Blog di Marco Castellani

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Sepolcro

E’ una parola abbastanza imbarazzante. Non è di quelle che si producono abitualmente in società, potremmo dire. Eppure mi chiedo se uno possa desiderare di più. Se uno onestamente, sinceramente, possa desiderare più di questo. 
Orbene, è certo che molta gente oggi è scettica. E’ disincantata, è cinica. 
Qui non verrei azzardarmi in una ennesima analisi sulla crisi della fede, oggi. Per certo, non ho le competenze e la profondità necessaria, mi manca l’ampiezza di vedute e la conoscenza storica. Vorrei rivoltare la cosa come un calzino, invece.
Perché bisogna avere il coraggio di scoprirsi. Di scoprire i propri desideri, senza censuarli anzitempo. Senza ammazzarli, avvelenarli nelle solite obiezioni. Delle quali dico subito che la peggiore, in termini di danno psichico, è certamente quel è troppo bello per essere vero.
Ecco. Onestamente, io non so quanti danni abbia fatto, nel tempo, una frase di tal genere. Cosa rivela? Un pessimismo di fondo di portata cosmica, una rinuncia preventiva all’azione, alla vera speranza. Al desiderio di cose grandi. 
Prendendo questa frase terribile sul serio, ecco, uno non si muove più. 
Poi, oltre questo, come scienziato mi fa anche girare un po’ le scatole, per la sua palese illogicità. Di cui, sembra, la gente non si accorge. Lo confesso, in questo casi viene fuori il polemista dentro di me. Ma che vuol dire che è troppo bello? Perché “troppo”? Troppo rispetto a che, per esempio? Alla nostra immaginazione asfittica? Al nostro malinteso senso di essere adulti, con i piedi per terra? Alla nostra disperata paura di sognare? 
Se ad esempio faccio l’esercizio di pensare al sepolcro, alla possibilità che qualcuno ne venga fuori in carne ed ossa, al fatto che magari Qualcuno lo ha già fatto, scopro che ho paura di lasciarmi andare a crederlo davvero. Con tutto che (ogni tanto) mi dico “cristiano”, se arrivo a questo fatto, al nucleo pulsante delle faccende della mia fede, quel nucleo senza il quale tutto crolla (tutto! Che tentativo triste quello di tenere su la cultura, i “valori cristiani”, senza questo nucleo pulsante, senza questo “scandalo”), mi prende paura.
Una paura strana. 
Ma se buco un attimo la paura, ci passo oltre, scopro anche che è la cosa che desidererei di più. Che desidero di più. Che questo sia, appena, vero. Perché anche se sono cristiano, c’è come un pensiero in background, una formulazione di pensiero, un ambiente di pensiero, che mi ripete continuamente lascia perdere è troppo bello, lascia perdere… 
Ma il desiderio che sia vero c’è. Accidenti. Gli altri desideri che mi attanagliano, che mi tormentano, al confronto non sono nulla. Perché se fosse vero questo metterebbe veramente tutto in un’altra luce. Le gioie sarebbero ancor più gioie. Perfino le peggiori sofferenze potrebbero venire un po’ attenuate.
Quindi, è un po’ come se tutta la vita potesse essere interpretata – e nuovamente reinterpretata, ad ogni istante – nell’atteggiamento che abbiamo davanti a questo. Ad un sepolcro. Se è la fine di tutto o una scommessa pazzesca e totalmente fuori scala, per un nuovo inizio. Per un inizio senza fine. 
Capisco che siamo strani, in un certo senso. Ma forse è la portata della cosa, che ci fa un po’ paura. Ma di fatto è questo, è così. Siamo capaci di disquisire per ore su quanto ha detto un parroco di campagna, magari finito inavvertitamente sui media per qualche dichiarazione improvvida. Grande interesse hanno in ogni ambiente le discussioni sulle prescrizioni della Chiesa, soprattutto in ambito di morale sessuale. Ancora, la coerenza (o più spesso, la sua mancanza) di tal porporato od ecclesiastico riveste sempre una decisa attenzione e normalmente genera sapidi commenti.
Niente da dire, in fondo. Però, capitemi. Ho la sensazione, trovandomi spesso coinvolto in queste discussioni (“Ah, tu che sei cristiano, che ne pensi del fatto X [dove X = beni della Chiesa, controllo delle nascite e fame nel mondo e/o AIDS, ICI per gli istituti religiosi, etc…], del comportamento del cardinal Y, delle recenti dichiarazioni del Vaticano in materia di XYZ…”) ho la sensazione, non dico che siano giuste o sbagliate, non appena questo. No, ho la sensazione, come dire, che ci si stia concentrando accanitamente su dei particolari molto periferici, per trascurare l’essenziale. Cioè cosa è veramente, empiricamente, storicamente successo in quel sepolcro, un paio di millenni fa.
Che poi diciamolo, se in quel sepolcro non fosse successo nulla di particolare, ogni altra preoccupazione sui pronunciamenti di questo o quello, su cosa dice la Chiesa in materia di questo o quell’altro (perfino sull’accesso ai sacramenti per i divorziati, per dire), sarebbero totalmente inutili. Fiato sprecato. Perché non avrebbe senso niente, non avrebbe senso la Chiesa, i preti, i vescovi, i cardinali. Il Papa.
Se quello fosse stato appena un normale sepolcro, di una persona magari storicamente importantissima, magari un grande dell’umanità, ma insomma, sempre dopotutto un normale sepolcro, ebbene, non avrebbe senso nulla, di quello che stiamo trattando.
Come dice la canzone di J. Breil…

