Blog di Marco Castellani

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Così esplodono le stelle

Sembrerà strano a chi non è del mestiere, ma la questione è ancora parecchio aperta. Innumerevoli modelli sono stati elaborati, ma la verità è che è difficile far esplodere una stella, con le teorie che abbiamo messo insieme. La stella tende stranamente a non farlo, tanto che i migliori astrofisici ci stanno impazzendo sopra da anni.

Eppure sappiamo che accade: come sempre, è la realtà che ci sfida e ci invita a rivedere il modo in cui la interpretiamo, ci esorta ad uscire dalla scatola, a pensare in modo innovativo, a spingerci fuori dai circoli dell’abitudine. Ad osare. La realtà ci pungola fino a che il nostro modello mentale non diventa adeguato al grado di finezza a cui la nostra evoluzione spinge, momento per momento. Nessuno si sarebbe sognato di validare la meccanica quantistica se non spinto quasi all’esasperazione, dal comportamento bizzarro del mondo subatomico.

La bellezza del resto di supernova Cassiopea A.
Crediti: NASA/CXC/RIKEN/T. Sato et al.; NuSTAR: NASA/NuSTAR)

Ora gli astronomi sono riusciti a trovare tracce di titanio nei resti di una famosa supernova, chiamata Cassiopea A, che si trova nella nostra Galassia, a circa undicimila anni luce di distanza da noi. Prima di adesso non era mai stato osservato questo elemento nei resti di supernova. Averlo rintracciato aiuta a sintonizzare meglio i complessi modelli teorici, lavorando per superare l’impasse.

Nello specifico, la scoperta conduce a pensare (per strade lunghe da raccontare) che il ruolo dei neutrini (prodotti in altissima quantità negli ultimi momenti di vita della stella) sia realmente preponderante nel meccanismo di scoppio, almeno per alcune categorie di supernova. A queste elusive particelle potremmo dunque dover molto, in termini dell’evoluzione del nostro universo e della stessa vita.

Per la cronaca, il Titano prodotto da Cassiopea A supera la massa intera della Terra.

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Come ti scopro una supernova…

A volte può accadere. Del resto, il cielo è un luogo di sorprese, anche se spesso non ci pensiamo. Troppo distratti da tante cose, per guardare in alto. Poco male, potremmo dire: le sorprese arrivano lo stesso. E ci fanno tornare a pensare a quel mondo di stelle che è tutto intorno a noi, sempre capace di stupirci.

In quel mondo, può accadere l’incredibile. Può accadere che un astrofilo (per la cronaca, Victor Buso) acquisisca delle immagini del cielo, ma così, al puro scopo di provare la sua macchina fotografica nuova fiammante, finalmente agganciata al suo telescopio.  E che noti – guarda un po’ che strano! – scorrendo le foto che ha preso, l’apparire di un piccolo “puntino” al bordo di una galassia a spirale, la galassia NGC 613 per la precisione.

Quel puntino che si “acceso” è proprio una supernova! Crediti: NASA, ESA, Hubble, S. Smartt (QUB); Ringraziamenti: Robert Gendler; Inserto: le immagini prese da Victor Buso

Quel puntino è una supernova, una stella in esplosione, che Victor ha avuto il privilegio incredibile di osservare nei primissimi istanti della sua formazione. In effetti, non era mai stata fotografata, nell’ottico, una supernova in questa fase così iniziale! Da come si è evoluta la curva di luce di questo oggetto, è apparso chiaro che Victor ha acchiappato la supernova esattamente quando l’onda di detonazione dal nucleo interno della stella (probabilmente una supergigante, stelle enormi a vita molto breve) raggiungeva gli strati superficiali, innescando l’enorme aumento di luminosità caratteristico di questi peculiari oggetti.

Il bello della faccenda, è che lui ha osservato per puro caso una situazione che miriadi di astronomi professionisti hanno spasmodicamente cercato per anni ed anni, monitorando accuratamente delle galassie più popolose, accuratamente selezionate per probabilità stimata di riscontrare un simile evento.

Hanno cercato. E non ci sono riusciti. Poi è arrivato un tipo che ha scattato un paio di foto per provare una nuova camera, e il cielo gli ha regalato questo spettacolo. Più improbabile che vincere una lotteria.

