Blog di Marco Castellani

Mese: Gennaio 2013 Page 1 of 2

7° Concorso “Osserva il Cielo e disegna le tue emozioni”

Concorso_2013- INAF

di Giuseppe Cutispoto

Nell’ambito delle iniziative divulgative per l’anno 2013, l’INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania (OACT) indice un concorso riservato agli studenti delle scuole primarie. Gli studenti sono invitati a realizzare dei disegni con tema principale un qualsiasi soggetto di carattere astronomico (es. il Sole, il Sistema Solare, la Terra, le stelle, le galassie, l’Universo, l’esplorazione spaziale, etc.). Saranno accettati elaborati realizzati con qualsiasi tecnica (pastelli, acquarelli, matita, ecc.) purché presentati su fogli di formato massimo A4.

Ogni studente potrà inviare un solo elaborato. Saranno accettati lavori di gruppo fino a un massimo di tre studenti.

Gli elaborati ricevuti saranno esaminati da una giuria di preselezione, che ammetterà alle fasi successive solo quelli contenenti come tema principale un soggetto astronomico. Gli elaborati accettati saranno pubblicati nel sito web dell’OACT alla pagina: http://www.oact.inaf.it/visite/Concorso_2013.htm.

Una giuria di esperti nominata dal Direttore dell’OACT sceglierà 10 elaborati ritenuti più originali e/o ben realizzati. Altri 3 elaborati verranno scelti con una votazione via e-mail. Tutti i vincitori saranno considerati a pari merito e premiati nel corso di una cerimonia che si terrà nel mese di Maggio 2013 in giorno e luogo da stabilirsi. Gli elaborati potranno eventualmente essere inseriti in un CD-ROM realizzato in collaborazione con associazioni per la ricerca in campo medico e/o a protezione dei bambini.

Gli elaborati dovranno essere inviati entro il 16 Aprile 2013 (farà fede il timbro postale) all’indirizzo:

INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania – Concorso “Osserva il Cielo e disegna le tue emozioni” – Via S. Sofia, 78 – 95123 – Catania.

Insieme all’elaborato occorrerà inviare, pena l’esclusione dal concorso, una scheda informativa dello studente firmata da un genitore.
Il bando del concorso e la scheda da allegare all’elaborato possono essere scaricati alla pagina: http://www.oact.inaf.it/visite/Concorso_2013.htm o richiesti scrivendo a divulgazione@oact.inaf.it In caso di elaborati realizzati da più studenti occorrerà inviare una scheda per ciascuno di essi.

Concorso INAF 2011

L’ elaborato di Christina, all’epoca 10 anni, per il Concorso “Osserva il cielo e disegna le tue emozioni” del 2011. Fonte INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania – http://www.oact.inaf.it/visite/Concorso_2011.htm

Sefora_9_La Via Lattea

Sefora, all’epoca 9 anni, rappresenta la Via Lattea. Anno 2009. Fonte INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania.

Per ulteriori informazioni: 095-7332312 – divulgazione@oact.inaf.it

L’edizione 2012:
– elaborati pervenuti: http://www.oact.inaf.it/visite/Concorso_2012.htm
– premiazione: http://www.oact.inaf.it/visite/Con_2012_Prem.htm
INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania
v. S. Sofia, 78
95123, Catania – ITALY
tel: +39-095-7332312
fax: +39-095-330592

Giuseppe

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Ascoltare la relatività

E’ on-line sul web l’ultima puntata della squadra di FISICAST, in cui Gianluca Li Causi introduce, in forma di intervista, i tre concetti di base della Relatività Speciale: la dilatazione del tempo, la contrazione dello spazio e l’impossibilita’ di andare più veloci della luce.

Tutto parte dal un unico dato di fatto sperimentale (ma completamente ortogonale alla percezione comune!): la velocita’ della luce e’ la stessa rispetto a chiunque, diversamente da qualsiasi altra velocita’ che invece e’ diversa a seconda di come si muove chi la misura.

Superman

C’è qualcuno che può andare veramente più veloce della luce? La fisica dice di no, eppure…

Questo unico fatto, che ovviamente appare impossibile, e’ stato spiegato da Albert Einstein nella sua Relativita’ Speciale: nei poco piu’ di 15 minuti della puntata, l’ascoltatore viene accompagnato, passo passo, alla scoperta del problema, dei paradossi che porta e di come si possano risolvere, in fondo semplicemente, e a capire qual’e’ il vero motivo per cui non e’ possibile superare la velocita’ della luce.

