Blog di Marco Castellani

Tag: Bersanelli

L’amore ai tempi del Big Bang…

Certo è un interrogativo che ricorre spesso. Cosa c’era prima. Cosa c’era prima che ci fosse tutto. Ed è curioso come la scienza abbia permeato l’immaginario collettivo in maniera significativa, ormai. Tanto che non ci chiediamo cosa c’era prima che ci fosse l’universo ma cosa c’era prima del Big Bang. Così quello che è un modello scientifico, capisco che ha acquistato una popolarità enorme e inusuale. Di tanti altri modelli scientifici, pensateci, non sappiamo proprio un bel niente. E nemmeno ci interessano, più di tanto.

Ma questo sì. Il Big Bang  è appena un modello cosmologico, ma si presta benissimo ad essere ospitato nelle menti di sapienti e di meno sapienti, come intelaiatura fondamentale, schema essenziale di risposta alla domanda che non può che essere di tutti, sempre: come è nato quello che esiste, quello che vedo? Ben altra difficoltà riscontrano modelli differenti, come per esempio la dualità onda-particella, oppure il concetto di particelle indistinguibili. 

Ma sì. Perché per la loro intima complessità, sfuggono alla nostra mente. Mentre il Big Bang – quel grande scoppio  – si presta invece ad una rappresentazione mentale in maniera piuttosto diretta. E noi abbiamo bisogno di una struttura di risposta, di comprensibilità – scientifica o mitica – di come l’universo sia nato. L’uomo non può esimersi dal guardare il cosmo e lavorare come ad estendere su tutto una architettura di senso, non può non affacciarsi sul mistero con una ipotesi di lavoro di intelligibilità totale. 

2281867354 b3be532f84 b

Photo Credit: laboratorio_recreativo via Compfight cc

In fondo la scienza è solo questo: un lavoro lento e progressivo di decrittazione del codice sorgente con il quale lavora il cosmo, come un pazientissimo reverse engineering di tutto quanto abbiamo intorno. Dai fenomeni, arrivare alla radice. Alle leggi unificanti. Alla profonda comprensione di come le cose funzionano. 

Come funzionano, appunto. Il perché funzionino così, non è compito della scienza dirlo.

Ma il Big Bang è preciso, dichiarativo, assertivo. E’ una teoria scientifica. Un modello. Tutto l’universo si comporta come se fosse partito da un punto. E uno potrebbe dire – ma prima? La ragione umana non si ferma, deve spaziare. 

Non ci sono domande troppo grandi, per la curiosità dell’uomo.

Cambiamo scena. Interno domestico. Sera. Luci calde, finestre illuminate. Fuori, il freddo sereno dell’autunno che inizia a stagliare i contorni delle cose, a rimarcare una più netta differenza dentro/fuori, tale per cui stare al riparo torna ad essere dolce, desiderabile. Anche lo scienziato che si occupa del Big Bang, anche l’uomo della strada (brutta dizione, ma rende l’idea), torna a casa e magari pensa con piacere ai volti cari da rivedere. In fondo, nonostante tutti i possibili problemi, tutti i tragici episodi di cronaca, c’è questo. Che – fino a prova contraria – ci si mette ad abitare insieme, si mette su casa, per amore. 

Così che l’amore viene spesso visto come un sentimento umano importante (anche socialmente), bello, bellissimo, ma ultimamente fragile. Che può l’amore, anche l’amore caldo che si respira magari in una casa, contro il freddo sconfinato del cosmo? Così magari  – azzardo – non ci accorgiamo di essere vittime delle nostre stesse proiezioni. Il cosmo può certo apparire certo freddo, ma anche un luogo mirabile, teatro di incredibili meraviglie. Dipende da come si guarda, ovvio. Dipende con quale cuore si guarda.

Però, questo è il mio punto, è come se l’amore non c’entrasse niente, in un certo senso. E qual è il problema, allora? Solo questo: che così, in fin dei conti, non siamo proprio contenti. E’ per questo che una ipotesi diversa, se ci può far più contenti, potrebbe anche essere presa in considerazione. Potrebbe insomma valere la pena esplorarla.

Mi viene da pensare alla recente frase di papa Francesco, pronunciata nella sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze: “L’inizio del mondo non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore.”  

