E’ sempre interessante tornare sui posti dove si è già stati; è interessante vedere come maturano le impressioni, le sensazioni. La prima volta ci vai e vedi tutto come nuovo, devi anche apprendere ogni cosa. E’ un gioco divertente: cerchiamo sempre qualcosa di nuovo, di fresco, una scusa, una occasione per aprire davvero gli occhi. La volta successiva – magari ci torni l’anno dopo, perché ti è piaciuto – ti muovi in uno spazio che già credi di sapere; una estensione dello spazio tuo naturale, in una serie di rapporti tra le cose che già pensi di conoscere. 
Va bene, diciamolo. La prima volta è più un’avventura, in un certo senso. Hai più incertezze, e probabilmente, anche,  meno pretese. A pensarci bene, la pretesa è quello che ti rovina tutto; non guardi davvero, non sei proprio aperto, ma ti aspetti che le cose vadano secondo uno standard tuo, qualcosa che hai già deciso. E che di solito, alla fine ti frega, perché non comprende la possibilità di sorprendersi. Te ne sei dimenticato, teso ad organizzare tutto, a controllare tutto. Oppure proprio non ce la fai, a metterla in conto.
Tornare è anche ritrovare, e insieme cercare una conferma. Ritorni sulla spiaggia conosciuta, con il piacere di ritrovare anche – insieme con tanta gente nuova- dei volti già noti. E’ ripercorrere i posti che si sono già visitati, ricercandone quel mix unico di colori, sapori, temperature, striature del cielo. 
By the sea...
Prendi Vieste, ad esempio. Vieste è un posto dove già dalla strada dalla quale arrivi ti si apre uno scenario che ti appaga, ti rasserena. Giri la curva e sbuchi fuori, la vista spazia subito ampia, sul porto. Perché Il porto è ampio e insieme delizioso. Non è angusto ma è ancora a misura, non ti senti perso. Capisci di poter muoverti, esplorare. Visto la sera è una miriade di puntini luminosi sul mare, nell’aria tersa. 
Andare a mangiare i panzerotti a Vieste, nel posto che sai, è qualcosa che volentieri metti in programma. Va detto che quelli fritti sono i migliori. Te ne mangeresti a iosa, ma ti scotti sempre, il ripieno è tanto gustoso quanto bollente. Non ce la fai ad aspettare e ti ustioni invariabilmente. Per la bontà non c’è pazienza. Prova.
Di nuovo, camminare lungo gli ampi viali, sereni nella sera limpida, costellati di luci e di persone in movimento, negozi aperti fino a tardi, poi anche, quella libreria che ti piace. Tutta la fila dei libri di Giussani, un pò ti senti a casa. Quello che è importante per te, è importante per altri. Su cui cerchi di appoggiare la vita. Una Presenza amica, contro il nulla. Un conto è saperlo, un conto è vederlo, accorgersi. Essere certo di “alcune grandi cose“, da cui tutto deriva e si ramifica.  
I punti chiave di parcheggi e bankomat, farmacie e Uffici Postali, già li conosci. Riprendersi uno spazio appena accennato, l’insediamento dell’anima, che segue la scoperta.
Ci sono gli alti e bassi, giornate in cui l’umore va su e giù per delle stupidaggini (a vederle da fuori, da dentro è tutta un’altra cosa, com’é noto). Ma ci sei abituato, o meglio, tenti ancora di abituartici. A volte con più successo di altre.
C’è la sorpresa di appassionarsi per un piccolo torneo di bocce, ci sono le lunghe passeggiate sulla riva del mare, di pomeriggio o di sera, magari solo con tua moglie. Lunghi tratti in cui alla fine si parla poco, o si sta in silenzio, al bordo di una consistenza che c’è e non si spaventa degli schizzi occasionali, delle turbolenze, perché, come un oceano, gode della sua stessa profondità.
C’è il senso di un tempo, robusto, che vede i propri figli diventare grandi, aprirsi a scoprire il mondo, trovare amici. Li sbirci e gioisci dei primi tentativi di muoversi autonomamente. Sempre però cercando appoggio – una base, una tana. Tornando dal papà, dalla mamma, per trovare un contatto, una consistenza: come condizione di partenza, garanzia per poter andare in fuori, vedere il mondo, le persone. Vai verso l’esterno se sei sicuro di qualcosa, sei certo che ti si vuole bene.  E’ una sorpresa perenne, per te, che ti senti tante volte incompleto, frammentato, dolorosamente incompiuto, pieno di limiti. E’ una sorpresa vedere che sei una consistenza ferma, necessaria, per i tuoi figli. Tu come sei, come sei ora, proprio ora, e non come vorresti essere. 
Ritornare al ristorante lungo la spiaggia, la seconda volta, la sera prima di partire. E vedere tutti a tavola seduti, capire di schianto – come risvegliato da un lungo sonno, come fossi arrivato ora nel mondo, l’avessi trovato così – la benedizione immensa di avere questa famiglia e questi bimbi, che ti guardano allegri e curiosi dal loro posto a tavola, aspettando che arrivino le ordinazioni. Dal loro posto nella vita, aspettando che arrivi il momento di entrarci in pieno. Non da soli, in modo che non vinca la paura. In una compagnia, lungo un cammino. Solo così la strada sarà bella, per loro. Pur con tutte le fatiche e le cadute. Ma potrà essere bella. Su questa speranza riposa anche il cuore di un genitore, trova pace.
In fondo a tutto, come un tappeto morbido. Qualcosa che rimane e non cede all’irrequietezza, sgradita compagna di tanti giorni. Capire che va tutto così, tutto bene così, in questo modo. Non c’è che da essere grati, e lasciare che vada. Con tutti i nostri limiti, standoci.

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