Blog di Marco Castellani

Giorno: 7 Marzo 2011

La gola del Bottaccione

C’era una volta… un re! Ehhh no, questa volta: c’era una volta un asteroide! Un asteroide grande grande grande, era lungo più di dieci chilometri ed era in rotta di collisione con la Terra!

Il resto della storia credo che ormai la sappiamo tutti, 65  milioni e 638,477  anni fa (1) – giorno più giorno meno – un asteroide grande più dell’Everest si schiantò sulla Terra in quella che ora si chiama penisola dello Yucatan. Quando un’estremità toccò la superficie, l’altra era ancora fuori dell’atmosfera!
Gli effetti dell’impatto furono devastanti: quasi tutte le forme di vita sulla Terra vennero spazzate via nel giro di poche settimane, l’America del Nord fu immediatamente devastata dall’onda d’urto e dagli incendi, tsunami giganteschi spazzarono l’oceano Atlantico più volte con onde alte centinaia di metri.
Terremoti giganteschi fecero vibrare la Terra per giorni e i vulcani ripresero la loro attività preferita mentre altri nacquero. L’asteroide vaporizzò immediatamente nell’impatto e le sue polveri insieme alle ceneri vulcaniche e quelle degli incendi globali rimasero in sospensione nell’atmosfera per mesi, oscurandola in un terribile, glaciale inverno globale.
Le ceneri e le polveri si depositarono al suolo con piogge acide che inquinarono fiumi e laghi e quando tutto questo finì, arrivò una terribile estate senza fine dovuta all’anidride carbonica sprigionata dagli incendi delle foreste del pianeta.

L’impronta del cratere di Chicxulub, dove avvenne l’impatto.

Fu così che circa il 75% delle forme di vita del pianeta si estinse quasi immediatamente, tutti gli animali più grandi che fino ad allora avevano dominato il pianeta scomparve, lasciando campo libero a piccoli roditori mammiferi che seppero adattarsi meglio al nuovo ambiente.
Alla Terra occorse quasi un milione di anni per riprendersi da quell’inaspettato evento, tanto fu devastante.

Le polveri prodotte dalla sublimazione dell’asteroide che avevano avvolto il pianeta nel lungo inverno artificiale ricaddero al suolo formando uno straterello grigiastro che quando fu scoperto nel 1980 dal geologo Walter Alvarez nella Gola del Bottaccione (2) vicino Gubbio, in Italia.

La profonda fenditura (nell’immagine qui sopra) rappresenta lo Strato K-T trovato da Alvarez nell’80. I forellini circolari sono saggi prelevati per studiare i dintorni dello strato.

Queste rocce si sono formate sul fondo di un antico oceano chiamato Tetide. Le rocce più antiche dello Strato K-T – sul lato destro dell’immagine – sono composte da carbonato di calcio originato dal deposito di milioni di microorganismi fossili (conchiglie e plancton), mentre le rocce più giovani – lato sinistro – sono composte da argilla, le tracce di forme di vita si interrompono immediatamente con l’Evento K-T.

Anche questa è storia, l’inizio della storia dei sopravvissuti che hanno permesso alla loro discendenza di dominare il pianeta.

(1) Il numero esatto ovviamente è sconosciuto, si calcola 65,5 milioni di anni con uno scarto di 300,000 anni.

(2) Link a Google Maps

Fonte Il Poliedrico: http://ilpoliedrico.altervista.org/2011/03/la-gola-del-bottaccione.html

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Proboscidi… nello spazio!

La sonda WISE della NASA non finisce di sorprenderci: stavolta ha catturato una suggestiva immagine di una regione di intensa formazione stellare: è una gigantesca nube di gas e polveri, che prende il nome di Sh2-284, che si trova nella costellazione dell’Unicorno.

Ben allineati lungo i bordi di una “voragine cosmica” si trovano una serie di strutture, chiamate anche “proboscidi d’elefante” — in realtà enormi pilastri di gas e polveri, molto addensate. Nell’immagine che ci regala WISE, le strutture si configurano come colonne di gas che si sporgono verso il centro della zona vuota in Sh2-284.

 

La regione di formazione stellare nella costellazione dell'Unicorno, inquadrata da WISE (Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA)

La più importante di queste strutture è certamente quella che si vede nella parte destra dell’immagine, diciamo “ad ore tre”. Se la guardate bene, sembra una mano chiusa a pugno, tranne che per un dito che indica verso il centro della zona vuota (così dice il comunicato NASA, ed in effetti la somiglianza è piuttosto sorprendente…). Considerate che tale “proboscide” è lunga ben sette anni luce!

Se ci muoviamo nella direzione indicata dal… dito, ci possiamo imbattere in un ammasso stellare aperto, chiamato Dolidze 25, il quale – lungi dallo stare tranquillo dov’è – emette una grande quantità di radiazione in tutte le possibili direzioni, insieme a forti venti stellari.

Sono proprio tali emissioni a rendere ragione della “zona vuota” che si vede agevolmente al centro dell’immagine. I bordi di tale zona sono appunto le strutture in verde, e la sagoma è approssimativamente circolare, come appunto sarebbe da attendersi quando sono in ballo  simili fenomeni da parte di una struttura centrale (qui, appunto, l’ammasso aperto). Tuttavia, alcune regioni, evidentemente più dense delle altre, si sono dimostrate più capaci di resistere all’esuberanza dell’ammasso, mantenendo la posizione. Sono così rimasti a testimoniare la burrascosa storia dell’interazione dell’ammasso con il mezzo circostante, vere e proprie “proboscidi cosmiche”!

NASA/JPL Press Release

 

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