Tanto per dire, per ricordare, che l’incredibile è di casa. Lassù nel cielo.

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Da dove viene tutto quanto?

Possiamo dirlo subito, senza tema di smentita. Siamo fatti di cielo, di polvere di stelle, nella gran parte. Anche se non ce lo ricordiamo quasi mai. Fate caso, chi si sofferma mai la mattina (tra caffè, libri, ragazzi da portare a scuola, traffico, ricerca di parcheggio…) , anche solo un momento, a pensare al fatto che siamo totalmente impastati di cielo? 

E non appena in senso poetico, o metafisico (che già sarebbe tanto, beninteso). Ma in senso veramente strutturale. Siamo fatti cioè di materia che è stata elaborata e prodotta nello spazio. E viviamo grazie a ciò che è accaduto – ed accade – nello spazio.

Per rendersene conto in modo molto diretto e concreto, basta guardare questa particolare  tavola degli elementi.

Crediti & Licenza: Wikipedia: Cmglee; Data: Jennifer Johnson (OSU)

L’avrete riconosciuta: non è altro che la classica tavola periodica di Mendeleev con la piccola accortezza di aver aggiunto l’indicazione – per ogni singolo elemento – della sua sede probabile di produzione.

E si scoprono cose interessanti: cose che non sappiamo (o alle quali, appunto, non pensiamo quasi mai) ma che ci riguardano direttamente, cose che evidenziano e rinsaldano il nostro rapporto costitutivo con lo spazio. Lo spazio, infatti – così ci dice inequivocabilmente questa tabella – non è altro da noi, non è sopra la nostra testa. E’ molto più vicino, perché in qualche modo, ne siamo costituiti.

Prendiamo l’idrogeno, presente nel nostro corpo in ogni sua molecola d’acqua, ad esempio. Sapevate che tale elemento è tra le cose più antiche di cui possiamo fare esperienza? Viene infatti direttamente dal Big Bang: non si dà, a nostra conoscenza, alcuna altra modalità apprezzabile per la produzione di idrogeno nell’intero universo. Il carbonio, così come l’ossigeno, è invece prodotto dall’interno delle stelle. Gran parte del ferro nel nostro corpo è stato poi prodotto durante lo scoppio a supernova di stelle (di massa più grande del Sole) che “abitarono” questa parte di spazio, molto tempo fa. L’orolo abbiamo visto di recente – è stato in gran parte prodotto da stelle di neutroni durante drammatiche collisioni, che hanno prodotto (è proprio notizia di questi giorni) impulsi gamma “a vita breve” ed anche eventi di onde gravitazionali.

Capiamoci, non è sempre tutto chiarissimo: per esempio ci sono elementi essenziali, come il rame, di cui ancora non si conosce bene la specifica modalità di produzione. Tematiche aperte, tanto da essere ancora oggetto della ricerca attuale, tramite osservazioni e investigazioni al computer.

Ma la faccenda resta intatta. Siamo fatti di stelle (in gran parte). E siamo comunque totalmente fatti di materia del cielo.

Potrebbe forse bastare, per la ricorrente domanda (lecita, per carità)  sull’opportunità di investire soldi nello studio del cielo. In fondo, studiare il cielo è studiare noi stessi. Ci potremmo infatti quasi domandare – a questo punto, invertendo totalmente la questione – cosa ci possa mai essere, di più importante…

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La più lontana supernova Ia

Gli astronomi continuano ad applicarsi con successo, al fine di ottenere il meglio del meglio, dai telescopi a loro disposizione: e i risultati non si fanno attendere. Nel campo degli oggetti lontani, infatti, è appena stato registrato un nuovo record: la supernova Ia più distante mai individuata.

Ricordiamo che le supernovae sono divise in varie classi, a seconda delle caratteristiche fisiche del sistema che va incontro alla deflagrazione: in particolare le supernovae Ia sono originate dalle esplosione di una stella nana bianca, verosimilmente in fase di accrescimento massa da una compagna in un sistema binario.

