Super, perché Luna

Non molti giorni fa – alcuni fra voi l’avranno notato – abbiamo goduto di una bellissima superluna. Chiamiamo superluna, nel dettaglio, la coincidenza del fatto che la Luna è piena con la circostanza della maggiore vicinanza alla Terra. L’effetto è piccolo, da osservare ad occhio, ma esiste.

In Osservatorio, come potrete capire, non potevamo evitare di rilanciare questo evento astronomico, accessibile a tutti (qui lo spettacolo è assicurato, non servono grandi telescopi): la foto dal nostro account X è di Elisa Nichelli, con Phone 15 pro max usando zoom ottico massimo e aggiustando l’esposizione (e… trattenendo il fiato fortissimo) 😄

La superluna appena trascorsa era anche, per la cronaca, una luna blu, secondo la definizione per la quale così si chiama la terza Luna piena che accade durante la medesima stagione. In realtà non appare particolarmente blu, ma tant’è. Che poi non c’è chiaro accordo, un’altra definizione di Luna blu infatti la individua nella seconda Luna piena dello stesso mese (tanto per complicare le cose).

Una fantastica immagine catturata da Alexandros Maragos

Prescinendo dalle varie ipotesi di spiegazione riguardo alle varie denominazioni, questa bellissima immagine ci mostra la superluna blu mentre sta sorgendo dietro il Tempio di Poseidone, presso Capo Sunio, in Grecia.

Questa superluna è particolare perché fa da apripista, è la prima di una serie di quattro: le prossime tre da osservare ci aspettano a settembre, ottobre e novembre.

Fin qui il puro dato osservativo. La Luna però – vorrei permettermi – è sempre super. Perché la Luna è davvero un corpo celeste speciale. Lo possiamo vedere come il simbolo dell’alterità, di ciò che vive accanto a noi ma non è noi. Certo, anche Saturno, anche le altre galassie, i quasar, non sono noi, non sono il nostro mondo. Ma sono oggetti lontani, inaccessibili in un certo senso.

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Il cosmo e la poesia (V)

La sonda Voyager 1 è attualmente l’oggetto creato dall’uomo più lontano da noi, in senso assoluto. Partita nel 1977, si trova adesso a più di 24 miliardi di chilometri da casa. Voyager 1 (come la sorella gemella, Voyager 2), dopo 47 anni di onorato servizio e dalle distanze cosmiche dove è arrivata, non solo mantiene i contatti con la Terra, ma ancora invia informazioni scientifiche. C’è stata parecchia apprensione negli ultimi mesi, perché i dati in arrivo dalla sonda erano improvvisamente diventati incomprensibili, indecifrabili. Un guasto ai computer di bordo: c’era la paura di perdere il contatto. Oppure, di non riuscire più a parlarci, a capirci.

Immagine artistica della Voyager 1 (Crediti: NASA)

Ora che scrivo, la NASA è appena riuscita a riprendere il dialogo con la sonda, riprogrammando i computer in modo da aggirare l’avaria. Impresa quasi incredibile, considerando che – a motivo dell’enorme distanza – ogni comando che si impartisce da Terra viene ricevuto dalla sonda quasi con un giorno di ritardo e la risposta arriva a Terra ancora un giorno dopo.

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Il cosmo e la poesia (II)

Come abbiamo iniziato a comprendere la volta scorsa, la poesia ha costantemente guardato al cielo con quel senso di meraviglia che a volte l’impresa scientifica (possiamo pur dirlo) ha perso di vista, incalzata dall’inesorabile progredire della tecnica e dalle nuove possibilità che si aprono continuamente – in particolare – per l’esplorazione dello spazio. La poesia è allora ciò che aiuta l’astronomo a rientrare in sé, a recuperare la sua umanità e quindi lo aiuta e a tornare amico delle parole e perciò stesso, a raccontare e raccontarsi. Se l’intero è più della somma delle sue parti, il cosmo è ben più della mera collezione delle informazioni riguardanti gli oggetti che lo compongono. Il poeta non si cura di studiare la struttura degli interni stellari, compito senz’altro dell’astrofisico: egli intende piuttosto di riportarci a quella comprensione globale del cosmo che pur ci appare necessaria. Può esserci ancora spazio, in questo mutuo soccorrersi, per interrogativi oziosi su quale delle due attività sia da considerare privilegiata?

Busto di Saffo conservato nei Musei Capitolini a Roma

In fondo, la poesia è la divulgazione del mistero del cosmo e dell’uomo, in modalità fascinosamente sintetica e secondo la difformità di visioni che garantisce, per cui la scienza che torna amica della poesia è una scienza che si fa divulgare con maggior facilità e con più deciso riscontro. La poesia insomma fa bene alla scienza (ma vale anche il viceversa).

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Il cosmo e la poesia (I)

Da più parti ormai si percepisce la necessità indilazionabile di un punto di sintesi ed unione delle diverse discipline. Assai concreto, in questo tempo, il rischio di una sorta di cosmica confusione: migliaia di emittenti su centinaia di frequenze diverse e da decine di media propongono messaggi ed offrono ricette per la vita (per citare il grande Franco Battiato).