Tutto questo grazie ad un modo di spiegare diverso dal solito, che si mette nei panni dell’ascoltatore. Buon ascolto a tutti.

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La danza delle cose

Mi è venuta in mente di nuovo stamattina. Quella incredibile, fantastica canzone. The swing of things. Incredibile perché il testo è poetico e profondo, la musica si sposa veramente bene con le parole – ok, decisamente anni ottanta, come arrangiamenti ed atmosfera – ma poi ha questo salto sublime, diventa delicata e struggente sul ritornello, quasi sospensiva. Lascia respirare le parole. E di respiro ce ne è.

healing
“Healing” (“Guarigione”) di hannah davis.
Chissà quanti la conoscono. Chissà quanti sanno ancora chi fossero gli A-Ha. E chi conosce quella stupenda canzone del loro secondo album (come disse acutamente mio fratello, una delle rare volte in cui il secondo disco è meglio del primo). Una vera gemma lucente, quella canzone. Mah. Suppongo che molta gente non li avrà mai sentiti (al pari dei Grisembergs, magari – anche se il genere è molto diverso). 

Ma andiamo al punto.

Ecco il respiro,  eccolo.
Mi colpiva fitto allora, da ragazzo.
Ancora mi colpisce.

Oh, when she glows in the dark
And I’m weak by the sight
Of this breathtaking beauty
In which I can hide


Che mi piace tradurre così
Oh, quando lei splende nel buio
e sono reso debole dal contemplare
la sua bellezza mozzafiato
nella quale posso nascondermi
L’ultima riga dice tutto, nella quale posso nascondermi. Non c’è posto migliore per nascondersi, per ristorarsi, della bellezza. Perché non affidarsi a questa bellezza è devastante. Non domandarla è assurdo.

Continuo a pensare alla notizia del duplice omicidio all’Aquila. Certo con tutto quello che succede anche in campo internazionale (penso alla atroce tragedia degli ostaggi morti in Algeria) non ci sarebbe da starci troppo sopra. Poi, purtroppo cose come questa non sono certo nuove.

Eppure ci penso.

Metto le mani avanti: non conosco bene i fatti. Non so e non voglio fare analisi psicologiche e sociologiche. Mi preme dire una cosa semplice, veramente una cosa semplice.  La cosa che mi sembra devastante è che la mancanza della percezione del bello, che c’è un bello dove riposare, può essere mortale. E che non è questione di coerenza, di bravura, di niente di tutto questo. Proprio un cavolo di niente. E’ questione di resa, di arrendersi e affidarsi. Di lasciar respirare le cose.

Perché se non avvertiamo questa bellezza cerchiamo soddisfazione ovunque, ovunque. E non abbiamo riposo. E siamo sempre in balìa delle circostanze, non capiamo che le circostanze arrivano per noi, per spingerci ad un lavoro. Può non essere facile, per niente. Se le circostanze non ci piacciono. Ma se non cediamo a trovare un senso in tutto, tutto si fa senza senso: tutto ci urta. E diventa più facile fare delle enormità, siamo meno morbidi e più violenti.

Oh, there’s a worldful out there
Of people I fear

Proprio vero

Cè un mondo intero là fuori
di gente di cui ho paura
Perché siamo onesti, per una volta. Ma cosa rimane, se smettiamo di sognare, di sondare le nostre profondità, se rimaniamo in superficie, se non cerchiamo più un senso a tutto quello che succede? La paura, la paura.

Ieri sono andato al funerale di una donna morta a circa cinquant’anni di tumore. Ecco io davanti a questa cosa posso essere spazzato via, posso perdermi. Posso non capire, magari soltanto chiedere di capire. Ma se sono qui, finché sono qui, devo cercare un senso a quello che capita. Devo.

