Vado dritto al punto. Non è la cosa più pesante del mondo, una vita priva di significato? Trovo che sia curioso come tanto spesso, tutti quanti, ci mettiamo con dedizione certamente degna di miglior causa, a scansare le domande fondamentali, ci compiacciamo di indulgere in regolamenti, in normative, in analisi di coerenza di questo e quello, nell’analisi bilanciata delle cose piccole, tanto minuziosa quanto splendidamente inutile. Perché a volte sembra che tutti, credenti e non credenti, non si interroghino sulla portata straordinaria di una proposta. O meglio, di una pretesa, come quella cristiana.

Così il rischio è che tanta gente, tanti di noi, si augurino buone festività  e passino il periodi di Natale senza capire cosa stanno festeggiando. O peggio, smettendo di chiederselo. 

Seguitemi, che prendo la cosa da un altro angolo. Facevo pensieri in questi giorni, non mi davo pace. Ci deve essere qualcosa che ci unisce, qualcosa che una volta almeno faccia piazza pulita delle barriere, degli steccati, dei distinguo. Che per carità, hanno pure la loro ragion d’essere, nessuno lo nega. Ma ci deve pure essere qualcosa di altro, qualcosa che si muove in uno spazio diverso, in un altro ordine di rapporti. 

Ecco, anche il Natale. Non si tratta certo di svuotare una festa del suo significato “scomodo”  per renderla palatabile a tutti. Certo no. Si tratta piuttosto di vedere come una cosa enorme debordi e interroghi, travalichi i pensieri pigri. Si imponga.

Ci deve essere – c’è – una nostalgia del cuore che unisce tutti. 

Cosa è il Natale se non una sfida lanciata contro il nonsenso, quella disperazione quieta che conosciamo fin troppo bene? Quel senso di andare avanti senza un obiettivo chiaro, ma sopratutto grande, enorme. Qualcosa capace di rendere ragione di tutto, di tutto. 

Accidenti. Messa così, c’è ancora qualcuno che può dire di non essere interessato? 

Piccolo U-Turn (con rientro in corsia)Pensando a questi anni, vedo questo. Siamo ancora come un esercito in ritirata. Dopo le grandi esaltazioni ideologiche, siamo rimasti scottati. Siccome una rivoluzione collettiva non è riuscita – o è riuscita solo a spargere sangue di nostri fratelli – ci siamo fatti furbi. Per così dire. Ci siamo rinchiusi. Se abbiamo capito che la salvezza non viene dall’imposizione di un nuovo ordine politico e sociale (come era nell’aria anni fa) abbiamo cominciato a credere che possa venire – semmai –  da un ambito più privato. Da una certa modalità di rapporto, dei rapporti.

E ci siamo tutti, in questa barca.

Il sentire comune permea chi crede e chi non crede. E poi anche credere non è mettersi una tessera in tasca e dire “ora sto a posto”. Tutt’altro. E’ partire per un’altra avventura. Dinamica. Non è un punto di arrivo ma di partenza. Dirsi credenti – normalmente – non mette al riparo dalle prove, dallo sconforto, dai dubbi.

Non è diventare automi. Si rimane uomini, grazie al cielo. Anzi, si dovrebbe diventare più uomini (se non si guadagna in umanità, la cosa inizia a rendermi perplesso…). 

Per questo mi sembra che quello che ci unisce, che ci può unire, è una sfida alla ricerca di senso. Una sfida, da qualsiasi posizione pensiamo – o ci raccontiamo – di partire. Quella che affrontiamo tutti i giorni, che può trovarci attenti, che ci fa ribellare ad una vita automatica. 

Propongo un breve video di Jung, qui di seguito, inserito poco tempo fa nella pagina Facebook di Darsi Pace. Jung mi piace perché si muove in uno spazio complesso, articolato, direi sano. Mentre lo spazio delle nevrosi è sempre scarno e privo di sfumature, è una verità impazzita, è tutto un bianco/nero ideologico senza toni di grigio, senza modulazioni.

Ecco. C’è una vera rivoluzione che va condotta, finalmente, ed è la rivolta contro il nonsenso. Una rivoluzione che volge all’esterno come all’interno di noi stessi. O meglio, volge all’interno per poter cambiare l’esterno. Basta poco per capire che non è minimamente in questione una qualche coerenza etica, non si parla punto di “essere più buoni”: si va davvero al di là, perché se anche la bontà o l’impegno non è recuperato nell’ottica di un senso più grande, più esteso, niente ci salverà dal cedere al cinismo, prima o poi.

Ebbene. Non so voi, ma io per Natale chiedo questo. Chiedo di capire, ma no…  di sentire, con la testa, il corpo, la pancia, le mani, le gambe, il sesso, i piedi, il respiro… che la vita ha senso, chiedo di avvertire che la mia esistenza in questo punto dello spazio-tempo non è un mero accidente casuale, un evento freddamente atomico e molecolare di uno spazio fisico in movimento perpetuo insensato ad evoluzione casuale, ma è un qualcosa di profondamente significativo per l’Universo stesso e per tutto il reale. Che attraverso di me si deve realizzare qualcosa e che nella libertà di adesione a questo io posso realizzarlo – o meglio, posso permettere che si realizzi, posso essere non artista ma appena strumento. 

Chiedo di capire che ho un ruolo e che la mia vita ha un fine.

Che posso realizzarlo, dicendo  – sussurrando appena – il mio “sì”.

Questo è il regalo che chiedo. Niente di meno. Non so come e quando arriverà e in che forma, in che pacchetto, con che bigliettino sopra, ma in fondo non è un mio problema. 

Il mio problema è appena un altro, e sta nel non dimenticarmi di chiederlo.

Questo auguro anche a voi, di cuore. Buon Natale.

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