Ebbene, la supernova appena scoperta si trova a più di dieci miliardi di anni luce da noi, con un valore di redshift pari a 1,94. In pratica, quando si verificò l’esplosione che vediamo ora, l’universo stesso era ancora molto giovane, in fase di furibonda formazione stellare.

Ecco l'impronta della supernova Ia più lontana mai osservata. Tre riquadri: a sinistra la galassia prima dell'esplosione, a destra la galassia dopo l'esplosione. Sembrano identiche ma la differenza, nel riquadro più a destra, mostra un oggetto brillante, la supernova stessa (Crediti: NASA, ESA, A. Riess (STScI and JHU), and D. Jones and S. Rodney (JHU))

Ecco l’impronta della supernova Ia più lontana mai osservata. Tre riquadri: a sinistra la galassia prima dell’esplosione, a destra la galassia dopo l’esplosione. Sembrano identiche ma la differenza, nel riquadro più a destra, mostra un oggetto brillante, la supernova stessa (Crediti: NASA, ESA, A. Riess (STScI and JHU), and D. Jones and S. Rodney (JHU))

L’oggetto appena scoperto prende il nome di SN Wilson (dal nome del presidente americano Woodrow Wilson, in carica dal 1913 al 1921), ed è stata individuata nell’ambito del CANDELS+CLASH Supernova Project, a cui già dobbiamo la scoperta di oltre cento supernovae, che sono esplose da 2,4 ad oltre 10 miliardi di anni fa.

La scoperta e lo studio di supernovae di classe Ia è di fondamentale importanza per la messa a punto di una accurata scala delle distanze cosmiche: a motivo del picco di luminosità che si ritiene praticamente identico, queste supernovae sono ampiamente utilizzate come candele standard per ottenere una affidabile stima della distanza della galassia che le ospita.

Perfezionare la conoscenza di questi oggetti dunque vuol dire avere stime sempre più precise delle posizione delle galassie e dei vari oggetti astronomici. A sua volta questo è decisivo per la costruzione di accurati modelli di universo, nonché per la verifica del suo tasso di espansione. Attraverso questa catena di conoscenze, possiamo arrivare a dire qualcosa di più preciso sulla natura dell’energia oscura, questa componente ancora largamente sconosciuta, che influenza profondamente l’espansione stessa del cosmo. Ecco perché gli astronomi ritengono studi come questo di grandissima importanza.

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Sherlock Holmes e il misterioso resto di supernova…

“Una volta che elimini l’impossibile, quello che rimane – per quanto improbabile – deve essere vero”, avrebbe detto Sherlok Holmes. Ecco qui un caso in cui tale massima si applica in pieno…

Utilizzando il Telescopio Spaziale Hubble, gli astronomi sono riusciti a risolvere un puzzle che li aveva tenuti occupati da tempo: la questione era centrata sulla natura della stella progenitrice di una supernova in una galassia vicina. I nuovi dati raccolti da Hubble infatti permettono di scegliere uno tra i diversi scenari teorici che erano stati avanzati riguardo la natura della stella esplosa a supernova.

Basandosi su osservazioni precedenti raccolte con telescopi a terra, i ricercatori già sapevano che un tipo particolare di supernova, chiamata “Ia”, era all’origine della struttura denominata SNR 0509-67.5, lontana circa 170.000 anni luce, nella galassia chiamata Grande Nube di Magellano. Il problema era determinare la natura esatta della stella, o delle stelle, che avevano originato la supernova stessa.

L'occhio di Hubble ha aiutato a capire la natura di un resto di supernova, tagliando via le ipotesi non verificate (Crediti: NASA, ESA, CXC, SAO, the Hubble Heritage Team (STScI/AURA), and J. Hughes (Rutgers University))

Da notare che la cosa in se stessa è di importanza decisiva, perché le supernovae di tipo Ia sono gli oggetti celesti principali per misurare l’accelerazione dell’universo. Dunque la loro comprensione è importante per una lunga serie di tematiche, che vanno dalla fisica stellare alla cosmologia.

Ebbene, per anni gli astronomi hanno cercato una possibile stella compagna di una nana bianca, senza trovarla, portati a tale convinzione dalle speculazioni teoriche. Ora nemmeno Hubble l’ha vista, pur avendo il necessario potere risolutivo. Esiste solo una soluzione: che la supernova sia originata da due nane bianche in orbita molto stretta.  Le due nane si sarebbero così progressivamente avvicinate fino a fondersi in una struttura più grande, ma istabile, che dunque è esplosa.