E chi dice con triste, falsa e fraintesa consapevolezza, occhio, che per noi moderni un senso non c’è vorrei che si rendesse conto che senza senso diventiamo semplicemente matti (almeno io, che ormai mi conosco abbastanza). Perché siamo fatti per un senso, un significato. Abbiamo un cuore grande, un’ansia di compimento stratosferica. Allora! Cavoli, la vita è troppo grande per privarla di un significato. Ci si può scoprire veramente poveretti, vedere magari un ideale e tradirlo millemila volte al giorno, ma non è questo il punto. E che già vederlo è tanto. Tantissimo. Tantissimissimo, come dicono i bambini. Perché vuol dire respirare. E l’umiliazione del tradimento ci cambia, pian piano. Ma non voler vedere niente è devastante (perché in fondo è un’opzione, guardare o non guardare).
E’ urgente, urgentissimo. Ed è una cosa concretissima. Troviamo la bellezza nella quale nasconderci.  Quella bellezza che, riconosciuta, rende morbido il mondo. Quella bellezza dove le cose possono finalmente danzare. Crediamoci, aiutiamoci a trovarla.
But given time I’ll get into
The swing of things

Non percepite la speranza che già brilla dentro il given time ? Io sì! Entrerò piano piano nella danza delle cose. Ci vuole tempo, ci vuole tempo. Piano piano. Ok. Nessun problema. Devo fare un lavoro su di me. C’è una strada da percorrere ma che mi importa se è lunga, ma che me ne frega. L’importante è che ci sia.
Alziamoci ogni mattina con questo ideale: cercare la bellezza e servirla. Diamo senso al mondo: così possiamo portare pace. Non trovo rivoluzione più profonda ed interessante di questa.

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Cristalli cometari trovati in un sistema planetario vicino

Beta_Pictoris_system

Il sistema solare Beta Pictoris. Crediti: ESO/A-M. Lagrange et al.

Del materiale puro e incontaminato che trova un buon accordo con le comete nel nostro Sistema Solare è stato trovato in una fascia di polvere che circonda una giovane stella Beta Pictoris dall’Herschel Space Observatory dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Con un’età di dodici milioni di anni Beta Pictoris si trova a 63 anni luce di distanza dalla Terra e ospita un pianeta gigante ricco di gas con un disco di detriti di polvere che potrebbe, nel tempo, evolvere in un toro di corpi ghiacciati molto simile alla Fascia di Kuiper nel nostro Sistema Solare, oltre l’orbita di Nettuno.

Grazie alle caratteristiche uniche di osservazione di Herschel per la prima volta è stato possibile determinare la composizione della polvere nelle periferie fredde del sistema di Beta Pictoris. Di particolare interesse è la presenza dell’olivina, minerale che cristallizza al di fuori del materiale del disco protoplanetario vicino alle nascenti stelle e alla fine viene incorporato negli asteroidi, nelle comete e nei pianeti.

“Per quanto l’olivina sia interessante, è disponibile in vari tipologie” ha spiegato Ben de Vries, dell’KU Leuven e autore capo dell’articolo pubblicato qualche settimana fa su Nature. “Una varietà ricca di magnesio è stata trovata in piccoli corpi ghiacciati primitivi come le comete, mentre l’olivina ricca di ferro si trova in genere in grandi asteroidi che hanno subito più riscaldamenti o trasformazioni”.

Herschel ha rilevato una varietà incontaminata ricca di magnesio nel sistema di Beta Pictoris a 15-45 Unità Astronimiche dalla stella, dove la temperatura è dell’ordine di -190°C. In confronto, la Terra si trova ad una distanza di 1 unità astronomica (1 UA), mentre la Fascia di Kuiper si trova oltre l’orbita del pianeta Nettuno a circa 30 UA e si estende probabilmente fino a circa 1000 UA. Ricordiamo che Plutone si trova tra le 30 e le 50 UA di distanza dal Sole (si può dunque dire che la sua distanza media è dell’ordine delle 40 UA) e che è considerato il maggiore rappresentante, oltre che quello più famoso, degli oggetti di tale Fascia, ipotizzata per la prima volta negli anni Cinquanta del secolo scorso. Solo a partire dal 2000, grazie a nuove tecniche di osservazione, si è potuto effettivamente osservare un numero sempre maggiore di oggetti con dimensioni quasi confrontabili con quelle di Plutone o inferiori e quindi confermare l’esistenza della Fascia di Kuiper.

Le osservazioni di Herschel hanno permesso di calcolare che i cristalli di olivina costituiscono circa il 4% della massa totale della polvere trovata in questa regione. A sua volta, questa scoperta porta a concludere che l’olivina fosse originariamente legata alle comete, nelle loro parti interne, poi rilasciata nello spazio da collisioni tra vari oggetti ghiacciati.

“Il valore del 4% è sorprendentemente simile a quello delle comete 17P/Holmes e 73P/Schwassmann-Wachmann 3 del nostro Sistema Solare che contengono circa 2-10% dell’olivina ricca di magnesio” ha affermato de Vries.