Ora quando uno nomina il papa, fuori da un contesto ecclesiale, si creano inevitabilmente degli schieramenti. Chi se ne va smettendo di leggere, chi esclama ecco la pensa come me! insomma si creano come delle fazioni. Non è questo il mio obiettivo, vorrei condurre un discorso che per quanto possibile unisca e non divida. Perché la portata di quanto dice il papa secondo me è veramente stratosferica, e ci unisce tutti. Come dice Marco Bersanelli, sono parole limpide e liberanti.

Un Principio supremo che crea per amore

Ditemi voi se non è la cosa più bellissima del mondo, che si possa pensare. Ma noi la disinneschiamo quasi sempre, portiamo il pensiero su tutte le nostre riserve, le nostre eccezioni: non c’è verso di nominare il papa senza che qualcuno se ne esca con frasi tipo ma la chiesa in tema di sessualità però… oppure ma nel  medioevo, la caccia alle streghe … e via di questo passo (mediamente a questo punto viene tirato dentro anche il povero Giordano Bruno) 

Non che tutte queste cose non vadano dibattute, per carità. Ma metterle qui ora, sapete che produce? Che ci si mette a parlare di altro, appunto. Che si rimane aggrappati a schemi difensivo-bellici dove ci si definisce innanzitutto per contrapposizione. E si perde la possibilità di valutare la portata di una frase di questo tipo

… che crea per amore.

Non sono necessarie precondizioni o appartenenze per fermarsi a pensare che – stiano le cose come stanno – è una ipotesi di lavoro bellissima, calda, confortante, capace di mettere speranza. Di riformulare la nostra idea del mondo, la nostra cosmologia personale. Vale la pena fermarcisi su. Ora non discutiamo della natura del Principio ma stiamo guardando appena gli effetti, se volete, il comportamento.

Che crea per amore.

Prendiamolo alla lettera. Così’, appena come esercizio mentale: non è senza conseguenze. Vi dico cosa appare a me. L’amore, viene rimesso al primo posto (addirittura prima del Big Bang). Non al termine di una catena infinita di contingenze meccaniche e fredde: l’universo viene creato, o comunque spunta fuori, si evolve, si fanno le stelle, i pianeti, le forme di vita, l’uomo… che poi si “inventa” anche l’amore (o lo gode, o lo subisce). No, affatto. In questo quadro, è come se l’ultimo termine venisse prelevato dalla catena e rimesso inaspettatamente al primo posto.

Il che – permettetemi – regala un gusto diverso a tutta la medesima catena. 

E non c’è bisogno di essere cattolici (o buddisti, o induisti) per considerare questa possibilità. Basta non essere dogmaticamente materialisti, per dire. Ammettere che esista qualcosa oltre ciò che possiamo toccare, o misurare. 

Ma per questo, basta rientrare a casa (o a volte, uscirne, andare a trovare qualcuno) in una di queste serate autunnali. 

Dove poi, alzati gli occhi al cielo, può capitare ancora di stupirsi perché ci accorgiamo che siamo tutti sotto un cielo  pieno di stelle… 

Loading

Il mistero della materia…

E’ un pochino lunga, ma vale la pena perché è stata una bella dimostrazione di come si può parlare di cose complesse in maniera semplice ed accattivante (senza che venga meno la correttezza dell’informazione). Se la son cavata benissimo tutti e tre, Marco Bersanelli, Lucio Rossi e Sergio Bertolucci. Tre noti scienziati, intervenuti sabato scorso al Meeting di Rimini, alle prese con una cosa tanto impegnativa come elusiva, la tanto citata particella di Higgs, e il “mistero della materia“.

Quello che a mio parere conquista, è l’entusiasmo e la passione di tutti e tre i relatori. E anche, va detto, la loro umiltà (e sì che di qualifiche ne hanno). Ero presente e vi assicuro, tutto questo era palpabile, ti faceva venir voglia di seguire con attenzione. 
Ne esce un bel quadro non solo della storia della scoperta del bosone di Higgs, ma di quello che è davvero l’avventura scientifica, soprattutto nel caso di una collaborazione così estesa come quella che ha permesso di arrivare alla scoperta. Da vedere.

