Blog di Marco Castellani

Tag: relatività

Prima del salto

Ammettiamolo. I buchi neri sono difficili da trovare. Per un astronomo dell’ottocento sarebbero qualcosa di incomprensibile. Ciò che non fa luce è invisibile, inaccessibile. In pratica è come se non esistesse. Non esiste.

Il quadro è cambiato e un nuovo universo si è affacciato alla nostra percezione. Riceviamo segnali dal cosmo che vanno ormai ben oltre il flusso di fotoni nella banda del visibile. Siamo entrati da tempo nella astronomia multimessaggio, che ci parla di un cielo molto più complesso ed anche emozionante di quanto si pensava un tempo.

Un’immagine artistica di un buco nero.
Crediti: XMM-Newton, ESA, NASA

I buchi neri sono comunque difficili da trovare, perché possiedono una gravità così forte che nemmeno la luce può sfuggire, è come intrappolata. Che la luce e la gravità abbiano qualcosa a che vedere – in pratica, che la materia piega lo spazio – è un’altra cosa inconcepibile per il nostro astronomo ottocentesco.

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Lo spazio, che si piega

Avviene. Per quanto sembri strano, avviene. Ne abbiamo parlato varie volte. La fisica moderna (segnatamente, la relatività generale e la meccanica quantistica, ma anche tanta parte della più nuova fisica) è — anche e soprattutto— un’avventura del pensiero che trascende in moltissimi aspetti il nostro senso comune. E che ci invita ad allargare la mente, a forzare i nostri schemi di pensiero, per abbracciare un punto di vista più grande e più inclusivo, più morbido.

Già da cento anni sappiamo che la materia piega lo spazio, ne altera davvero la geometria. Pensiamo però (quando ci pensiamo) che sia qualcosa che acquista senso solo su scale cosmiche, che sia qualcosa di ordinariamente trascurabile. Invece è veramente una proprietà dello spazio tempo di cui troviamo traccia anche su scale stellari.

CreditiNASAESA, and K. Sahu (STScI)

Vediamo. La stella brillante al centro della foto è la nana bianca Stein 2051B, abbastanza vicina a noi (roba di poco meno di diciotto anni luce, un’inezia su scala cosmologica). La stellina meno luminosa, in basso, è invece a circa cinquemila anni luce di distanza.

Gli astronomi hanno osservato in diversi momenti la combinazione delle due stelle, colte nelle diverse posizioni a seconda delle rispettive orbite. Osservando che durante la fase di allineamento, la nana bianca modifica veramente il tragitto della luce della stella lontana. Facendola spostare ai nostri occhi di circa due milliarcosecondi rispetto alla sua vera direzione di provenienza.

L’entità dello spostamento è veramente minima, è come osservare una formica muoversi su una moneta posta a 2300 chilometri di distanza.

Ma c’è. La luce è piegata, o meglio lo spazio si piega, per la presenza della stella più vicina a noi.

Pensateci: viviamo in un mondo strano. Come definire un mondo in cui un sasso altera la geometria dello spazio? Dove la forma del contenitore dipende dal contenuto?

Strano, ma affascinante.

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Il tempo e il senso comune

Decisamente, l’epoca moderna ha assistito ad una sorta di accelerazione nel progresso delle scienze fisiche e nell’astronomia – in particolare – che è probabilmente sconosciuto a diverse epoche passate. Tanto veloce che a volte, mi pare, si lasci indietro qualcosa. O piuttosto, qualcuno.

Sì, credo che a rimanere indietro siamo noi stessi. Tutti noi, in qualche misura.

Siamo proprio noi, infatti, che non riusciamo a metabolizzare compiutamente le acquisizioni (ormai robuste e sperimentalmente ben comprovate) della nuova fisica. E nemmeno tanto nuova, dovremmo aggiungere. Più precisamente, oserei dire che non riusciamo in realtà a digerire le idee di tutta la fisica moderna, quella per capirci che si muove appena oltre il perimetro della cosiddetta “fisica classica” di impronta galieiana/newtoniana.

Il mondo è irriducibilmente più complesso e articolato dei nostri tentativi di interpretarlo. Che rimangono comunque indispensabili

Il mondo è irriducibilmente più complesso e articolato dei nostri tentativi di interpretarlo. Grazie al cielo!