Beta Pictoris_pianeta

Osservazioni recenti compiute con lo strumento NACO del Very Large Telescope dell’ESO negli anni 2003, 2008 e 2009, hanno mostrato l’esistenza di un pianeta intorno a Beta Pictoris, ad una distanza compresa tra 8 e 15 volte la distanza Terra-Sole (ossia 8-15 unità astronomiche), che è circa la distanza alla quale si trova Saturno dal Sole. Questa è anche la più picola orbita mai osservata di un pianeta extrasolare. Questa è una rappresentazione artistica di questo piaenta. Credti: ESO.


“Da momento che l’olivina può cristallizzare solo a circa 10 UA dalla stella centrale, trovarla in un disco freddo di detriti implica che deve essere stata trasportata dalla regione interna del sistema verso la periferia”. Il meccanismo di trasporto “miscelazione radiale” (radial mixing) è conosciuto dai modelli di evoluzione di dischi protoplanetari vorticosi quando si condensano attorno a nuove stelle. La miscelazione viene stimolata in quantità variabili dai venti e riscaldata della stella centrale che spinge via i materiali insieme a differenze di temperatura e moti turbolenti creati nel disco durante la formazione planetaria.

“Le nostre scoperte sono un’indicazione dell’efficienza di questi processi di trasporto che devono essere stati simili sia nel nostro Sistema Solare che in quello di Beta Pictoris e tali processi sono probabilmente indipendenti dalle proprietà del sistema” ha affermato de Vries.

Infatti, Beta Pictoris è pari a una volta e mezza la massa del nostro Sole, è otto volte più luminosa, e la sua architettura del sistema planetario è differente dal nostro di oggi.

“Grazie ad Herschel siamo stati in grado di misurare le proprietà del materiale incontaminato lasciato durante il processo di formazione iniziale di costruzione planetario in un altro sistema solare con una precisione che è confrontabile con quella che avremmo potuto ottenere in un laboratorio se avessimo avuto il materiale qui, sulla Terra” ha affermato Göran Pilbratt Herschel Project Scientifist dell’ESA.

Fonte Herschel – Comet Crystal Found in a Nearby Planetary System – http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Herschel/Comet_crystals_found_in_a_nearby_planetary_system

Sabrina

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Herschel e Keck: il censimento sull’universo invisibile

Brightest galaxies _Herschel data

Immagine dell’Hubble Space Telescope di galassie stardust per la prima volta osservate dall’Herschel Space Observatory dell’ESA. I dati del Keck sono mostrati in basso, in ciascuna immagine, in blu. Crediti: ESA–C. Carreau/C. Casey (University of Hawai’i); COSMOS field: ESA/Herschel/SPIRE/HerMES Key Programme; Hubble images: NASA, ESA. Inset image courtesy W. M. Keck Observatory.


Combinando il potere osservativo dell’Herschel Space Observatory dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dei telescopi terrestri Keck gli astronomi hanno caratterizzato centinaia di galassie Starburst in precedenza non osservate rivelando tassi di formazione stellare straordinari in tutta la storia dell’Universo.

Le galassie Starbust danno vita a centinaia di stelle di massa stellare ogni anno con eventi di breve durata ma molto intensi. In confronto, la nostra Galassia in media produce l’equivalente di una sola stella simile al Sole ogni anno.

Le galassie Stardust generano così tanta luce stellare che potrebbero oscurare la nostra Galassia centinaia di migliaia di volte, ma le enormi quantità di gas che li alimentano contengono anche quantità di polvere come risultato della loro frenetica formazione stellare. La polvere assorbe molta della luce visibile il che significa che essa sembra abbastanza insignificante in quella parte dello spettro, ma non lo è. In realtà, la polvere viene riscaldata dalle stelle calde circostanti e riemette l’energia assorbita a lunghezze d’onda del lontano infrarosso. Utilizzando l’Herschel Space Observatory dell’ESA è stato possibile misurare la temperatura e la luminosità di centinaia di galassie ricche di polveri. Da queste, il loro tasso di formazione stellare potrebbe essere quindi calcolato.

“Le galassie Stardust sono le galassie più luminose dell’Universo e contribuiscono in modo significativo alla formazione stellare cosmica, così che è importante studiarle in dettaglio e conoscere le loro proprietà” ha affermato Caitlin Casey dell’University of Hawaii, autore capo dei paper dove vengono spiegati i risultati pubblicati nell’Astrophysical Journal.