La giovane età dei resti di supernova, porta ad escludere che eventuali stelle residue possano aver abbandonato la struttura: non ne avrebbero avuto il tempo.

Tolto tutto il resto, l’improbabile (le due nane bianche, in questo caso) deve essere vero. In fondo, lo sappiamo, la scienza procede “tagliando” via le ipotesi che non vengono verificate dall’indagine empirica: sono sempre i fatti, che decidono…

HubbleSite Press Release

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Resti di supernova… di mezza età!

Gli astronomi conoscono ormai un buon numero dei cosiddetti resti di supernova, quegli spettacolari oggetti celesti costituiti dalla materia che rimane in seguito all’esplosione a supernova di una struttura stellare. Tra questi è decisamente peculiare quello definito dalla sigla G299.2-2.9: le evidenze in nostro possesso portano a ritenere che siano i resti di una supernova di “tipo Ia”, dove una stella nana bianca è cresciuta sufficientemente (a spese di una compagna) per arrivare infine all’esplione termonucleare.

Essendo ben più vecchia della maggior parte dei resti di supernova causati da queste esplosioni, ad una età stimata di circa 4500 anni, G299.2-2.9 si presenta come una ottima occasione per gli astronomi, per studiare l’evoluzione nel tempo di questi oggetti.

L'immagine composita del resto di supernova G299.2-2.9. L'ampiezza della struttura è di circa 114 anni luce (Crediti: X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Park et al, ROSAT; Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF)

L’immagine composita qui presentata mostra il resto di supernova in banda X (dati da Chandra), insieme con dati forniti dalla sonda ROSAT (in colore arancione), riportati sopra una immagine in infrarosso ottenuta dalla Two Micron Sky Survey (2MASS).

La debole emissione in banda X proveniente dalle regioni interne rivela la presenza piuttosto abbondante di ferro e silicio, come da attendersi per questo tipo di supernovae. Gli strati più esterni invece risultano abbastanza complessi, con segni della presenza di una struttura ad (almeno) due strati. Tipicamente, questo è associato con l’esplosione di una stella in una zona dove gas e polveri non sono uniformemente distribuiti.

E qui sta il bello: siccome le teorie più diffuse assumono che la supernova scoppi in un ambiente uniforme, lo studio dettagliato di  G299.2-2.9 dovrebbe aiutare non poco gli astronomi a capire la natura degli ambienti dove le supernove esplodono realmente. 

A sua volta, la caratterizzazione sempre migliore delle supernovae di tipo 1a è fondamentale per lo studio del cosmo: queste sono infatti tra le più diffuse “candele campione” – oggetti dalla cui luminosità si confida di ricavare affidabili stime di distanza. Attraverso di loro si studia – tra l’altro – la materia oscura e il grado di accelerazione cosmica. Sì, proprio quella accelerazione che ha portato il recente Nobel per la fisica a Saul Perlmutter, Brian Schimdt e Adam Reiss.

Chandra Press Release

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La nebulosa della Carena, una fabbrica di supernovae

Una recente immagine di Chandra ci mostra nuovi intriganti dettagli della Nebulosa della Carena, una regione di alta formazione stellare posta nel braccio “Sagittario-Carina” della nostra Via Lattea, ad appena 7500 anni luce dalla Terra.

L’immagine è stata acquisita in banda X; i diversi colori rappresentano dunque diverse “durezze” dei raggi X provenienti dalla regione (quelli più “duri”, di più alta energia, sono in colore blu, quelli di energia minore sono in rosso). L’occhio assai attento della sonda Chandra ha potuto scorgere ben 14.o00 stelle nella regione, rivelando anche un alone diffuso di radiazione in banda X. Ha anche fornito una decisa evidenza di come con ogni probabilità diverse stelle siano già esplose in supernova in tale attivissima regione.

L’immagine Chandra della Nebulosa della Carena (Crediti: NASA/CXC/PSU/L.Townsley et al.)