Digerire, appunto. Questo è forse un punto importante. Non appena comprendere, intendo, ma assimiliare, come quasi fosse il risultato di un moto di ingestione, qualcosa che rende il concetto veramente assimilato nelle fibre del nostro essere. “Un’idea un concetto un’idea / finchè resta un’idea / è soltanto un’astrazione / Se potessi mangiare un’idea / avrei fatto la mia rivoluzione” cantava saggiamente Giorgio Gaber, alcuni anni fa.

Basti questa frase di Minkowski, a capire quanto siamo indietro biologicamente rispetto a quanto noi stessi abbiamo scoperto:

« Le concezioni di spazio e di tempo che desidero esporvi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse sono fondamentali. D’ora in poi lo spazio di per sé stesso o il tempo di per sé stesso sono condannati a svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente. »

La frase si riferisce al contesto dell’introduzione del concetto di “spaziotempo quadridimensionale” che poi è alla base della formulazione della relatività, sia ristretta che generale. Tale spaziotempo è una creazione matematica appunto di Hermann Minkowski.

Niente di cui stupirci, insomma: chiaro che per assimilare queste cose ci vuole il suo tempo (appunto). Se non fosse che questa frase è del 1908. Ovvero, in parole povere, antecedente perfino alla Prima Guerra Mondiale.

E’ dunque interessante sorprenderci, alla luce di queste parole – robustissime ancora oggi, sotto il profilo fisico/matematico – ed accorgerci come per noi questo concetto illustrato più di un secolo fa, sia ancora “esterno”, in grande misura. Siamo ben lungi dall’averlo mangiato, se mi permettete il termine.

Quello che è ormai evidente in senso fisico/matematico, cioè il modello che meglio risponde all’interpretazione del reale, rimane per noi difficile da assimilare. Resta lontano, astratto. Diciamo infatti, nella vita ordinaria, frasi come dove ci si trova? Oppure quando è successo? E per noi spazio e tempo non potrebbero per noi essere più lontani tra loro, più distanti. Più distinti, nella loro intrinseca natura. Per noi il tempo, ad esempio, è una entità assoluta e sganciata da ogni altro riferimento, anche biologico,  laddove è l’esperienza stessa – ad un esame attento – che ci potrebbe dimostrare agevolmente il contrario.

Tutto questo, si badi bene, senza scomodare le acquisizioni della fisica quantistica, dove ci sarebbe da scrivere libri e libri sullo scarto – per certi versi drammatico – che si è consumato tra percezione del mondo e modello del mondo. Il modello del mondo derivante dallo studio dei quanti è così bizzarro e per noi incredibile, così carico di implicazioni anche culturali e addirittura (oso dire) spirituali da superare probabilmente ogni più estrema architettura narrativa di impianto fantascientifico.

Il che, a pensarci, va anche bene. Siamo fatti in un certo modo, siamo fatti probabilmente nel modo più adeguato a muoverci dentro il reale. E per avere un quadro lavorabile del reale ci servono rappresentazioni mentali di spazio e tempo distinti, forse.

Allora il fatto che la fisica ci dice – da tempo – che le cose non stanno come le vediamo non ci interessa, se non in un astratto senso intellettuale? Tutt’altro, a mio avviso. Ci dice una cosa fondamentale, per la nostra esistenza: che ciò che vediamo non è ciò che esiste. Che la realtà supera abbondantemente la nostra percezione usuale.

Avverte Henry Margenau  che

al centro della teoria della relatività c’è il riconoscimento che la geometria… è una costruzione dell’intelletto. Solo accettando questa scoperta, la mente può sentirsi libera di modificare le nozioni tridimensionali di spazio e di tempo, di riesaminare tutte le possibilità utilizzabili per definirle, e di scegliere quella formulazione che più concorda con l’esperienza.

E credo – per mettere un primo punto ad un discorso che certo non può fermarsi qui – che il sano dubitare sulla nostra percezione del mondo – che è appunto una percezione e non una fedele rappresentazione – non sia da intendersi in accezione negativa o tantomeno nichilistica, ma sia fondamentalmente da accogliere come una buona notizia.