“Alcune delle galassie trovate in questa nuova survey hanno tassi di formazione stellare equivalenti alla nascita di parecchie centinaia di stelle di massa solare all’anno, costituendo alcune delle galassie più luminose nell’infrarosso mai scoperte prima”.
Per fornire un contesto alle osservazioni e capire come la formazione stellare è cambiata nel corso dei 13,7 miliardi di anni di vita dell’Universo, è necessario conoscere anche la distanza delle galassie.

Con Herschel che ha individuato la strada da seguire, il team guidato da Casey ha utilizzato gli spettrometri dei W. M. Keck Telescope di 10 metri di diametro a Mauna Kea, nelle Isole Hawaii ottenendo un redshift di 767 galassie stardust.
I redshift (o spostamenti verso il rosso) forniscono una misura di quanto tempo che la luce di ogni galassia impiega a viaggiare in tutto l’universo che, a loro volta, indicano quando, nella storia del cosmo, è stata emessa la luce di ogni galassia.

Per la maggior parte delle galassie si è trovato che la luce ha viaggiato verso di noi per circa 10 miliardi di anni. Circa il 5% delle galassie si trovano a redshift ancora maggiori: la loro luce è stato emessa quando l’universo aveva un’età approssimativamente di 1-3 miliardi di anni. “I dati di Herschel ci dicono quanto altamente prolifiche sono queste galassie nel formare stelle” ha affermato Seb Oliver dell’University of Sussex, Regno Unito, e Principal Investigator per MerMES Key Programme, dove i dati vengono raccolti.

“Combinando questa informazione con le distanze previste dai dati del Keck, possiamo scoprire il contributo delle galassie Stardust per quanto riguarda la quantità totale di stelle prodotte in tutta la storia dell’Universo”.
Con un così grande numero di galassie stardust formate durante i primi pochi miliardi di anni della nascita dell’Universo si pone un problema di vitale importanza per la formazione e l’evoluzione delle galassie.
Una teoria di una certa importanza propone che una collisione tra due giovani galassie possa aver scatenato un’intensa formazione stellare di breve durata. Un’altra teoria ipotizza che quando l’Universo era giovane, galassie singole avevano molto più gas a loro disposizione per alimentarle, consentendo alti tassi di formazione stellare, senza la necessità di collisioni. “E’ un argomento dibattuto che richiede informazioni sulla forma e la rotazione delle galassie prima di poterlo risoluvere” ha affermato Casey.

stardust galaxies

Una rappresentazione della distribuzione di circa 300 galassie stardust in un campo di vista di 1,4° x 1,4°. Crediti: ESA–C. Carreau/C. Casey (University of Hawai’i); COSMOS field: ESA/Herschel/SPIRE/HerMES Key Programme; Hubble images: NASA, ESA. Inset image courtesy W. M. Keck Observatory.


“Prima di Herschel, il più grande sondaggio di galassie stardust lontane aveva coinvolto solo 73 galassie, ora abbiamo aumentato il numero di un fattore almeno dieci volte maggiore in questa survey combinata col i Keck Telescope per determinare le caratteristiche di questa importante popolazione di galassie” ha aggiunto Goran Pilbratt, scienziato del progetto Herschel dell’ESA.

Fonte: ESA-Hershel – Herschel and Keck Take Census of the Invisible Universe  http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Herschel/Herschel_and_Keck_take_census_of_the_invisible_Universe

Sabrina

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Creare qualcosa

Ragionavo nel post precedente sul fatto che cercare di comprimere la musica dentro degli steccati, delle articolazioni di genere, ha una rilevanza limitata. D’altra parte, la musica è così. L’arte è così. Si fa una gerarchia di valori, ma è soltanto per comodità. Poi ti imbatti in quel pezzo di quel compositore minore e ti sorprendi di come ti si avvolge addosso, sembra fatto per te. Potresti averlo fatto tu. Anzi, vorresti. 

