Appena ieri, il 5 settembre. Ma dell’anno 1977, profondamente nel secolo scorso. Erano tempi di fermento per l’astronomia. Proprio il mese precedente il telescopio Big Era, dell’Ohio State University, aveva ricevuto un segnale che sembrava indicare una emissione da parte di una intelligenza extraterrestre, l’ancora famoso segnale Wow! (l’origine del quale non si è mai completamente chiarita). E certo, era stato anche lanciato il cugino Voyager 2 (ok, non mi chiedete perché la numerazione è invertita, a me personalmente fa pensare alla track listing del capolavoro musicale di pochi anni successivo, The Pros and Cons of Hitch Hiking, dove avviene un simile scambio temporale tra Part 1 e Part 2 di uno stesso titolo).

Il momento del lancio della Voyager 1, da Cape Canaveral (Crediti: NASA)

Sul piano sociale e politico non è stato scevro di eventi importanti. Quell’anno duecento intellettuali firmano la Charta 77, realizzando la più importante iniziativa del dissenso in Cecoslovacchia. In Italia prende il via (a Catanzaro) il processo per la strage di Piazza Fontana. In India si dimette da primo ministro Indira Gandhi.

In tutto questo, parte la sonda destinata (ma non lo sapeva nessuno al tempo) a divenire l’oggetto costruito dall’uomo oggetto più lontano dalla Terra in assoluto. Perché non solo ha pienamente compiuto la sua missione nominale – ovvero, condurre studi ravvicinati su Giove e Saturno, ma stante le sue eccellenti condizioni di salute, ha proseguito nel suo viaggio fino ad uscire dal Sistema Solare.

Ora ci sta mandando dati dallo spazio interstellare: dati preziosissimi, completamente fuori dalla nostra portata, se non fosse appunto per le sonde Voyager.

Si pensa che la Voyager 1 raggiungerà la nube di Oort tra circa 300 anni (con tutta probabilità, non saremo noi a parlarne, anche perché purtroppo i collegamenti con la Terra saranno ormai interrotti da tempo). Possiamo fin da subito però seguire in diretta lo stato delle due sonda Voyager nella pagina approntata dalla NASA.

Una nota a margine. Personalmente mi emoziono sempre un po’ quando si parla della Voyager 1. Sono pieno di ammirazione per gli ingegneri della missione, che hanno adottato una strategia oculata di spegnimento dei vari strumenti di bordo, sacrificando anche sezioni importanti come quella fotografica, ma con l’obiettivo ultimo di mantenere la sonda funzionante e collegata a Terra, per il maggior tempo possibile.

Così lei ora è là, a più di 24 miliardi di chilometri da noi (più di 22 minuti di viaggio di un raggio luminoso), che ancora acquisisce dati e li manda a Terra. Qui la scienza si tinge di emozione, la ragione chiama il sentimento, pensando a questo puntino lontanissimo sperso nell’infinito, ma ancora in dialogo con la Terra.

Viene in mente un brano di Luigi Giussani (da “Il senso religioso”), ove avverte che

la ragione non è un meccanismo disarcionabile dal resto di questo cavallo che è l’uomo in corsa per la sua strada; essa è profondamente e organicamente relazionata al resto dell’io.

E se non è astronomia emozionante questa, che lega profondamente la razionalità scientifica al puro sentimento di stupore, ditemi voi.

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