Ragionare su questo ci porta infatti a fare un passo indietro nella pretesa di conoscere tutto, che spesso inconsciamente ci muove. Ci aiuta nel fare spazio ad altre possibilità, altre storie, nel riconoscere una parte di mistero che se adeguatamente ricompresa può aiutarci anche – paradossalmente, ma non troppo – ad indagare con rinnovato trasporto ed emozione proprio il cosmo nel quale ci troviamo immersi.

Che non conosciamo completamente, e mai conosceremo in forma totale.

Ma che ci parla, in un linguaggio che  – miracolosamente – possiamo capire.

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Osservate per la prima volta le onde gravitazionali con LIGO

A_long_time_agodi Umberto Genovese e Sabrina Masiero

… c’era una coppia di buchi neri, uno di circa 36 volte la massa del Sole mentre l’altro era un po’ più piccolo, di sole 29 masse solari. Questi due pesantissimi oggetti, attratti l’uno dall’altro in una mortale danza a spirale hanno finito per fondersi insieme, come una coppia di ballerini sul ghiaccio che si abbraccia in un vorticoso balletto. Il risultato però è un po’ diverso: qui ne è uscito un oggetto un po’ più piccolo della semplice somma algebrica delle masse: 62 masse solari soltanto.

Il resto è energia dispersa, non molta per la verità date le masse in gioco, pressappoco come quanta energia potrebbe emettere il Sole nell’arco di tutta la sua esistenza. Solo che questa è stata rilasciata in un singolo istante come “onde gravitazionali“.

Ma cos’è un’onda gravitazionale?

spacetime-02

La visione dello spazio che da sempre conosciamo è composta da tre uniche dimensioni, larghezza, altezza e profondità; x, y e z, se preferite. Il tempo, un fenomeno comunque misterioso, fino agli inizi del XX secolo era considerato a sé. Una visione – poi confermata dagli esperimenti di ogni tipo – fornitaci dalla Relatività Generale è che il tempo è in realtà una  dimensione anch’essa del tessuto dello spazio; una quarta dimensione. insieme alle altre tre [1].

Fino alla Relatività Generale di Einstein si era convinti che una medesima forza, la gravità, fosse responsabile sia della caduta della celebre mela apocrifa di Newton, che quella di costringere la Luna nella sua orbita attorno alla Terra e i pianeti nelle loro orbite attorno al Sole. Nella nuova interpretazione relativistica questa forza è invece vista come una manifestazione della deformazione di  uno spazio a quattro dimensioni, lo spazio-tempo, causata dalla massa degli oggetti. Così quando la mela cade, nella Meccanica Classica (essa è comunque ancora valida, cambia solo l’interpretazione dei fenomeni) la gravità esercitata dalla Terra attrae la mela verso di essa mentre allo stesso modo – e praticamente impercettibile – la Terra si muove verso la mela, nella Meccanica Relativistica è la mela che cade verso il centro di massa del pianeta esattamente come una bilia che rotola lungo un pendio e la Terra cade verso il centro di massa della mela nella stessa misura prevista dai calcoli newtoniani.

La conseguenza più diretta di questa nuova visione dello spazio-tempo unificato, è che esso è, per usare una metafora comune alla nostra esperienza, elastico; ossia si può deformare, stirare e comprimere. E un qualsiasi oggetto dotato di massa, se accelerato, può increspare lo spazio-tempo. Una piccola difficoltà: queste increspature dello spazio-tempo, o onde gravitazionali, sono molto piccole e deboli – la gravità è di gran lunga la più debole tra le forze fondamentali della natura –  tant’è che finora la sensibilità strumentale era troppo bassa per rivelarle.