Ed eccoci arrivati a toccare un tasto importante. Il motivo per cui creare qualcosa, per cui osare creare qualcosa ha molto a che vedere con questo, da come la vedo io. Prendiamo lo scrivere, ad esempio. Scrivi perché vorresti leggere una certa cosa e non la trovi. Certo, ne trovi a milioni, di cose, a miliardi. Ma non esattamente quella: con quel bilancio di colori, sensazioni, con quella esatta visione del mondo, con quell’impasto di attitudini, distanze, relazioni, esitazioni, che ti senti in fondo al cuore. 
Così scrivi e provi a portare a galla il tuo mondo. E la prima impressione può essere devastante. Il tuo mondo vien fuori ma ecco, è molto meno screziato, articolato, complesso, ambivalente, di come   pensi che debba essere, di come sai che deve essere. 

writing like the wind
Writing like the wind, foto di snigl3t

Il punto è questo. Pensavi di essere arrivato ed invece sei appena partito. Sei partito per una meravigliosa e drammatica avventura. Perché devi acquisire gli strumenti tecnici, devi fidarti, devi capire che a scrivere si può imparare. Che quello che hai dentro è un tesoro, ma per esprimerlo devi applicarti, devi lavorare. Il lavoro è quello di continuare a pescare dentro di sè, ascoltarsi, allevare la propria voce. E intanto acquisire gli strumenti per esprimerla. Quindi è un allargamento: verso l’interno (ricettività) e verso l’esterno (la tecnica, il mestiere). 
Mi viene da pensare, come una traiettoria spirituale. Lo spalancarsi di una ricerca, che diventa sempre più vasta e intrigante quando ti accorgi dell’incontro con una corrispondenza.

L’importante non è arrivare subito, ma rimanere in viaggio.

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La musica è una

L’ho detto, per me uno dei modi più efficaci per allargare la percezione della musica, è ascoltarla mentre faccio uno sforzo fisico. Capisco perché un sacco di gente corre con gli auricolari nelle orecchie. E’ che si crea come un circuito virtuoso: la musica mi distoglie dal concentrarmi troppo sulla fatica (che la amplificherebbe senza costrutto) e nello stesso medesimo tempo, la fatica mi permette di ascoltare la musica più libero dallo strato fastidioso di pensieri che spesso – troppo spesso – si mettono di mezzo tra me e  le esperienze sensibili, tra me e la vita.
In casi simili, sembra non valgano le usuali leggi di conservazione: c’è un guadagno globale e non c’è nessuna perdita. In effetti, succede anche per un sacco di altre cose, ma spesso non me ne voglio accorgere. C’è un guadagno totale e nessuna perdita a seguire il proprio cuore (anche se ho paura di farlo), ad accettare ed accogliere tutto quello che accade (idem), a renderci docili al progetto che il Destino ha predisposto per noi (idem, paura fortissima: mobilitazione guerresca dell’ego con tutte le sue armate). 
music
Foto By craigCloutier
Tornando al correre con la musica. Ieri mattina, sceso al parco, ho lanciato il player musicale del mio Xperia Ray e l’ho lasciato sulla selezione casuale di brani. Va detto, di norma non sono un grande fanatico delle selezioni casuali: semplicemente mi sembrano abbiano poco senso, almeno nel mio caso. Nella scheda SD dello smartphone ho musica classica, jazz, pop/rock, e una selezione casuale di brani porta invariabilmente ad una eccentrica sequenza di cose tipo Pat Metheny seguito da un pezzo di chitarra classica seguito da un brano strumentale di Mike Oldfield seguito da una canzone live di Paul Simon seguito da un pezzo di pianoforte di Chopin seguito… avete capito.
E proprio qui sta il bello.

La cosa che mi ha fatto cambiare idea, rovesciare la prospettiva.

Che correndo mi sono accorto con cristallina nitidezza, che la musica è una. Non ci sono distinzioni di genere, non vi sono steccati che funzionino veramente. Ecco, in un certo senso, potrei essere tacciato di scoprire l’acqua calda (che è sempre e comunque una gran bella invenzione, soprattutto l’inverno). Probabilmente i più avveduti se ne accorgono anche stando fermi, lo concedo. A me però succede quando faccio muovere le gambe. Così mi accorgo che la modalità di attenzione che metto nel comprendere un brano di Chopin non è troppo diversa da quella che impiego per godere veramente di un brano di Bill Evans. O anche, di una canzone di Norah Jones. Insomma la musica è una. 

Anzi, come diceva qualcuno, vi sono due tipi di musica. Quella bella e quella brutta.

