“Buona vacanza” mi ha detto lei al telefono, pochi giorni fa. Un normale augurio estivo, direte voi, niente di particolare. No, non proprio. Ha detto così, buona vacanza e ha usato il singolare. Mi sembra più significativo del più usato plurale, vacanze. Così mi è rimasto in testa anche se magari a qualcuno potrà sembrare un dettaglio.

Per me non lo è. Adesso vi spiego.

Le vacanze sbiadiscono in un generico plurale una idea di disimpegno, anche dal qui e dall’adesso. Vacanza mi riporta di botto alla situazione attuale, al mio presente.

Così vacanza è rimasto a crescere nella mia mente, tanto che adesso decido di ripescarlo per compilare un’altra parola del mio vocabolario. Vacanza mi fa pensare a mille cose. Alla lezioni di fisica in università, per esempio. Dove imparavo che vacanza implica una mancanza, un vuoto. Manca un elettrone, una particella, c’è appunto una vacanza. Qualcosa che tende ad essere riempito.

Così la vacanza è una cosa naturalmente aperta, che va riempita, capisco, con maggiore libertà rispetto al solito. Una possibilità. Ma anche una bella responsabilità. In fin dei conti è abbastanza facile lasciarmi condurre nella vita ordinaria. C’è già una trama di cose che chiedono attenzione, che assorbono il tempo. Il rischio (assai concreto) è che io le faccia con poca coscienza, passando da una all’altra senza davvero essere nell’attimo presente.

Facendo le cose senza esserci mi sento vuoto. Più le cose si affastellano e l’agenda si riempie, più mi sento disorientato, appiattito su una reattività d’occasione, poco profondo. Troppo in superficie. Il malessere che ne sorge è una spia fastidiosa ma preziosa, un segnale di allarme che viene dall’interno per far capire che è ora di correggere la rotta.

Tornare ad essere nelle cose che si fanno.

É questo l’obiettivo, che come tale è sempre e comunque un work in progress. Con il vuoto del periodo estivo mi si apre una occasione. Di riempire il tempo con più coscienza rispetto a quanto faccio di solito. Cerco di raccogliere la sfida, anche perché un vuoto non riempito mi diventa subito pesantissimo.

(…) La vacanza è il tempo più nobile dell’anno perché è il momento in cui ognuno si impegna come vuole col valore che riconosce prevalente nella sua vita, oppure non si impegna affatto con niente è allora, appunto, è sciocco. (Luigi Giussani)

Che poi, il non impegnarsi con niente che risulta così, pesantissimo. Sciocco perché inutilmente pesante.

Rimanere in vacanza senza cogliere l’occasione per provare a lavorare con più amorevole decisione su se stessi (dico subito, a prescindere dagli esiti, senza misurarsi) mi sembra troppo tempo sprecato. Così se penso a semplicemente a giorni vuoti da impegni, davanti a me, mi sento triste, se invece penso a questo lavoro – qualcosa che mi sembra esser dato, esser proposto, proprio perché io lo svolga – mi viene da sorridere, tanto questo lavoro sembra corrispondermi, sempre. Sotto un ombrellone o davanti alla scrivania, sempre.

E il fatto che in questo modo il vuoto si riempia, mi fa stare meglio.

 

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