Loading

Premio Castellani, appunti sulla terza edizione

Mercoledì ho preso parte, in qualità di membro della giuria giudicatrice, alla cerimonia del Terzo Premio Vittorio Castellani, riservato agli studenti delle scuole della Provincia di Teramo, ed incentrato quest’anno (su mio suggerimento) sul rapporto tra stupore e conoscenza, con riferimento alla frase di Gregorio di Nissa (IV secolo) secondo il quale “Solo lo stupore conosce”.
Quella che segue, per brevità, non è un resoconto dettagliato della manifestazione, ma solo due o tre spunti centrati – con massima e discutibilissima parzialità – sulla mia partecipazione (secondo la saggia prescrizione… parla di ciò che sai meglio!). Questo non per mettere in secondo piano gli altri interventi e accadimenti, belli e degni di menzione, che probabilmente troveranno spazio in resoconti ufficiali dell’Osservatorio di Teramo. Tantomeno per dimenticare che, grazie al cielo, i veri protagonisti sono i ragazzi delle scuole, con i loro elaborati.
Tra gli altri, in commissione giudicatrice, c’era Oscar Straniero, direttore dell’Osservatorio di Teramo, che conosco bene, poi l’astronomo Mauro Dolci, che è diventato mio caro amico con il quale ho scambiato varie opinioni su scienza, fede, razionalismo, stupore,  al quale devo davvero molto, per l’organizzazione di questa e delle passate edizioni, per la passione e la professionalità che ha messo in gioco. Ezio Sciarra, matematico, che sedeva vicino a me, ha fatto un intervento molto interessante sulla filosofia della scienza.
Per quanto riguarda me, ebbene, non ho parlato moltissimo, ma sono stato molto contento di aver potuto dire quello che mi stava a cuore. Tra le cose che mi hanno colpito, anche  la scoperta di come l’interesse per il tema, mi aiutasse molto a superare l’emozione e l’impaccio di parlare in pubblico.  
Ho esordito con un pochino di introduzione sul fatto che davvero ero stupito degli elaborati, che la mia partecipazione in giuria giudicatrice l’avevo inizialmente presa come una “seccatura” ma poi, come ho scritto su questo medesimo blog, rapidamente mi ero emozionato, nel leggerli. Insomma, il tema dello stupore mi aveva davvero preso, e l’altro ieri ne ho fatto di nuovo esperienza. Così  mi sono permesso di parlare più “di cuore”, cosa che di solito mi riesce molto difficile…. e da alcuni feedback che ho avuto sembra sia stato apprezzato.
Sembrerà banale, ma sono contento di essere stato “presentato” come scienziato e scrittore. E’ bello quando quello che fai viene definito in modo lineare, semplice. Già questo, ho notato, ti aiuta ad uscire dal magma dei tuoi dubbi. Mia moglie qualche giorno fa, in merito ai miei continui rimuginamenti sulla mia abilità “letteraria”, mi aveva detto una frase analogamente semplice, del tipo “Certo che sei uno scrittore: se scrivi, lo sei”. A volte le mogli sanno essere deliziosamente lineari e semplici (perlomeno la mia…).

Tutti in fila (io son quello più a destra, in caso ve lo chiedeste….)
Ho continuato leggendo un mail pervenutomi da Marco Bersanelli (coautore di uno dei libri dati in premio, che guarda caso ha lo stesso titolo dell’edizione del premio…), di cui mi sono impudicamente dichiarato “fan”. 
Caro Marco Castellani,

grazie per avermi mandato contributi dei giovani per il Premio Castellani,
che ho letto con piacere. Mi hanno colpito tutti, per vivacita’ espressiva
e per intensita’ esistenziale. Auguro a ciascuno dei ragazzi che la loro
capacita’ di stupirsi e di commuoversi di fronte al cielo stellato non
diminuisca nel tempo, ma che con il passare degli anni diventi una fonte
sempre piu’ grande di gratitudine e di vera conoscenza.

Un caro saluto,


Marco Bersanelli

Ho approfittato del fatto che la rappresentante dell’UNESCO avesse fatto menzione alla poesia (attivando i miei recettori!), così ho accennato a mia volta allo stupore e alla poesia come “antidoti” alla violenza (non credo sia una mia idea originale, però io ne sono proprio convinto),  importantissimo per le giovani generazioni. Beh, veramente, importantissimo per tutti…

Qui sto dicendo qualcosa… non ricordo cosa…. 