Se volessimo cercare un’analogia con l’esperienza comune, potremmo immaginare lo spazio quadrimensionale come la superficie di un laghetto a due dimensioni, mentre la quarta dimensione, il tempo, è dato dall’altezza in cui si muovono le increspature dell’acqua. Qualora buttassimo un sassolino l’altezza della increspatura sarebbe piccola, ma man mano se scagliassimo pietre con maggior forza e sempre più grosse, le creste sarebbero sempre più alte. Però vedremmo anche che a distanze sempre più crescenti dall’impatto, queste onde scemerebbero di altezza e di energia, disperse dall’inerzia delle molecole d’acqua [2]; alcune potrebbero perdersi nel giro di pochi centimetri dall’evento che le ha  provocate, altre qualche metro e così via. Alcune, poche,  potrebbero giungere alla riva ed essere viste come una variazione di ampiezza nell’altezza del livello dell’acqua del laghetto e sarebbero quelle generate dagli eventi più potenti che avevamo prodotto in precedenza. Queste nello spazio quadrimensionale sono le onde gravitazionali e esse, siccome non coinvolgono mezzi dotati di una massa propria per trasmettersi come ad esempio il suono che è solo un movimento meccanico di onde trasmesse attraverso un mezzo materiale,  possono muoversi alla velocità più alta consentita dalla fisica relativistica c, detta anche velocità della luce nel vuoto.

Il grande protagonista: LIGO

E’ stato LIGO-Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (in italiano, Osservatorio Interferometro laser per onde gravitazionali) il protagonista di questa straordinaria scoperta: uno strumento formato da due strumenti gemelli, uno a Livingston (Louisiana) e l’altro a Hanford (Washington), a 3000 chilometri di distanza dal primo.

Sono due gli interferometri, perché i dati possono venir confrontati e confermati: se entrambi gli strumenti rilevano lo stesso disturbo, allora è improbabile che sia legato ad un terremoto oppure a dei rumori di attività umana. Il primo segnale che conferma l’esistenza delle onde gravitazionali è stato rilevato dallo strumento americano Ligo il 14 settembre 2015 alle 10, 50 minuti 45 secondi (ora italiana), all’interno di una finestra di appena 10 millisecondi.

David Reitze del progetto LIGO ha annunciato al mondo la scoperta delle onde gravitazionali: “We have detected gravitational waves. We did it!”. Crediti: LIGO

Ed eccole qui, in questo diagramma: l’onda azzurra, captata da LIGO di Livingston e l’onda arancio, captata da LIGO di Hanford. Sono sovrapponibili, il che ci dice che sono la stessa onda captata dai due strumenti gemelli. E’ la firma della fusione dei due buchi neri supermassicci con la conseguente produzione di onde gravitazionali. In altre parole, questa è la firma del nuovo buco nero che si è formato dai due precedenti e, come è accennato anche più sopra, le tre masse solari che mancano dalla somma delle due masse che si sono fuse assieme dando vita al nuovo buco nero di 62 masse solari si sono convertite in onde gravitazionali.

Volete udire il suono di un’onda gravitazionale? Sì, certo che è possibile…. E’ straordinario pensare che queste onde rappresentano la fusione di due buchi neri in uno nuovo e proviene da distanze incredibilmente grandi, in un’epoca altrettanto remota: un miliardo e mezzo di anni  fa.

Le prove indirette

Il decadimento orbitale delle due stelle di neutroni PSR J0737-3039 (qui evidenziato dalle croci rosse) corrisponde esattamente con la previsione matematica sulla produzione di onde gravitazionali.

Il decadimento orbitale delle due stelle di neutroni PSR J0737-3039 (qui evidenziato dalle croci rosse) corrisponde esattamente con la previsione matematica sulla produzione di onde gravitazionali.

La prima prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali si ebbe però nel 1974. In quell’estate, usando il radio telescopio di Arecibo, Portorico, Russel Hulse e Joseph Taylor scoprirono una pulsar che generava un segnale periodico di 59 ms, denominata PSR 1913+16. In realtà, la periodicità non era stabile e il sistema manifestava cambiamenti [3] dell’ordine di 80 microsecondi al giorno, a volte dell’ordine di 8 microsecondi in 5 minuti.

Questi cambiamenti furono interpretati come dovuti al moto orbitale della pulsar [4] attorno ad una stella compagna, come previsto dalla Teoria della Relatività Generale. Di conseguenza, due pulsar, in rotazione reciproca una attorno all’altra, emettono onde gravitazionali, in perfetta linea con la Relatività Generale. Per questi calcoli e considerazioni, Hulse e Taylor ricevettero nel 1993 il Premio Nobel per la fisica.