Qual è la musica bella? Secondo me, è quella che insieme (a) veicola una sensazione estetica positiva, cioè che dice implicitamente che tutto ha un senso e una armonia (che poi è proprio la funzione dell’arte, a mio avviso) e che (b) lo dice regalandoci un certo grado di complessità, una articolata imprevedibilità – cioè esponendo un flusso di informazioni denso e non banale, almeno parzialmente decriptabile dal cervello (a volte, previo ‘allenamento’, ‘studio’). Che tutto questo sia affidato a basso/chitarra/batteria oppure ad un pianoforte solo oppure ad un ensemble jazz oppure ancora ad una orchestra di mille elementi oppure ad un tappeto di sintetizzatori, oppure ancora ad una cantante celtica o ad un cantautore californiano, non fa la vera differenza.
Certo, c’è un certo grado di soggettività in tale definizione. Perché ognuno è stato creato in modo diverso, con una sensibilità differente. Ognuno ha una sua strada attraverso la quale comprendere, attraverso la quale affacciarsi alla percezione del bello. Ecco perché imporre una data visione musicale o una gerarchia codificata di valori forse non ha proprio tanto senso. Perché c’è gente che stravede per Gustav Mahler (per esempio io) e gente che lo detesta. Gente che parteggia per Verdi oppure per Puccini (io scelgo il secondo). Gente che ama i Beatles (ancora io) oppure i Rolling Stones.

Così al di là degli steccati artificiali e anche al di sopra delle costruzioni mentali di molta gente (sopratutto di quella ‘di cultura’), spesso uno si ritrova a procedere (e a correre) con universi musicali ricchi ma estremamente eterogenei. Dalla nona di Beethoven ad Amarok di Mike Oldfield, da Mark Knopfler ai Pink Floyd, e poi attraversando Mahler, Bruckner, Mozart, Brahms, Keith Jarret, Brian Eno…

La luce si diffrange in tanti colori ma è una sola.
Pure la musica, si articola in mille modalità espressive, ma è una sola, in fondo.

Ricomporre lo spettro, risalire dalla differenza all’unicità.
Dalla superficie contingente all’essenza più nascosta.
Ecco l’avventura dell’ascolto. 

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Gli occhi della NASA puntati su Europa

Europa Lake

Un lago ghacciato sulla superficie di Europa. Crediti NASA-JPL.


Anche se sta dedicando molte delle sue risorse nell’esplorazione del pianeta Marte la NASA ha ancora un occhio puntato verso uno dei satelliti ghiacciati di Giove, che potrebbe essere in grado di sostenere la vita come noi la conosciamo.

Poche settimane fa l’ente spaziale americano ha officalmente annunciato di voler lanciare un rover su Marte nel 2020 del costo di 1,5 miliardi di dollari aggiungendovi una serie di missioni, sempre con destinazione il Pianeta Rosso, che erano già in agenda. Il rover Curiosity è atterrato lo scorso 6 agosto 2012, e un orbiter chiamato Maven e un lander denominato InSight sono in programma rispettivamente per il 2013 e il 2016.

Ma la NASA sta anche pensando a vari modi per indagare la possibile abitabilità della luna di Giove Europa, la quarta più grande del sistema gioviano osservata per la pirma volta da Galileo Galilei nel gennaio 1610. Un’idea portata avanti dalla NASA è quella denominata “clipper probe”, una sonda che che con numerosi flyby 0 oavvicinamenti con il satellite Europa potrebbe studiare lo strato ghiacciato superficiale e il sospettato oceano sotto la sua superficie.

“Abbiamo informato il Quartier Generale della NASA e ci hanno risposto positivamente” ha affermato il Mission Proponent della Missione, David Senske del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, California all’annuale meeting dell’American Geophysical Union del 7 dicembre 2012.

Il “clipper probe” di 2 miliardi di dollari, denominato Europa Clipper, che potrebbe essere pronto per il lancio intorno al 2021, dovrebbe fare un lavoro di vitale importanza. Gli astrobiologi guardano ad Europa, di circa 3 100 chilometri di diametro, come a uno dei corpi più favorevoli ad ospitare la vita all’interno del nostro Sistema Solare. Si ritiene che la tale oggetto possa ospitare un grande oceano di acqua liquida sotto il suo guscio ghiacciato. Inoltre, è probabile che questo oceano sia in contatto diretto col mantello roccioso e quuesto aumenterebbe la possibilità di una qualsiasi tipo di reazione chimica, ha affermato Senske.

