A volte uno fa lunghi ed estesi giri per riscoprire ciò che magari era già noto a tanti, da molto tempo. Però non credo siano mai giri inutili, siano mai peripezie invane. Intanto perché nella vita la cirtuitazione non è mai uguale a zero. Vivendo ti sporchi di quello che vivi, lo trattieni, te lo porti dietro. 
Contrariamente al detto una pietra che rotola non raccoglie mai sugo, secondo me di sugo ne raccogliamo tanto. E comunque. Tutto sta a volerne fare, con questo sugo, una bella pastasciutta. Oppure considerarlo solo come qualcosa che ci può sporcare il vestito. 
Il primo caso è quello davvero più interessante, perché se lo esploriamo a fondo vediamo che niente è veramente mai invano. Tutto serve. Magari si capisce subito, o dopo vent’anni. Ma tutto serve, sempre e comunque. Questo principio di conservazione squisitamente antispreco è qualcosa di molto confortante, a rifletterci bene. 
Così uno può attraversare delle fasi in cui, diciamo, sente il bisogno di aiuto nel comprendere la specificità e la unicità di ogni giorno. Così, tanto per essere sostenuto nella lotta ai pensieri pigri di andamento vagamente depressivo: quelli, per capirci. che assalgono tutti e ti avvelenano lentamente di frasi tipo è tutto uguale, non cambia mai niente, oggi è come ieri… 

Sono pensieri pigri da combattere, perché è noto a tutti il fenomeno: più ti ci incastri dentro, più sembra che la realtà ti si confermi in tale attitudine, mentre invece sei tu che selezioni dalla vita ciò che te la conferma. In un gioco, direi, che pur sembrando alquanto masochistico, comunque ci ritroviamo sovente a giocare, al di là delle nostre dichiarate intenzioni. 
E può capitare che un suggerimento ascoltato durante un incontro di Darsi Pace, trovi una eco imprevista nel cuore, come l’apertura di una possibilità. E non in una cosa nuova o particolarmente originale, ma in una nuovo sguardo su una cosa che più antica e tradizionale non si può.

Strumenti di lavoro… 

Si tratta infatti – ed è questa la sfida – di trovare una propria personalissima strada nel solco della tradizione. E’ questa la sfida veramente creativa, è questo il percorso interessante. Molto più fecondo dell’adesione cieca o del  rifiuto totalizzante.

Se infatti accettiamo – o meglio quando accettiamo – questa ipotesi di lavoro (Cristo come compagno del cammino dell’uomo), superando quella misteriosa repulsione tutta moderna, o almeno investigandola a fondo, ecco che torniamo alla sfida di nutrirci anche di testi e strumenti di cui si sono nutrite generazioni e generazioni.

E in questa luce, la tensione nel cercare qualcosa di nuovo si traduce e si riverbera – in modo forse più costruttivo – nella tensione nel cercare di vivere l’antico in modo nuovo. Come deve essere infatti veramente vissuto. 

Allora si comprende come l’avventura del rapporto con la divinità sia una cosa molto personale, in fondo. Personale, nella piena accoglienza della dottrina. E’ una sorta di paradosso che si risolve solo in modo esperienziale, vivendolo. Capita così di avvertire i dogmi non come limitazioni alla libertà di pensiero (cosa salubremente intollerabile per l’uomo moderno), ma come gli argini di un fiume, che aiutano a convogliare l’acqua, a farla scorrere l’acqua in modo diverso e personale per ognuno di noi.

E si riprendono magari degli strumenti di lavoro, come il calendario liturgico e la frequentazione di testi, che possono offrirsi alla meditazione di ogni giorno come aiuto anche a dare un colore alle varie giornate, e a rischiare la navigazione in mare aperto, secondo una rotta che è soltanto nostra, che è tutta da inventare. Una lettura nuova, che non dimentica niente delle acquisizione della modernità, che accoglie ogni fermento anche dalle posizioni più critiche. Una lettura che si pretende adulta, consapevole.

Ma che, al contempo, è saggiamente protetta, amorevolmente tutelata.

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