Come mi era stato anticipato, Mauro mi ha poi rivolto un paio di domande (tradimento! Secondo quanto mi era stato “promesso”, doveva farmele la simpatica presentatrice ufficiale, di aspetto – Mauro non me ne voglia – percettibilmente più … “gradevole” … vabbè…).

La prima, sul rapporto con lo stupore di mio papà, eclettico uomo di cultura (dall’astronomia alla speleologia); avendo riflettuto sulla cosa mi sembrava di aver individuato un tratto comune in tutto il suo approccio, ed era la curiosità di “come” funzionano le cose, da un termosifone, un frigorifero, fino ad una stella, oppure ad un cunicolo costruito tanti anni fa. Curiosità, stupore di fronte al dato, all’evidenza del reale. 

La seconda domanda verteva su come mi rapportassi allo stupore in particolare come persona credente, e come il fatto influisce sul lavoro dello scienziato. Domanda intrigantissima!  Come nonleggere una altra bellissima frase di Bersanelli? Eccola:

“…effettivamente nella comunità scientifica c’è un buon numero di scienziati che, contrariamente all’immagine che normalmente se ne ha, vive un’esperienza di fede. E la vive “positivamente”: non come un problema da conciliare, in qualche modo, con la conoscenza scientifica ma proprio come allargamento della ragione, la quale trova nel metodo scientifico uno dei modi con cui rapportarsi al mistero della realtà. Questa è anche la mia personale esperienza. È come se la fede, anche in questo caso, fosse capace di rendere più bello ciò che è bello e più vero ciò che è vero, offrendo il contesto della totalità a quello che altrimenti rimarrebbe un particolare, sia pure affascinante, come quello della conoscenza scientifica” (presa da questo articolo; i neretti ce li ho messi io adesso)

Che altro aggiungere? Ho detto appena qualcosa su come possa essere più bello studiare il cosmo se si è convinti che non si sia davanti ad un universo freddo e impassibile, ma che Qualcuno si interessi del tuo destino; di te.

Chiaramente ci sono grandi scienziati credenti e altri atei, dunque essere scienziato di per se non equivale a prendere una posizione sulla fede.. e poi (“rubando” dall’insegnamento di Luigi Giussani, che ho poi citato) ho parlato del fatto che la fede non sia un punto di arrivo, ma di partenza, perché la sfida a decodificare il reale secondo la fede è di ogni giorno.

La tentazione di sentirsi “a posto” con la propria visione del mondo, di starsene tranquilli, può infatti prendere tutti, indipendentemente dal credo che professano, dalle proprie convinzioni. Eppure ogni verità è a mio avviso essenzialmente dinamica (e soprattutto la Verità con la maiuscola), esige un confronto continuo, una verifica, quasi una “lotta”. Soprattutto, esige una resa, un arrendersi, un cedere (come dice bene Juliàn Carron), un cedere a quello che esiste, abbandonando le proprie immagini e le proprie pretese.

E’ un lavoro continuo, esige mille ripartenze (per chi scrive, diecimila o più, e parliamo anche di partenze da meno infinito…). Ma direi che vale la pena. Anzi, che nulla vale la pena così.

Loading

La cosmologia di Dante, tra scienza e poesia…

Stasera ho assistito ad una lezione di geometria, geometria dantesca. Il cielo notturno di Milano è basso e lattiginoso, la prima nebbia di stagione fa proprio voglia di ʻuscire a riveder le stelleʼ. Ma uscire da Milano. Noi però siamo entrati, entrati al Planetario….

(Una nota della ‘nostra inviata’ a “La Cosmologia di Dante  – Un percorso tra Scienza e Poesia”, 23/11/2010 Milano)

…Da un poʼ di tempo sta diventando per me una piacevole scoperta. Bisognerebbe frequentare il Planetario molto, molto più di quanto non si accenda la tv, ne acquisteremmo in sanità mentale e… corporale. Il cielo del Planetario e la ʻcosmologia di Danteʼ, con la voce e le parole di una guida di tutto rispetto: il professor Marco Bersanelli, ordinario di Astrofisica e direttore della Scuola di Dottorato in Fisica allʼUniversità di Milano, nonchè responsabile fra gli altri della missione Planck dellʼAgenzia Spaziale Europea.

