Una questione di linguaggio

Il cosmo e la poesia (IX)

Come fa ben notare il noto fisico Carlo Rovelli in Helgoland (Adelphi, 2020), lo sconquassamento teorico più efficace del mondo moderno e di tutto il suo assetto è opera di un manipolo di ragazzetti, che investono la perenne ricerca della radice profonda del reale con l’ardore rivoluzionario tipico della loro età. Questi rivoluzionari del pensiero – Heisenberg, Jordan, Dirac e Pauli – sono tutti ventenni. Tanto che a Göttingen la loro fisica viene chiamata «Knabenphysik», la fisica dei ragazzi.

A loro – nelle fondamenta del secolo così tormentato ma al contempo così audace verso il nuovo, come il Novecento – il compito di svelare il segreto, di denunciare che il re è nudo, che il modello di realtà che ha eletto la fisica dell’ottocento a modo privilegiato di vedere il mondo, è ormai deprivato di ogni consistente radice che voglia affondare nell’ordine profondo delle cose, ovvero in quel mondo subatomico che sorprendentemente si rivela tanto elusivo quando rivoluzionario.

Un cosmo di buchi bianchi” (generato con Bing Image Creator)

Al fondo, è una questione linguistica. Nè potrebbe essere altro, se è vero che l’universo è fatto di storie, come asserisce la poetessa Muriel Rukeyser. Al poeta, dunque, il compito di cesellare il linguaggio adatto, facendosi voce di ciò che non ha voce, accogliendo ogni incertezza. Così Gian Mario Villalta, in Dove sono gli anni (Garzanti, 2024)

Non sei tu, ibisco, non sei tu,
ma prendi nella mia voce parola, nella mente,
come ogni cosa che vedo e sento. Ti importa
se non sappiamo che cosa siamo io
per te, tu per me, per tutto tu e io l’universo?

Seguendo l’invito della poesia, è la grammatica stessa della nostra comprensione della realtà che, noi fisici, dobbiamo accettare di modificare. Nello stato di bassa energia non solo mi percepisco isolato, ma erigo barriere per difendere il mio isolamento. Disgregato in particelle elementari in urto pazzo e fuga scombinata in direzioni casuali: questo mi aspetto come destino ultimo, conclusione logica del mio assetto mentale. In breve, non vivo. Difatti non si vive fuori dalla relazione. Questo ci dice la nuova scienza, questo ci ha sempre detto la vera poesia. Pur riconoscendo di non sapere cosa siamo io per te, tu per me, indubbiamente siamo coinvolti in qualcosa, insieme.

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Aprire un cammino

Tornato ieri a sera, dalla piccola tournée di due giorni, due incontri con tante persone, per raccontare le novità del cielo. Due incontri per declinare il titolo che mi era stato assegnato, suggestivo ed impegnativo al medesimo tempo: L’universo elegante mostra la sua danza di futuro.

Come per anni precedenti, ho raccolto l’invito cordiale di Gianluigi Nicola, presidente della Associazione Italiana Teihard de Chardin, a venire a raccontare, la sera di sabato 21 a Diano Marina e la mattina del 22 presso il Monastero di San Biagio, a Mondovì.

Sono state due occasioni per fare il punto sulle scoperte astronomiche degli ultimi cinque anni, comprendendo così come l’indagine del cielo – come il cielo stesso, del resto – è in fase di espansione accelerata, così che perfino durante gli anni del COVID si sono susseguite una serie di scoperte straordinarie, come di esplorazioni mai tentate prima.

In una manciatina di mesi, infatti, siamo andati a prender sassi sugli asteroidi, abbiamo lanciato nello spazio un telescopio gigante, abbiamo forse capito perché l’universo non si è azzerato subito dopo la sua nascita in un megascontro tra materia e antimateria, abbiamo indagato il sottosuolo di Marte ma ci abbiamo anche svolazzato sopra, con il primo drone planetario, abbiamo ascoltato il mormorio del tappeto di onde gravitazionali che pervade lo spazio, abbiamo trovato acido ribonucleico aggrappato stretto sopra un asteroide, abbiamo riallacciato i contatti con una sonda lontana ventiquattro miliardi di chilometri alla quale si era guastato il computer … e si potrebbe continuare. Ma avete compreso già.

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Baghdad dalla Stazione Spaziale

Questa immagine è stata catturata dall’astronauta Sultan Alneyadi, in luglio di quest’anno, mentre la Stazione Spaziale Internazionale orbitava a più di quattrocento chilometri dalla superficie terrestre.

La città di Baghdad vista dallo spazio
Crediti: NASA

Dal novembre dell’anno 2000, da quando cioè la stazione è diventata operativa, i vari astronauti che si sono succeduti a bordo hanno acquisito centinaia di immagini del nostro pianeta (e anche della Luna). Tanto che tali immagini sono ormai preziose anche per la documentazione che forniscono sui cambiamenti che stanno accadendo sulla Terra, a causa dell’attività umana e degli eventi naturali.

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Visioni di un’altra scienza

La scienza procede per lampi, illuminazioni. Visioni, in un certo senso. La scienza è sempre più grande di noi ma possiamo entrarci, comunque: ci lascia entrare, per vederla secondo la nostra sensibilità, il nostro gusto. In effetti è soprattutto una questione di gusto, come quasi tutto.

Questo dialogo che ho registrato sulla “nuova fisica” – con Gabriele Broglia, giovane ed appassionato insegnante di arti marziali, con la preziosa e precisa assistenza tecnica di Emanuele Giampà – è stata la preziosa occasione per riassaporare questo gusto.

La scienza come compagna nella ricerca di un significato, un senso dell’esistenza. Su questo osiamo dialogare. Non una scienza asettica e lontana dalle emozioni e dal cuore umano. L’esatto contrario, invece. Nel piccolo gruppo di lavoro che abbiamo chiamato AltraScienza, proviamo a fare questo, proprio (qualche altra cosa si può anche trovare nella nostra playlist YouTube, se credete).

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