Ditemi se è vero,
Se è vero tutto quello che hanno scritto Luca, Matteo
E gli altri due,
Ditemi se è vero,
Se è vero il portento delle Nozze di Cana
E il portento di Lazzaro

Se fosse vero tutto questo
io direi sì
Oh certamente direi sì
Perché è così bello tutto questo
Quando si crede che è vero

Mi rendo conto, che siamo capaci di passare una intera vita (e se potessimo, anche di più) nel ragionare – per dire – su torti e meriti della Chiesa, senza osare arrivare al fondo della questione, al fondo pulsante. Se lì è avvenuto qualcosa, qualcosa di strabiliante, oppure no.
Il senso di ogni istante, di ogni minuto, viene investito dalla nostra decisione in merito. Luigi Giussani parlava, giustamente, di decisione per l’esistenza.
Il fulcro è quello. Se davanti ad un dolore, ad una sofferenza –  ma anche davanti al vuoto che tante volte si affaccia nella nostra vita, possiamo avere il conforto di una Presenza, vivente, vicino. 
Insomma, qualsiasi posizione possiamo avere, il punto cruciale è quello della canzone citata: ditemi se è vero
Il resto son davvero conseguenze, molto molto più a valle.

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Fede

La fede cristiana ci riporta cioè ad una esperienza del tutto ordinaria, quella in base alla quale noi nasciamo e cresciamo attraverso la parola umana, e specialmente quella parola benevola e amorevole che dice Bambino mio, quanto ti voglio bene e se non ce lo dice con pieno affetto noi soffriamo da morire: Questo è il rapporto di Dio con l’uomo: DIo parla con l’uomo bene-dicendolo, e parlando con lui con amore incondizionato gli forma una identità spirituale libera, lo risana da tutte le male-dizioni familiari e storico-culturali che lo hanno ferito… 

(Marco Guzzi)

Così la fede calma e soddisfa il bisogno di amore e protezione che ti porti dentro, viene a levigare quella ferita che segna i rapporti con le persone, con le cose. Quella ferita originata tanto tempo fa, che ti porti ancora appresso, che segna i rapporti con il mondo e con le cose. Non è niente di automatico: è’ una sfida, per cui ogni volta bisogna ripartire. Ogni volta e sempre si può ripartire. Ogni mattina si può dire di no (anche se magari gestiamo diecimila attività parrocchiali o di gruppi cattolici, movimenti) oppure dire di sì. In fondo, mi dico, quello che conta – quello che ora serve – non è tanto l’enunciazione teoretica di alcune verità, ma il lavoro che facciamo su queste.

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Per guardare il mondo con amore, serve questo, appena questo, sentirsi amati…

Così vedo le cose, e  possiamo ben dire che non è la prima volta che su questo blog si ragione intorno a questi argomenti. Eppure ogni volta che ci ritorno, mi sembra di illuminare la cosa da un angolo leggermente diverso (come il satellite GAIA, che vedrà una stessa stella anche settanta volte, ogni volta portando nuovi dati, così possiamo fare qui, per quello che ci preme di più… )

Queste cose le scrivo qui per me, in fondo, e fanno parte di qualcosa non sistematizzato, ma in perenne ebollizione interiore. Le scrivo per me per coltivare e far crescere un luogo dove io possa riflettere su me stesso e sentirmi a mio agio. Un luogo che penso in questo modo, morbido e conciliante. Un luogo dove le parole non servono a ferire, a distinguere, a separare: ma servano innanzitutto per guarire. Sempre da Marco Guzzi, prendo in prestito un’altra frase: 

.. La scrittura, infatti, possiede di per sé un’incredibile potenza di autoconoscimento e di guarigione.

