L’ho vista, forse non così bene ma l’ho vista. Sabato sera, passeggiando con Poncho, l’ho vista. Lui non era troppo interessato, era infatti ben più propenso a fiutare per terra cercando segnali olfattivi del passaggio della volpe (che si nasconde nel parco, venendo fuori solo ogni tanto). Ma io non potevo non guardare in alto. Quella sera proprio non potevo.

L’eclisse parziale di sabato splendidamente immortalata da Orazio Mezzio e giustamente approdata ad APOD. Sono state scelte due diverse esposizioni per mettere diversamente in risalto la parte “mancante” del nostro satellite.

Perché mi rendo conto di quanto l’abitudine ci condiziona. Essere così abituati a vedere la Luna in un certo modo e ad un certo punto osservarla diversa. Certo, sono abituato a vedere la luna parziale, ma con la forma tipica della falce. Non mi torna, la luna a cui manca un pezzettino: come l’avessero morsicata, in pratica.

Sembrava davvero che qualcuno avesse dato un morsetto alla luna, là in basso a destra. Beh, dopotutto è fatta di formaggio, come abbiamo appreso anni fa da Wallace & Groomit. Dunque, ci sta.

A parte gli scherzi: questo stupore, che mi ha preso, era qualcosa di ancestrale. Credo che un uomo del neolitico al posto mio, avrebbe reagito con altrettanto stupore. Forse con timore, non conoscendo bene l’origine di quel che stava osservando. Dell’anomalia che si presentava davanti ai suoi occhi.

Noi però sappiamo. Sappiamo che la Terra può intrufolarsi tra Luna e Sole e proiettare un’ombra sul nostro satellite, in certi periodi. Non ci preoccupiamo troppo, perché comprendiamo che c’è una spiegazione fisica. L’astronomia serve anche per questo, per fugare certe paure. Ugualmente però ci colpisce, l’occhio registra qualcosa a cui non siamo abituati.

A pensarci è buffo. Stiamo sfrecciando, con la nostra stella, il Sole, a circa 220 chilometri al secondo dentro la Via Lattea, eppure tutto ci sembra statico, ci sembra stazionario. Cicli che si ripetono uguali a sé stessi, così che quando arrivano queste piccole variazioni, ci interessiamo, ci stupiamo.

Siamo dentro un cosmo in accelerazione, in modificazione continua. Non c’è niente di oggi, che sia uguale a ieri, nell’universo. I quasar più lontani oggi si sono allontanati da noi di qualche miliardo di chilometri, come scrivevo nel racconto La bambina e il quasar (ed è stata una scoperta anche per me: quasi non ci credevo, quando ho guardato i numeri).

Però come è bello che questi eventi ci ricordino di un cosmo che può essere sempre fonte di sorprese. E che non ci facciano abituare troppo, perché – lo sappiamo – abituarsi vuol dire non vedere realmente le cose e non percepire più il semplice, purissimo stupore per la loro esistenza.

A volte la luna si toglie uno spicchietto, proprio per questo. Proprio per noi, per farci svegliare, per dirci ehi, laggiù, mica che vi state abituando a tutte queste meraviglie eh? Qui c’è uno spettacolo continuo…

Abbiamo più che mai bisogno di contemplare il cielo, in questo tempo disastrato. In questo tempo di stragi, di bambini uccisi, di crudeltà che ci piacerebbe definire inumane (salvo essere tragicamente smentiti dai fatti). Non mi stancherò di dirlo, di scriverlo, perché non è una faccenda culturale: in certi casi, ma chi se ne frega delle faccende culturali!

No ragazzi, è una faccenda di abitare degnamente questo pianeta dentro un assetto diverso, possibile solo se si guarda altro. Si guarda il cosmo, ci si apre finalmente ad un tempo sospeso, dove le ferite si possono curare, dove l’odio si può spegnere, dove il dialogo può ripartire. Dove la crudeltà umana non è l’ultimo orizzonte. Perché l’orizzonte diventa improvvisamente molto più vasto. E stellato, anche.

E forse, paradossalmente, senza dimenticare o rimuovere solo un grammo di dolore, si può ancora pensare ad una festa. Anzi, a tante feste.

Mentre il sistema della guerra e della menzogna

esaspera le sue strategie di dominio e di controllo

E’ tempo di inaugurare

Le Feste della nuova umanità,

E’ tempo di cambiare linguaggio.

Marco Guzzi

Davvero, è tempo di cambiare linguaggio, ovvero sistema di pensiero. Il cambio di linguaggio ce lo suggerisce anche il cosmo, facendoci vedere che le cose cambiano. Così anche io non devo rimanere aggrappato ai pensieri di odio e disprezzo, ho finalmente una scelta, ho la possibilità di fare un passo avanti. Di espandermi in umanità, come fa l’universo espedendosi nello spazio. Ricadrò su me stesso mille volte, mille ed una volta potrò ripartire.

Perché il gioco è questo, se desideriamo rispondere alla sete di senso che ci abita. Allora, alle volte, anche un pezzetto di Luna in meno può servire, per ritrovarne coscienza.

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