Da astrofisico e scrittore, ho percepito sempre molto forte l’esigenza di comporre prima di tutto in me stesso istanze in apparenza divergenti, come quella scientifica e quella letteraria. Va da sé, operazione necessaria: questo universo non può essere compiutamente pensato la poesia, perché rimane arido e asettico, poco interessante, ultimamente inaccessibile. Sepolti da tonnellate di big data, perdiamo il senso di ciò che stiamo indagando. Così accade, se ci affidiamo esclusivamente alla scienza ed alla tecnica, per sviluppare una narrazione complessiva del cosmo.

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Cercando nuova vita (il metano ci dà una mano)

Era un antico refrain pubblicitario, in realtà: il metano, ci dà una mano. E già la mente indugia sui bei tempi passati, comprende anche ogni epoca aveva le sue suggerite priorità, i (tenacemente) sussurrati ordini del giorno. Come accade oggi, in pratica. Né più né meno. Solo che liberarsi è sempre più difficile. Ma questo è già un altro argomento e ci porterebbe fuori strada.

A parte notare quanto questi semplici slogan si incastrino nella memoria e vengano fuori a distanza di decenni, se c’è (come qui) appena un appiglio. Il che può anche apparire inquietante, per certi versi.

Però qui il metano non ci dà una mano per l’uso più o meno virtuoso dell’energia (fateci caso, qualsiasi cosa viene sempre soprannominata pulita oppure verde a seconda delle priorità del momento), piuttosto ci aiuta a capire quanto siano vivibili dei luoghi molto lontani. Argomento, dunque, ben più serio di uno slogan pubblicitario o di una tecnica per acquisire consenso sociale.

L’immagine di fantasia ritrae il pianeta (a destra) attorno al quale orbita una luna (al centro), con la stella madre sullo sfondo (a sinistra). Crediti: Ahmad Jabakenji (ASU Lebanon, North Star Space Art); Data: NASA, ESA, CSA, JWST

Dove altro potrebbe esistere la vita? Una domanda di sempre che sempre più trova nuove risposte, in quest’epoca. Nel 2019 si scovò un esopianeta con una significativa parte di vapor d’acqua in atmosfera, il pianeta K2-18b. Con la sua stella madre (K2-18, lo so non è un gran nome…), vive a circa 124 anni luce da noi. Ben più grande e pesante della Terra, orbita comunque nella zona abitabile della sua stella.

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Tutti i neutrini di Claudio

Vorrei partire proprio da loro, gli elusivi neutrini. Vorrei partire da loro per arrivare a parlare di poesia. Perché accostare i neutrini alla poesia è ancora qualcosa di particolare, di abbastanza inedito. Crea un cortocircuito mentale particolarmente salubre, per cui alla fine inizio a chiedermi cose nuove, sono almeno un po’ spiazzato, portato fuori dal mio ambiente solito di derivazioni e convenzioni, di usi e convinzioni. Che è poi, mi pare, l’obiettivo primario del dire poetico.

Tecnicamente siamo inondati dai neutrini (ce ne scorrono addosso miliardi ogni secondo), ma è raro che, in questa indicibile e silenziosa moltitudine, qualcuno di loro si fermi con noi per farsi raccontare, divenire oggetto di un dire poetico.

Ho tra le mani l’ultimo libro di Claudio Damiani. Tra le mani, per dire: è sul Kindle, ma per noi fa lo stesso. Il fatto rimane, ed è questo. I neutrini entrano a pieno titolo nella poesia di Claudio, si ritagliano agevolmente un loro posto. Tanto che non percepisco nulla di strano, non avverto smagliature nello spaziotempo, non registro particolari torsioni o tensioni nella rete di connessioni cosmiche.

L’essere è, e tu sei con lui.
Sei tutt’uno con il cielo, con la terra, le piante,
sei tutt’uno con le macchine anche
e coi neutrini sparsi nell’etere.

Da fisico – ma anche (lo confesso) da poeta artigiano, da aspirante poeta minore, se volete – mi viene da esclamare finalmente! Finalmente si fa poesia anche con i neutrini, finalmente si conferisce loro la piena dignità che meritano. Li si fa esistere pienamente. Se una cosa non è oggetto di poesia, di letteratura, non è veramente viva. Vuol dire che non sfiora il nostro centro emozionale, può certamente starsene tra le pagine di astrusi manuali d’astronomia o di fisica, ma non è entrata in vera interazione con le nostre coscienze, con le nostre anime. Impastare il tessuto poetico con i neutrini – farne oggetto di poesia – secondo me li fa vivere davvero.

Claudio Damiani (a destra in foto) insieme con Andrea di Consoli, in maggio a Roma, per una presentazione del libro “Prima di nascere”

E anche noi, scienziati di professione, dobbiamo gioirne: perché fare scienza con le cose morte, veramente, non ci interessa proprio più. La vecchia idea della scienza era quella: particelle, azioni e reazioni, forze e campi, tutto poco interessante, poco umano. La scienza nuova è quella che cerca (e quindi trova) l’umano in tutto, anche nei quasar più lontani. Anche nei neutrini.

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