Ci vedo dei colori pastello, leggeri. Ci vedo l’idea di un tranquillo pomeriggio di sole, vissuto al riparo di un fresco pergolato, magari. Una casa riparata e tranquilla, ma non isolata. Qualcosa costruito con le parole, parole di guarigione…

Fateci caso. Le parole che guariscono sono sempre quelle che intendono correttamente le cose. Tante cose sono state dette sulla fede, tanto alto è il rischio di fraintendere, di restare imprigionati in definizioni sbagliate, limitanti, castranti. Quella di Marco Guzzi che ho messo in apertura, fa risuonare qualcosa di bello in me, tiene vivo e zampillante un desiderio buono di pace e di assestamento psicologico costruttivo, di superamento di tutto ciò (laico o clericale che sia stato) che mi ha fatto male, mi ha ferito… un desiderio dolce di guarigione, appunto. 

Perché il punto è questo. Mi accorgo che la fede viene vista da molti come qualcosa… che non è. Come se un cristiano (o un buddista, un induista, se volete) dovesse avere un ricettario, una lista di cose che non può fare, di curiose limitazioni – come se fosse uno che vuole complicarsi la vita. Invece vuole semplificarla, vuota gustarsela. Senza starsi a tormentare troppo per il fatto che siamo limitati, che possiamo sbagliare. Peccato, davvero peccato,che ti fanno credere che per gustarla devi starci lontano, dalla fede… 

Insomma, cosa è per me, la fede? La fede è – anche – la possibilità di scorgere un significato in ogni cosa e in ogni circostanza. E’ non giudicarsi (io non giudico nessuno, neanche me stesso, diceva Don Giussani), è essere lieti di essere amati, come si è (anche se io sono un mucchi di letame, Cristo è più grande del mio mucchio dl letame, sempre Giussani).

Su tutto, sapere… sentire… che io sono amato, adesso.

Sapere che mi posso rilassare, perché sono molto, molto amato. 

Ecco il punto. Ecco il punto vertiginoso fondamentale dell’universo. Essere amati.

E’ tornare a giocare col mondo, come si faceva da bambini. Perché si giocava fino a che si pensava, si intuiva, che tutto avesse un significato. Che ci fosse una presenza buona a proteggerci, a tirarci fuori dai guai, qualsiasi cosa avessimo combinato. Quando abbiamo bevuto il veleno che – a volte con le migliori intenzioni – ci hanno somministrato (niente ha valore, tutto è opinione, niente esiste in fondo, tutto è appena una accorta flessione del discorso), ecco che abbiamo anche immediatamente smesso di giocare. Magari abbiamo detto sì sì, così stanno le cose, siamo adulti, siamo cresciuti e – fateci caso – abbiamo smesso subito di giocare, di divertirci.

Senza la fede la vita ti diventa una cosa dannatamente seria. 

Ora a me pare una cosa, cioè che a volte siamo così impastati di questo veleno, credenti e non credenti, che si dura una fatica da matti. Ogni giorno dire e ripartire, rifiutando il nichilismo e la sottile (più o meno quieta) disperazione. Ogni giorno scegliere di appartenere…

Al fai ciò che vuoi perché niente ha valore in sé preferisco il Ama e fai ciò che vuoi di Agostino.

C’è un abisso, in mezzo. Grande come la possibilità di avere un cuore – di nuovo – lieto.

Poi non facciamo noi le cose, anzi se ci mettiamo di mezzo noi, di solito facciamo guai. Perché abbiamo questa tentazione di decidere noi, di voler sistemare noi, di non lasciarci andare, di non affidarci. Di pensare che ci sia sempre un’alternativa più furba. Penso che sia una tentazione nota ai praticanti di ogni religione, di qualsiasi forma di spiritualità. 

