Mi sono imbattuto giorni fa in un interessante (e piuttosto inusuale) articolo, che affronta il tema dell’astrofisica e dei mondi virtuali. Il titolo è “The MICA experiment, Astrophysics in Virtual Words” (seguendo il link lo potete scaricare, tenete conto che è di semplice lettura ma è comunque in inglese). E’ firmato da una lista piuttosto estesa di ricercatori di diversi paesi, tra cui gli italiani Giuseppe Longo e Enrico Vesperini.

Devo dire, mi sono divertito. L’articolo si legge quasi come una storia. E lo è. Precisamente è la storia dell’origine, ascesa e ‘caduta’ del primo istituto scientifico interamente basato sul mondo virtuale, il Meta-Institute for Computational Astrophysics (brevemente, MICA).  L’istituto è stato ‘aperto’ dal 2008 fino al 2012, anno in cui ha dovuto chiudere i battenti (virtuali) in pratica per mancanza di fondi, e per parziale mancato raggiungimento di alcuni ambiziosi obiettivi…

Come ben si evince dall’articolo, negli anni in cui è rimasto aperto sono stati condotti diversi ‘esperimenti’ interessanti. Meeting, seminari professionali e divulgativi, riunioni tra scienziati, workshop, esperimenti di astrofisica nella realtà virtuale… insomma una serie di pioneristiche iniziative per esplorare le potenzialità degli ambienti virtuali ed insieme per mostrare al mondo accademico i vantaggi di questo nuovo approccio, non trascurabili anche per la disciplina scientifica più rigorosa.

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Il prof. Longo tiene una lezione ‘virtuale’. Docente e studenti sono rappresentati da “avatar” ma in realtà si trovano da lati opposti dell’oceano…

Meeting e seminari si tenevano perlopiù all’interno della piattaforma di realtà virtuale Second Life – una piattaforma commerciale, come è noto – che si è tuttavia dimostrata sufficientemente elastica perché venissero condotti con profitto diversi esperimenti ‘seri’.

Come accennavo, l’articolo, assai onestamente, delinea anche il contorno di quello che si potrebbe chiamare, riecheggiando un poeta, un ‘meraviglioso fallimento’. I vari tentativi di coinvolgere il mondo accademico nell’uso della realtà virtuale e delle relative tecnologie, non hanno raggiunto un risultato realmente soddisfacente.

Secondo i ricercatori coinvolti, vi sono tutte le premesse perché la realtà virtuale, magari non nella declinazione e nell’aspetto che conosciamo oggi, divenga un paradigma di interazione nel web, sostituendo il classico browser. Effettivamente, pensando ai giochi per computer sempre più coinvolgenti, ai progressi dell’hardware e del software per cui certe limitazioni degli ambienti virtuali vengono pian piano rilasciati… sembra un punto di vista condivisibile. Eppure… eppure gli scienziati ‘seri’ e il mondo accademico, ancora esitano a vestire i panni di un avatar e interagire con i colleghi all’interno di un ambiente completamente virtuale.

Sarà perché la fama di questi mondi virtuali, come Second Life, non è sempre limpidamente esaltante, sarà soltanto per il carattere ludico che viene associato a queste cose. Sarà semplicemente l’inerzia nell’adottare nuovi paradigmi, nel dover lavorare per scoprirne la convenienza. O tutto questo insieme?

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Un esperimento di visualizzazione di dati astronomici condotto all’interno di un ambiente virtuale

Oggi presentavo l’articolo in una riunioncina di istituto. Una persona mi ha chiesto, giustamente “ma perché devo avere un avatar per partecipare al mondo virtuale? Non mi basta il classico nickname?” 

Perché non basta il nick, come in Skype? Perché il salto è dal nome alla persona, che sola può garantire un livello di coinvolgimento adeguato secondo il paradigma della realtà virtuale. Che sia un vantaggio per lo scienziato, però, è qualcosa che ancora deve essere adeguatamente percepito.

Insomma, MICA chiude, ma l’attività dei ricercatori coinvolti continua, in altre forme e secondo diverse piattaforme nel web. C’è del lavoro ancora da fare, ma se c’è del buono, alla fine si farà strada. Del resto, è così che funziona la scienza. Così che ha sempre funzionato.

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