La survey Chandra ha qualcosa di spettacolare, a pensarci. La tecnica di creazione dell’immagine stessa è straordinaria: ci sono voluti oltre 1,2 milioni di secondi di osservazione (circa due settimane) per creare questo mosaico, fatto in realtà di ben 22 diversi puntamenti (con un campo di vista di circa 1,4 gradi quadrati, niente affatto piccolo). Il frutto di tale lavoro ha appunto permesso di rilevare l’ingente numero di stelle citato.

Secondo un approccio sempre più utilizzato (e sempre molto fecondo), i dati sono stati posti a confronto con osservazioni in altre bande: Spitzer e il Very Large Telescope hanno fornito preziosi dati in banda infrarossa della stessa regione.

Le cose che si imparano dall’analisi dei dati così raccolti sono molteplici.

  • Diverse evidenze supportano il fatto che la produzione di supernovae nella regione sia già iniziata. Ad esempio, il deficit di raggi X che “affligge” l’ammasso stellare chiamato Trumpler 15 (localizzato nei pressi del centro della regione) lascia pensare che molte delle stelle più massicce (a vita più breve), forti produttori di raggi X, siano già “scomparse” dalla scena, esplodendo appunto a supernovae.
  • Similmente, l’alone in banda X diffuso potrebbe essere dovuto a supernovae già esplose (oltre che a venti stellari originati da stelle di grande massa)
  • Questo quadro è anche supportato dalla scoperta di sei stelle di neutroni, che dovrebbero essere niente altro che i residui di altrettante supernovae (in precedenza se ne conosceva una soltanto).
  • Si è anche scoperta una “nuova” popolazione si stelle giovani e di grande massa; questo raddoppia il numero conosciuto di stelle probabilmente destinate ad essere distrutte con spettacolari esplosioni a supernovae.

Nel complesso, una raccolta dati molto accurata e – si direbbe – molto ben pianificata, che non ha mancato di dare risultati importanti per lo studio delle supernovae, e delle regioni di forte formazione stellare.

Chandra Press Release

 

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Il Galileo aiuta a scoprire una nuova classe di supernove “deboli”

Le supernovae sono certamente tra gli eventi più energetici e violenti nell’intero Universo. Queste difatti costituiscono l’esplosione finale che segna la fine del ciclo di vita di alcuni tipi di stelle. L’energia cinetica tipicamente rilasciata in queste esplosioni può raggiungere i 1051 erg (un valore davvero enorme) mentre gli strati più esterni della stella vengono espulsi a velocità che possono raggiungere anche il 10% di quella della luce, la massima velocità permessa nel mondo fisico. Una normale supernova brilla come miliardi di stelle normali tutte assieme, e l’energia totale rilasciata supera quella prodotta dal Sole durante il suo intero ciclo di vita di circa 10 miliardi di anni.

Nell’ultimo decennio il quadro delle esplosioni di supernova si è un po’ complicato, poichè è stato scoperto che in alcuni casi le stelle di grande massa producono esplosioni che possono essere anche 100 volte meno energetiche del normale. Tali esplosioni sono anche caratterizzate da basse velocità degli strati espulsi più esterni, e da più deboli luminosità. In effetti, vi sono dei casi particolari, previsti dalla teoria, in cui tale “piccole esplosioni” potrebbero verificarsi.

Fino ad oggi, comunque, tutte le supernovae deboli osservate mostravano la presenza, al momento dell’esplosione, il loro strato più esterno di idrogeno. E’ una cosa piuttosto sorprendente, poichè si ritiene che vi possano essere diversi meccanismi all’opera – soprattutto per le supernovae deboli – per rimuovere l’inviluppo di idrogeno.


La regione dove è stata scoperta la supernova SN2008ha.
Crediti: sito web del Telescopio Nazionale Galileo

Ora finalmente un gruppo di ricercatori, è riuscito a trovare una supernova debole in cui lo strato di idrogeno esterno non è rilevabile. L’evento, chiamato SN 2008ha, è stato scoperto nella costellazione di Pegaso, a circa 67 milioni di ani luce dalla Terra. La ricerca si è giovata tra l’altro di diverse osservazioni della supernova compiute attraverso il
Telescopio Nazionale Galileo, situato alle Isole Canarie, in Spagna.

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