Che ci fa uno così a parlare di Dante? Innanzitutto il professore ha tenuto a precisare di non essere affatto un competente dantista ma, più semplicemente, un grande appassionato. Le sue letture lo hanno però portato ad alcune interessanti considerazioni, avallate tra lʼaltro da autorevoli studi di altri esperti. La lezione ha avuto il pregio della semplicità e della chiarezza, ma anche con queste premesse non è detto che riesca a riportare tutto fedelmente. Qualche impressione qua e là, e se per caso qualcuno sarà incuriosito e vorrà approfondire…bè, avrò forse raggiunto il mio scopo.

La tesi è che Dante si sarebbe costruito una cosmologia originale distaccandosi addirittura dal modello che ai suoi tempi andava per la maggiore, quello di Tolomeo e Aristotele. Avete presenti le immagini del cielo dantesco di liceale memoria? Quelle che stavano anche dietro la copertina dei sunti per studenti frettolosi (chiamiamoli così). Ecco…scordatevele, pare che quelle non cʼentrino niente con le parole e le intenzioni del buon Alighieri.

Più che ai cerchi concentrici noi dovremmo pensare a delle sfere, dove quella più interna, il cuore, lʼorigine per intenderci, è anche quella che le contiene tutte. E qui devo dire che la mia povera testa cresciuta a geometria euclidea (cioè a pane e acqua a quanto pare) ha dovuto fare qualche contorsione. Fuori dallʼUniverso Dante colloca le sfere angeliche e Dio: “questa altra parte dellʼUniverso dʼun cerchio lui comprende, sì come questo gli altri” Ma dice anche: “parendo inchiuso da quel chʼelli ʻnchiude” cioè che le sfere angeliche circondano lʼintero universo ma al tempo stesso ne sono il centro, sono contenute da esso.

Il relatore, l'astrofisico Marco Bersanelli

Bersanelli non vuole certo convertire un letterato in ricercatore scientifico ante-litteram, ma è tuttavia convinto (e non solo lui, ha tenuto a precisare) che il sommo poeta abbia intuito, senza lʼausilio di costruzioni matematiche, la curvatura dello spazio. Solo questa ipotesi infatti può rendere ragionevoli tali immagini, riuscendo a dimostrare la cosmologia dantesca con una semplice equazione…Ahimè…così dice il professore, e gli devo credere! Giuro che lʼequazione lʼho vista…ma non fatemela ripetere vi prego! Alle elementari siamo fermi al massimo alle equivalenze!

La cosa affascinante è sapere che in qualsiasi punto del cielo tu guardi, in effetti guardi sempre lo stesso lontanissimo punto di origine, che ha originato anche me. Ma per sapere che questa cosa corrisponde tantissimo al desiderio del mio cuore…non ho mica bisogno di una equazione per riconoscerlo.

Indubbiamente la concezione dantesca dellʼUniverso, certamente geniale, è e rimarrà legata al suo tempo: il Medioevo. Allora cosa possiamo imparare? Qui il professore ha tratto una conclusione che secondo me la dice lunga sulla sua personale passione per il proprio lavoro: oggi la scienza ha in qualche modo perduto la capacità preziosa di un punto di origine, di un significato ultimo, un fondamento sintetico al quale fare riferimento per poter osservare, riconoscere e con umiltà sostenere il vero, lʼunità del tutto, che si ricerca nella realtà. Bene, questo punto dʼappoggio Dante lʼaveva, anzi, proprio questo gli ha permesso di arrivare ad ardite intuizioni. Ma la cosa più consolante per me, che non sono certo un genio e nemmeno uno scienziato, è sapere che neppure Dante ha avuto bisogno di equazioni, ma più semplicemente dellʼincontro con una donna, Beatrice, qualcosa che ha toccato la sua vita in modo direi ʻnormaleʼ.

Non che le equazioni non servano, accidenti, proprio il contrario! Ma cʼè qualcosa che viene prima e che può riempire le equazioni di utilità e senso…oltre che di numeri e segni. Tutto, anche la più piccola particella dellʼUniverso, ha un significato, una utilità e un perchè. Una questione di metodo direi, dal poeta una lezione di metodo più che di cosmologia. Certo che questo giudizio forse non procurerà a Bersanelli le simpatie dei distributori di premi Nobel, ma certamente me lo rende più stimabile e, vuoi vedere che mi spiega anche la sua passione per Dante?

Gloria Anfurio

Alcuni link per approfondire:

Loading

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén