Ammettiamolo. I buchi neri sono difficili da trovare. Per un astronomo dell’ottocento sarebbero qualcosa di incomprensibile. Ciò che non fa luce è invisibile, inaccessibile. In pratica è come se non esistesse. Non esiste.

Il quadro è cambiato e un nuovo universo si è affacciato alla nostra percezione. Riceviamo segnali dal cosmo che vanno ormai ben oltre il flusso di fotoni nella banda del visibile. Siamo entrati da tempo nella astronomia multimessaggio, che ci parla di un cielo molto più complesso ed anche emozionante di quanto si pensava un tempo.

Un’immagine artistica di un buco nero.
Crediti: XMM-Newton, ESA, NASA

I buchi neri sono comunque difficili da trovare, perché possiedono una gravità così forte che nemmeno la luce può sfuggire, è come intrappolata. Che la luce e la gravità abbiano qualcosa a che vedere – in pratica, che la materia piega lo spazio – è un’altra cosa inconcepibile per il nostro astronomo ottocentesco.

Ci stiamo pian piano abituando all’evidenza che esistano molte cose che non si vedono nel nostro cosmo. Ci sono armonie nascoste di cui cominciamo solo ora ad intuire qualcosa. Il fatto che il 96% dell’universo sia tessuto di qualche trama che non riusciamo ancora a decifrare – un ordito fatto di materia ed energia oscura – è probabilmente il segno che siamo sulla soglia di qualcosa di grande, che stiamo per sperimentare un salto quantico, che un nuovo universo preme alle porte della nostra percezione, aspettando solo che noi si metta bene a fuoco la domanda, il modo corretto di interrogarlo, di ascoltarlo, di dialogarci, affinché che ci possa svelare quello che ancora non abbiamo capito. Il cui mistero ci provoca, ogni giorno di più.

Ogni volta che la fisica è entrata in crisi si è trattato di un ripiegamento prima di un salto. Prima di cambiare un vestito, bisogna sentire che ci sta stretto: altrimenti non si cambia.

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