Nasceva oggi, Etty Hillesum, il 15 gennaio del 1914. Lo sappiamo, è morta in un campo di concentramento nazista. E ha lasciato un diario che è una delle cose assolutamente più straordinarie, più fluide e spiazzanti, che si possano trovare in forma di stampa.
 
 
Scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, che circondi il fatto di Etty mi spaventa totalmente. E’ impossibile. Se sono qui che comunque metto una parola dietro un’altra, completamente cosciente della sproporzione a dire che si apre in queste righe, che quasi le divora prima che le scriva, è appena per un atto di omaggio.
 
Ecco, credo che solo questo mi sia possibile. Un omaggio.
 
Così è la faccenda. Non posso analizzare, circondare, circoscrivere nulla, in questo caso. Posso solo arrendermi ad essere circoscritto. Entrare nel suo diario in fondo è questo. E’ sentirsi addosso una vita, una vita carnale, carnalissima (con tutti i particolari del caso, riportati nel testo) ed insieme intrecciata sempre più irriducibilmente con l’Essere, con quella Entità personale diversa dal mondo ma immanente ad esso, che chiamiamo Dio.
 
Etty attraversa il mondo senza particolari tentazioni spiritualistiche, senza azzardare alcuno spiritual bypassing, ma vivendo nella carne. Con la sua umile scrittura fa (senza volere) una cosa rivoluzionaria, fa piazza pulita di tutti i nostri schemi su cosa debba essere una vita davvero carnale e una vita realmente spirituale (e tutte le distanze tra le due che ci riusciamo ad inventare, in modo a volte perverso), ci fa capire in modo molto salutare ed assai benefico (meglio di una bastonata zen, per capirci) che non abbiamo ancora capito niente.
 
E insomma, c’è tutto nel diario. C’è anche la psicanalisi, c’è la letteratura, c’è il turbamento emotivo della giovinezza, i dubbi, la politica. E c’è la poesia, c’è la grazia esistenziale — fonte di perpetuo stupore — di una ragazzina che annota, nei suoi ultimi giorni prima di essere uccisa nel campo di concentramento, che
 
Il cielo è pieno di uccelli (…) il sole splende sulla mia faccia, e sotto i nostri occhi avviene una strage, è tutto così incomprensibile. Io sto bene.
Diceva Etty che la gratitudine è sempre più grande del dolore.
 
Ecco, io che sto leggendo il tuo diario, ti sono grato, cara Etty. Mi sei tanto cara, perché il tuo stesso percorso esistenziale mi mostra quanto sia irriducibile ad una visione egoica/materialistica, mi dimostra che l’armonia nascosta vale più di quello che appare, per dirla con Eraclito. Per mostrarmelo l’Essere ti ha condotto a donare la vita, per mostrarlo davvero sul campo e non appena elaborarlo come concetto.
 
Ecco perché ti sono grato, ecco perché ardisco di scrivere di te, consapevolissimo della mia piccolezza. Non per citare brani del tuo diario, per commentarli. Sarebbero troppi, e ogni mio commento rischierebbe di addomesticare la meraviglia, di ucciderla.
 
No, ti scrivo appena per questo. Per dirti grazie.
 
E scelgo di non sistematizzare troppo, stavolta, ciò che dico. Di non bilanciare. Perché stavolta non me la cavo, non me la cavo se non con lo stupore. Nessun ragionamento bilanciato, no proprio nessuno.
 
E poi questo, che mi ricollega così dolcemente al momento presente. Non so se è una citazione esplicita, ma ecco: mi piace pensare che lo sia. Quello che Kate Bush, in un brano introduttivo della seconda parte dello splendido Aerial, fa dire a Bernie, il suo bambino, è infatti straordinariamente simile alla frase di Etty. E ne rilancia l’intrinseca, irriducibile armonia poetica.
 
Il cielo è pieno di uccelli… sembra che stiano parlando…
 

 

 

Armonia poetica. Cioè vitale.

 
A dispetto di ogni campo di concentramento, del corpo o dell’anima.
 
A suo perenne scacco. Non in forza di una idea, ma di una armonia.

 

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