, dai commenti ricevuti sul sito e all’indirizzo e-mail di FISICAST, dalle centinaia di CD-audio distribuiti e dal lavoro di formazione agli insegnanti che ne è scaturito presso l’Università.

E’ con grande entusiasmo che esprimiamo i nostri migliori auguri a FISICAST e vi lasciamo alla seconda parte di “Radioattività”,appena pubblicata.

Una parola ancora, prima che organizziate la camminata nel parco con FISICAST sullo smartphone (un toccasana per il corpo e per la mente): un’accorta opera di intelligence ci permette altresì di svelarvi in anticipo il titolo della prossima puntata (ma non ditelo a nessuno…). E’ decisamente stimolante, perché i nostri amici affondano gli artigli in una delle tematiche forse più stimolanti della fisica contemporanea, gravido peraltro di implicazioni anche filosofiche: “Il vuoto quantistico”, che vi aspetta per lo scaricamento dal 15 febbraio.

Cosa vuol dire vuoto quantistico? E’ veramente vuoto se è luogo di creazione di particelle e antiparticelle? In che senso, poi, è distinto dal concetto più usato di vuoto, inteso come assenza di materia? Ce ne è abbastanza per stimolare l’appetito conoscitivo che è in tutti noi e che – grazie al cielo – non è mai sazio…

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Per metter il naso nel “motore” delle cose, niente di meglio di un sano podcast di fisica… FISICAST è quello che ci vuole! 

Insomma, il fatto è questo: la fisica può essere raccontata: provate e vedrete che non è così spaventosa come a volte si pensa. Anzi, spesso può dare un certo gusto riuscire a dare una sbirciatina al motore delle cose. Un motore che abbiamo veramente iniziato a capire dai tempi di Galileo, e ogni giorno ci rivela delle nuove stimolanti sorprese. Che devono essere studiate, certo, ma anche raccontate. Perché l’avventura scientifica sia sempre più patrimonio di tutti.  Ai creatori di FISICAST, che gli ascolti superino presto il milione!

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