La presenza di una qualsivoglia stella compagna introduce delle variazioni periodiche facilmente rivelabili nel segnale pulsato della stella che i radioastronomi sono in grado di misurare con precisione inferiore ai 100 microsecondi. Giusto per farsi un’idea, immaginiamo di prendere il Sole e di farlo diventare una pulsar. Dal suo segnale pulsato, gli astronomi sarebbero in grado di rilevare la presenza di tutti i pianeti che orbitano attorno a questo Sole-pulsar, grazie al fatto che ogni pianeta causa uno spostamento del centro di massa del Sole di un certo valore espresso in microsecondi. La Terra per esempio, che si muove lungo la sua orbita ellittica, produce uno spostamento del centro di massa del Sole di ben 1500 microsecondi! [5]


Per saperne di più:

La prima pulsar doppia” articolo di Andrea Possenti dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari, pubblicato sul numero di Le Stelle, marzo 2004.

La notizia, pubblicata sul Physical Review Letters, porta i nomi di B. P. Abbott e della collaborazione scientifica di LIGO e VIRGO

Note 

[1]  In realtà le cose sono un attimino più complicate, la quarta dimensione si può percorrere solo in una sola direzione (freccia del tempo) rispetto alle altre tre. Mentre nella Meccanica Quantistica è perfettamente lecito che una particella possa muoversi a ritroso nel tempo (Principio di Invarianza t.

[2] Anche qui occorre sottolineare che la posizione reciproca delle molecole non cambia al passaggio di un’onda, esse si muovono tutte assieme; per provare basta immergere due galleggianti e vedere come essi si comportano al passaggio di un’onda.

[3] [1. In un 1 microsecondo (µs) la luce percorre esattamente 299,792458 metri nel vuoto (questo numero è usato per la definizione del metro).

[4] Una pulsar è una stella dotata di campo magnetico estremamente elevato, circa 2 x 1011 volte il campo magnetico della Terra, una stella formata di neutroni con un raggio di 10-20 chilometri e una massa dell’ordine delle 1,4 masse solari (un po’ come pensare di prendere il nostro Sole e comprimerlo fino a farlo diventare di 20 chilometri di diametro). Il suo asse di rotazione non coincide con l’asse del campo magnetico, e le particelle relativistiche cariche presenti nella magnetosfera emettono radiazione elettromagnetica di sincrotrone focalizzata in uno stretto cono lungo i poli magnetici. Questo segnale elettromagnetico, proveniente da grande distanza e modulato dalla radiazione della stella, viene ricevuto a Terra sotto forma di impulsi elettromagnetici che hanno una ben precisa periodicità. Il sistema si comporta come un gigantesco e compatto volano. Alcune pulsar emettono con una regolarità ben definita da essere utilizzate come orologio di riferimento.

[5] Una lettura interessante su questa prima scoperta la potete trovare sul sito dell’INAF-IAFS di Milano.

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Ascoltare la relatività

E’ on-line sul web l’ultima puntata della squadra di FISICAST, in cui Gianluca Li Causi introduce, in forma di intervista, i tre concetti di base della Relatività Speciale: la dilatazione del tempo, la contrazione dello spazio e l’impossibilita’ di andare più veloci della luce.

Tutto parte dal un unico dato di fatto sperimentale (ma completamente ortogonale alla percezione comune!): la velocita’ della luce e’ la stessa rispetto a chiunque, diversamente da qualsiasi altra velocita’ che invece e’ diversa a seconda di come si muove chi la misura.

Superman

C’è qualcuno che può andare veramente più veloce della luce? La fisica dice di no, eppure…

Questo unico fatto, che ovviamente appare impossibile, e’ stato spiegato da Albert Einstein nella sua Relativita’ Speciale: nei poco piu’ di 15 minuti della puntata, l’ascoltatore viene accompagnato, passo passo, alla scoperta del problema, dei paradossi che porta e di come si possano risolvere, in fondo semplicemente, e a capire qual’e’ il vero motivo per cui non e’ possibile superare la velocita’ della luce.

Tutto questo grazie ad un modo di spiegare diverso dal solito, che si mette nei panni dell’ascoltatore. Buon ascolto a tutti.

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