Sono tempi strani, e questi tempi elettorali, forse esaltano e fanno brillare quel senso di disagio, che è caratteristica anche della politica di questi ultimi tempi. 
Fateci caso, quasi nessuno dei nostri politici si cura di spiegare che specifica formazione europea sostengano, e tanto meno di dettagliare le ragioni di una scelta, delinearne i motivi, il quadro ideale di riferimento. 
Non si ascoltano (quasi) da nessuna parte, dettagliate analisi sulla composizione del Parlamento Europeo, sul perché afferire ad una formazione oppure all’altra. Niente affatto, si sceglie sovente di far leva sui soliti temi di politica italiana, purtroppo ridotti a slogan e dunque svuotati drammaticamente di quella profondità di pensiero che sarebbe necessaria per affrontarli davvero. 
Quando poi non arrivino, e parliamo di ministri, ad entrare a gamba tesa nel terreno del sacro (da percorrere, come si capisce, con grande cautela in queste circostanze, essendo il terreno del vero senso, della profondità inaudita e irriducibile delle cose) nel tentativo un po’ maldestro di rafforzare la presa emotiva (a questo punto) di una certa posizione – che invece andrebbe argomentata su basi laiche e razionali, non ricorrendo al sacro se non per quello che ha a che vedere con il cuore, con la poesia e il dramma della vita e della morte. E e non certo con i calcoli elettorali.
La prima sensazione, davanti a questo, è di tristezza. Stanno facendo a gara per spingermi a decisioni d’impulso, elaborate su base emozionale, pulsionale, su simpatie e antipatie politiche di cortile. Decidere per le bellezza dell’Europa giocando su un’area piccola piccola, quella di una misera controfigura della politica italiana. Quando la posta in gioco è ben più alta, quando si tratta di alzare lo sguardo. E respirare. Stanno facendo della mancanza di poesia (ovvero di una visione profonda e liberante dell’uomo e del cosmo) un espediente per manipolarmi. Ridurre la speranza e quindi manipolarmi più facilmente. 
La rivincita è prima di tutto del pensiero. Ripensare con fiducia all’Europa, è un atto poetico e politico. Europa, che è la bellezza scintillante ed intima di Parigi, la fuga di stradine intorno a San Pietro a Roma, i meravigliosi Kew Gardens di Londra (questo forse per poco ancora, ma chissà), la maestosità tranquilla ed assolata di Marientplatz a Monaco di Baviera, il tesoro a cielo aperto che è Siviglia… e tanto, tantissimo ancora. Sono tanti mondi incastonati l’uno all’altro, tanti universi appassionatamente connessi, innervati e vivificati dai sogni di chi ha voluto guardare avanti, spingersi oltre. Dove si è formato un essere europeo che è ricchissimo di tante di queste suggestioni, di una culla di cultura ed elaborazione politica, di un modo di vedere il mondo che è ultimamente stellato (come la bandiera europea, proprio). 
Alzare lo sguardo alle stelle. Sognare e muoversi per lavorare il sogno. 
La prima cosa che costruisce un sogno, che lo innerva di linfa, è la fede. Dobbiamo innanzitutto crederci, di nuovo. Questa intima decisione riallinea qualcosa nell’universo, rende le cose di nuovo possibili. Le cose sono possibili secondo quanto io mi permetto di crederle tali, in fondo sappiamo che è così.
Crederci vuol dire anche fare un gran respiro, soffiar via gli umori tristi delle baruffe tra verdi e gialli e sul senso di falsa sicurezza e vera chiusura che alcuni propugnano (con o senza rosario in mano). Vuol dire fare una mossa imprevista, scantonare dall’angolino dove ci vorrebbero confinati, e aprirsi al sogno, alla possibilità sognante dunque poetica, dunque concretissima, di operare. 
Di esserci, di relazionarci, di baciarci. 
L’Europa, dove è ? L’Europa esiste, è nel mio cuore, non me la possono rubare. 
L’Europa infatti è un bacio, non è un ragionamento astratto.
Se non la vedi, ne senti la mancanza. 
Proprio senti una fitta al cuore.
L’Europa sono persone e immagini, sogni e costruzione, che avvengono. Che stanno avvenendo, ora. La cosa più bella e umana è prenderne atto, in modo semplice, non ideologico. Partire da qui, dal “cuore dell’uomo che non riesce ad arrendersi” come dice il volantino di Comunione e Liberazione Una presenza al bisogno del mondo“.  
La vera rivoluzione, è riportare la poesia in politica, ovvero tornare a parlare del cuore dell’uomo, e farlo anche in un volantino che ci si attende debba essere asciutto e concreto. Perché il punto è questo. Tutto l’amaro veleno del nostro errore, è ritenere che ciò che parla del cuore non sia concreto. Siate realisti, chiedete l’impossibile, diceva uno slogan del sessantotto. 
E invece, all’inizio sembrerà la cosa più astratta. Magari penserete anche voi che dice “cose giuste ma non facilmente usabili”. Lo si può pensare, viene da pensarlo, alla nostra mente quando è presa dai bilanciamenti dei rapporti di forza, dalla mancanza del bacio della poesia (cioè del Destino buono). Poi quando ci entrate dentro, capite che ad essere astratto, in questa campagna elettorale, è semplicemente tutto il resto. 
Possiamo alzare lo sguardo, 
crederci, di nuovo?
Io dico di sì. 

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