Tanto che sempre Giussani, individua proprio qui la drammaticità della vita: “La drammaticità della vita consiste nella lotta tra la pretesa affermazione di sé come criterio della dinamica del vivere e il riconoscimento di questa Presenza misteriosa e penetrante” (citato in Vita di Don Giussani di Alberto Savorana, al Capitolo XVI).

Questa drammaticità, d’altra parte, fa sì che venga perennemente chiamata in causa la nostra libertà. E che nessuna adesione sia mai un atto meccanico ed automatico, come una sorta di tessera acquisita una volta per tutte – ma qualcosa che va scavato ed indagato sempre. 

La cui convenienza, appunto, è da ricercare ogni giorno. Così che uno si butta, idealmente, nella vita e fa la verifica. La verifica della convenienza della fede. 

E’ questo il cammino, mi pare di poter dire. E’ questo che può rendere la strada, una strada  bella.

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Il bosone di Higgs e la fede

Chiamato impropriamente “La particella di Dio” (per chi crede tutte le particelle potrebbero fregiarsi di tal nome…), il bosone di Higgs ha portato più persone ad interrogarsi sulle relazioni, sugli incroci, tra la ricerca scientifica e la fede.
Al proposito un articolo breve ma interessante è quello apparso su ilsussidiario.net a firma di Lorenzo Albacete.
Mi pare significativo in particolare un brano dell’intervista, laddove si dice che La fede cattolica della creazione non parla di cosa è successo nel Big Bang, ma di ciò che sta accadendo ora, come siamo creati dal nulla in ogni momento della nostra vita.”
In questo senso, la scoperta di una particella di per sè non ci dice niente sull’esistenza di realtà “extrascientifiche”. La scienza non si sostituisce all’atto di libertà e onestà intellettuale che può portare alla fede. Dio rispetta la nostra libertà e non ci “obbliga” con risultati scientifici. 
La scienza è il mio lavoro, e negli anni ho avuto anche  l’immeritato privilegio di incontrare scienziati piuttosto noti. E ne ho visti – ne vedo – di credenti e non credenti. Insomma gli scienziati “mappano” all’interno della loro comunità le stesse opzioni di libertà dell’umano sentire, che si trovano nella più vasta assemblea umana. La scienza non forza nessuno: ciò non toglie che per il credente questa sua fede possa essere uno stimolo alla ricerca. Continua infatti l’intervista “ci meravigliamo con timore reverenziale del mistero di Cristo. Egli è il centro dell’universo. Il timore suscitato in noi da questa convinzione di fede risveglia e sostiene la nostra esplorazione scientifica della bellezza che ci circonda.”
Altresì mi pare che alcuni scienziati dichiaratamente (e talvolta veementemente) agnostici, al di là del loro valore di scienziati, non facciano un buon servizio alla scienza cercando di supportare la propria visione del mondo con questo o quel risultato cosmologico (penso ad esempio a certe prese di posizione di Stephen Hawking, o di Margherita Hack, tanto per rimanere in ambito astronomico). 
Con buona pace di tutti, credenti e non credenti, la scienza e la fede corrono su binari diversi. La scienza non mi dice perché è importante vivere e perché la mia vita è unica. Non mi dice se sono nel mondo per un compito. Mi dice come è fatto e come funziona l’universo che mi circonda. Forzarla a rispondere a domande per le quali non è nata, è semplicemente un errore e come tale non aggiunge niente alla vera conoscenza. Sarebbe come – dall’altra parte – pretendere che la Bibbia fornisse una descrizione fisica precisa del mondo – non è quello il suo intento.
Eppure all’incrocio tra scienza e fede c’è tanto da imparare. Basta attraversarlo con atteggiamento umile e senza pregiudizi, con tanta voglia di capire. E tanto stupore per il mondo, così come è, per il fatto stesso che esiste. E che esistiamo noi, che lo possiamo comprendere.

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Il papa alla Sapienza: una occasione perduta?

Peccato, verrebbe da dire. Nella vicenda della mancata visita del Papa alla Sapienza, forse si è semplicemente persa un’occasione. A perderla, a parere di chi scrive, è proprio la cultura “laica”, dunque aperta al confronto, rispettosa delle varie posizioni, dei diversi orientamenti. Invece dell’accoglienza, ha prevalso la paura e l’atteggiamento “censorio”, dunque ha perso, in ultima analisi, proprio la tanto ostentata laicità della scienza.

Che dire? Speriamo, per una prossima volta, in scienziati e docenti davvero laici

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