L’irraggiamento della superficie di Europa e il riscaldamento mareale del suo interno implicano anche che la luna abbia probabilmente grandi fonti energetiche, un altro requisito importante per la vita come noi la conosciamo.

La NASA è da tempo interessata all’esplorazione del ghiaccio superficiale e del suo oceano sottostante. Parecchi anni fa aveva elaborato un progetto di missione ambizioso chiamato Jupiter Europa Orbiter (JEO) che avrebbe permesso di ottenere studi dettagliati su Europa e sull’incredibile attività vulcanica di Io, un altro satellite gioviano.

jupiter-crescent_with Io

Un’immagine del pianeta Giove ripreso in fase crescente con una sua luna poco lontano. Crediti NASA/JPL.


I risultati scientifici di una tale missione avrebbero dovuto essere impressionanti secondo l’analisi del 2011 Planetary Science Decadal Survey che aveva delineato gli obiettivi della comunità scientifica in questo ambito di ricercao per tutto il prossimo decennio.

Questa survey decennale aveva posto la missione JEO come seconda priorità tra tutte le missioni, proprio alle spalle della missione su Marte con il recupero di un campione marziano. Ma il rapporto ha affermato che 4,7 miliardi di dollari erano un costo troppo alto. Per questo i ricercatori sono stati coinvolti nello sviluppo di una missione un po’ più snella e più economica verso Europa che si potrebbe stimare intorno a 2 miliardi di dollari. L’idea iniziale era stata duplice, quella di un clipper e di un orbiter intorno ad Europa (un modulo di atterraggio era stato escluso come progetto prematuro).

A causa dell’intensa radiazione nell’ambiente su Europa l’orbiter avrebbe dovuto essere pesantemente schermato, aggiungendo in questo modo peso e dunque un maggiore costo alla missione. Anche con questa armatura, la missione avrebbe dovuto durare dai 30 giorni fino a 109 giorni circa.

Un orbiter di circa 2 miliardi di dollari non sarebbe stato in grado di trasportare una strumentazione adatta ad analizzare la composizione e la chimica della superficie di Europa e della sua atmosfera (ossia il suo oceano). Per questo motivo l’idea del clipper probe ha avuto maggior successo dell’orbiter.

Europa Clipper potrebbe ospitare a bordo una serie di strumenti scientifici tra cui una radar in grado di penetrare il ghiaccio superficiale, un dispositivo topografico, un magnetometro, uno spettrometro ad infrarossi, uno spettrometro di massa neutrale e un’antenna. Per poter comprimere tutte queste attrezzature in un posto angusto e poter rimanere entro i 2 miliardi di dollari, il Clipper potrebbe essere alimentato da pannelli solari piuttosto che da generatori di radioisotopi come inizialmente immaginato. Senske ha affermato che i pannelli solari sono considerevolmente più economici dell’ASRG che convertono il calore dal decadimento del Plutonio 239 in elettricità.

Il Clipper dovrebbe entrare in orbita intorno a Giove, successivamente studiare Europa durante una dozzina di flyby nel corso di 2,3 anni. Nel suoi più vicini passaggi potrebbe arrivare ad una distanza minima di soli 25 chilometri dalla superficie ghiacciata del satellite. Questi avvicinamenti potrebbero aiutare la sonda a rompere alcuni dei misteri più profondi come per esempio lo spessore del suo guscio di ghiaccio e la salsedine e la profondità approssimata del suo oceano, oltre a confermare che l’oceano esiste per davvero.

Queste informazioni insieme con con le immagini dettagliate della sonda della superficie della luna Europa, potrebbero aiutare a scoprire nuovi segnali di vita sotto la superficie di un satellite gioviano. Il Clipper potrebbe essere lanciato tra il 2020 e il 2022.

Senske e il suo team continueranno a sviluppare la missione e i concetti relativi alla missione. “Nel mese di aprile 2013 vogliamo fare quello che chiamiamo un esame preliminare dell’idea, iniziare a lavorare con il quartier generale della NASA per definire quando potremo avere ciò che possiamo definire il concetto di missione che ci porterebbe sulla strada di una vera e propria missione” ha concluso Senske.

Fonte Space.Com NASA Eyes Mission to Jupiter Moon Europa: http://www.space.com/18901-nasa-mission-jupiter-moon-europa.html

Video interessante sui laghi ghiacciati su Europa, fonte SpaceCom: http://www.space.com/17820-europa-jupiter-s-icy-moon-and-its-underground-ocean-video.html

Sabrina

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